La parabola della socialdemocrazia
di Domenico Caccamo
Ideazione di marzo-aprile 2006

La storia del socialismo europeo, nel quadro di una sinistra “plurale” che comprende una varietà di posizioni differenti, si distingue per l’impegno teorico che accompagna e giustifica le scelte politiche, per uno scambio continuo tra l’ambiente intellettuale e le strutture di partito. È una vicenda di costruzione e revisione ideologica, ma anche di organizzazione unitaria, nascita di correnti interne, scissioni. In seguito alla crisi dello Stato assistenziale e dell’ordine bipolare del mondo, il Labour britannico e la socialdemocrazia tedesca sono alle prese con un processo di revisione che merita attenzione anche fuori della sinistra.
Nell’urgenza di una riforma della sicurezza sociale e dell’assistenzialismo, l’impegno della socialdemocrazia europea ha avuto due momenti di particolare intensità: i mesi successivi alle elezioni europee del giugno 1999, e poi il corso dell’anno 2005, fino alle elezioni tedesche che hanno coronato le ambizioni della Merkel e rimaneggiato in Germania il sistema dei partiti.
Firenze è stata la capitale mondiale del riformismo, quando le massime cariche degli Stati Uniti e del Brasile si sono incontrate con quelle europee in Palazzo Vecchio e in Villa La Pietra, accolte da Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio. Obiettivo dell’incontro, la definizione di una terza via: compromesso tra capitalismo e democrazia, sinistra moderna che concilia gli imperativi dell’economia con le esigenze del consenso, nuovo socialismo europeo destinato a dare contenuti di solidarietà al mondo globale sul tramonto dello Stato-nazione1.
In quel momento era posto da Blair e Clinton il problema della riforma dell’assistenza sanitaria e delle pensioni, accompagnato da un appello alle componenti della sinistra che ancora chiudevano gli occhi di fronte al pericolo incombente di una paralisi del sistema. La terza via era come un nuovo centro, altrettanto lontano dalla destra conservatrice quanto dall’inutile rivoluzionarismo della vecchia sinistra. Cadeva il concetto marxista della lotta di classe, sostituito dal riconoscimento della necessaria collaborazione: «Viviamo in un’Europa costituita da diverse classi sociali, in cui ognuno può imparare dal prossimo»2. Il piano proposto a Firenze di un modernismo atlantico, cementato dalla fratellanza dei democratici del Nuovo mondo coi socialisti del Vecchio continente, aveva i suoi precedenti nel dibattito acceso dopo le elezioni europee del giugno 1999, che avevano segnato il sorpasso dei popolari rispetto ai socialisti con uno scarto notevole nel numero degli eurodeputati. Solo in Francia un buon risultato aveva spinto il primo ministro socialista, Lionel Jospin, a proseguire per la strada della gauche plurielle, dove trovavano asilo numerosi movimenti e gruppi dalle istanze ambientaliste, individualiste, eurofobe. Tony Blair e Gerhard Schröder avevano firmato un manifesto, rivolto agli altri governi socialisti d’Europa, per una collaborazione di classe in vista della produttività. Basta coi dogmi di destra e sinistra, basta col vecchio egalitarismo. È ora di fare largo al valore della creatività, della diversità, delle prestazioni eccellenti. È necessario, per un programma di terza via o nuovo centro, equilibrare il rispetto dell’ambiente con gli imperativi del progresso materiale e del mercato, ridurre la spesa pubblica, riformare il sistema pensionistico ed infine, recuperando un motivo proprio dei “socialisti della cattedra” ai primi del Novecento, affrancare i processi sociali dalle insidie della burocratizzazione. «Vogliamo una società che riconosca il merito degli imprenditori, degli artisti e perfino dei calciatori di successo […], vogliamo che i sindacati difendano i singoli contro l’arbitrio, realizzando il mutamento in collaborazione coi datori di lavoro, aiutando a creare un benessere duraturo»3. Prendeva forma, parallelamente alle concessioni sulla tassazione delle imprese e sulla flessibilità del lavoro, all’insistenza su una politica dell’istruzione che accompagnasse il lavoratore nell’intero arco della sua esistenza per consentirgli al momento opportuno di cambiare mestiere, anche l’idea di un accostamento agli Stati Uniti e di un’assimilazione, almeno parziale, dello stile di vita americano in Europa.

A Villa La Pietra, quella di Jospin fu una voce fuori del coro. Per lui, dopo la caduta dell’ordine bipolare, la duplice opposizione al capitalismo e al comunismo non aveva più senso: «Se la terza via implica la ricerca di una posizione intermedia tra la socialdemocrazia e il neoliberismo, questa non è la mia strada». Jospin si levava a difesa dello Stato sociale e scendeva in campo contro la globalizzazione, per rivendicare l’autonomia delle singole nazioni contro ogni potere omologante4. Poi la lite tra le famiglie socialiste fu esasperata dalla seconda guerra del Golfo, provocando un rovesciamento di alleanze: Schröder col suo ministro Fischer, ormai convinto del primato della politica estera sui piani di politica economica e sociale, troncarono i legami con l’atlantista Blair per accostarsi all’europeista Chirac; Blair, a sua volta, strinse un’intesa coi liberisti Aznar e Berlusconi. Anthony Giddens continuava ad illustrare i suoi concetti: “nuovo egualitarismo” inteso a ridurre i dislivelli economici, nuova strategia (quella del New Labour) pensata non per colpire i ricchi, ma per sollevare i poveri. «Una società che nutre qualche ambizione non può penalizzare il successo […], non ci può essere incompatibilità tra i valori sociali, entrambi fondamentali, della solidarietà e della diversità»5.
Il secondo atto del grande dibattito intersocialista si apre quando, alla vigilia del confronto elettorale coi partiti cristiano-democratici, il segretario del Partito socialdemocratico tedesco (spd), Franz Müntefering, rimette in discussione il sistema capitalista, portando il discorso sull’azione economica e sociale dello Stato, sul necessario intervento delle istituzioni europee contro la delocalizzazione del lavoro industriale. Müntefering rifiuta la visione puramente economica che riduce l’uomo a unità produttiva, a semplice consumatore o a merce sul mercato del lavoro. In questo contesto, la globalizzazione è un fenomeno negativo: la pressione dei fattori internazionali sulle strategie orientate a massimizzare il profitto minaccia di indebolire l’ordine democratico. È necessario che le tendenze negative siano contrastate tanto dagli Stati nazionali quanto dall’Unione Europea. Il momento attuale richiede un forte impegno dello Stato nel confronto col mondo economico6.
Una risposta è sopraggiunta attraverso la voce autorevole del presidente dell’Associazione tedesca dei datori di lavoro, Dieter Hundt. L’economia tedesca ha bisogno di capitale straniero: le espressioni di Müntefering (sembra che questi avesse parlato, a proposito degli investimenti stranieri, di un’invasione di cavallette) recano danno all’interesse del paese, «viene il vomito» a pensare quel che succede in questa nostra repubblica. Il sasso lanciato dal segretario socialista ha suscitato, dopo quella di Hundt, anche altre reazioni, meno forti ma pure negative. Il settimanale liberal Die Zeit non ha approvato il rifiuto del capitale e del lavoro straniero, non ha gradito la nostalgia per il ruolo coordinatore e regolatore dello Stato; il quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung ha lanciato contro le tesi di Müntefering l’accusa, ormai fin troppo abusata, di “populismo”.

Posta di fronte al dibattito che attraversa i partiti della sinistra europea, l’Internazionale Socialista (is), che pretende di coordinarli, mantiene un atteggiamento di distacco, quasi di insofferenza. I suoi congressi lasciano da parte la crisi dell’assistenzialismo, partendo dal tema della globalizzazione. È in corso un mutamento inarrestabile, che produce molteplici effetti: da una parte, nuovo slancio della produzione e del commercio internazionale, nuovi servizi e mercati; dall’altra, turbolenze finanziarie, aggravamento delle diseguaglianze, tassi elevati di disoccupazione. L’is punta l’indice accusatore sul costo sociale dell’incremento economico. La sua immagine del mondo attuale è pessimistica: nella gran parte del pianeta, crescente povertà, degrado ambientale, conflitti etnici, devastanti malattie; nei paesi postcomunisti dell’Europa centrale e orientale, caduta dei livelli salariali, disorientamento e sfiducia. L’antitesi è posta tra il «modello ultraliberale fondato sul vangelo della deregolazione economica» e, all’opposto, la tradizione socialista di giustizia e cooperazione, che sottrae le scelte sulla ripartizione delle risorse alle forze, «invisibili e spesso indifferenti», del mercato. Nel 1996 l’is insisteva sulla ristrutturazione del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, che s’erano rivelati incapaci di sostenere i paesi dell’Africa, dell’America Latina e poi anche della Russia; sviluppava il motivo ecologico, per uno “sviluppo durevole” rispettoso dell’ambiente, sosteneva la conservazione del sistema di sicurezza sociale, apprezzando senza riserve l’azione dei sindacati.
Il XXI congresso del 1999 porta in primo piano la crisi dello Stato-nazione, sede istituzionale dove si sono realizzate storicamente tanto la sovranità che la democrazia. Si attua, nel nostro tempo, un doppio processo, interno di decentramento ed esterno di creazione di strutture sovranazionali, che risponde all’incongruenza dello spazio tradizionale fornito dalle singole nazioni. Parallelamente si afferma una tendenza verso lo “Stato minimale”, propria della corrente ideologica neoconservatrice, che restringe gravemente l’ambito del potere pubblico. Nella doppia contrapposizione al fondamentalismo che rifiuta la legittimità del mercato e all’altro fondamentalismo che tutto abbandona alla sua mano invisibile, l’is afferma la validità della sua “relazione critica” al capitalismo. Spetta alla politica socialdemocratica una funzione correttiva del capitalismo: al fine di scongiurare la tentazione del monopolio e migliorare la condizione dei consumatori, di far valere il diritto all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’assicurazione della vecchiaia, di provvedere alla tutela dell’ambiente, al rispetto dei diritti individuali e all’uguaglianza dei sessi.
Le risoluzioni dell’ultimo congresso, ottobre 2003, poggiano chiaramente sull’analisi di Joseph Stiglitz, ponendo il problema della governance nella società globale. «L’ordine anarchico del vecchio sistema internazionale, nel quale le risorse del potere consistevano in ultima analisi negli strumenti economici e militari, cede il passo a un sistema più complesso di governance, nel quale gli accordi stabiliti dalle parti interessate sostituiscono l’antica legge del più forte»7. Ma va respinta la soluzione del Washington consensus, quella fornita, cioè, dalle forze unificate della finanza internazionale, da sostituire con un meccanismo a più livelli, locale, nazionale, regionale, eccetera. Al vertice, l’odierno Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha funzioni politiche, sarà affiancato da un secondo Consiglio dotato di competenze economiche, sociali e ambientali. Le stesse considerazioni e proposte sono state ripetute dall’is nel maggio 20058.

Riguardo alle questioni di più bruciante attualità, l’is avversa le azioni militari preventive fuori del quadro onu, sostiene però gli sforzi del governo iracheno, uscito dall’intervento unilaterale, per un obiettivo di sviluppo democratico. Assume il punto di vista dei democratici americani. Alla conferenza di Roma, luglio 2003, le conclusioni sull’Iraq sono state presentate da Massimo D’Alema: erano proposte moderate per una riduzione graduale dei compiti e delle prerogative spettanti alle forze della coalizione anti-Saddam, e per un sostegno al nuovo Iraq democratico che stava nascendo. Nel corso della stessa conferenza è mancata, invece, qualsiasi conclusione sul conflitto israelo-palestinese: evidentemente la compresenza di forze politiche assai lontane fra loro (Meretz israeliano e Fatah palestinese) ha impedito qualsiasi accordo o compromesso9.
Oscillante tra il revisionismo della Neue Mitte e la critica del capitalismo, la socialdemocrazia tedesca attraversa una fase di ripensamento e riorganizzazione: si dimostra efficiente nelle prestazioni elettorali e nelle trattative di governo, ma è soggetta all’insidia di nuove formazioni alla sua sinistra e di nuove correnti al suo interno. La spd ha accusato un colpo alla vigilia delle elezioni in Renania settentrionale-Westfalia, quando un esponente del calibro di Oskar Lafontaine, che aveva accumulato cariche nel partito, nel governo del Saarland e nel governo federale, l’ha abbandonata per entrare nell’Alternativa elettorale per la giustizia sociale (wasg) e congiungersi a politici come Lothar Bisky, già responsabile per il cinema e la televisione al tempo della Repubblica Democratica, poi segretario del Partito del socialismo democratico (pds) e ora della Sinistra (Linkspartei-pds), o come Gregor Gysi, giurista di spicco al tempo della Repubblica Democratica e segretario della pds dal 1989 al 199310.
Dopo un colpo di reni alle elezioni federali, la spd ha imboccato la strada della collaborazione governativa con l’Unione dei partiti cristiani. Ma contemporaneamente, a sorpresa, una corrente di opposizione ha preso consistenza intorno a una giovane esponente, Andrea Nahles, con l’effetto di provocare l’avvicendamento Müntefering-Platzeck alla testa del partito. Nel momento stesso in cui affronta la concorrenza di una nuova sinistra e partecipa al governo di coalizione facendosi carico di misure impopolari per il risanamento del bilancio e la ripresa dell’economia, la spd cambia il vertice e rinnova i quadri.
Altrettanto instabile che in Germania è la condizione dei partiti socialisti nella restante Europa. Unità ritrovata in Francia. Rientra la contestazione di Fabius, emarginato al congresso dello scorso novembre: ma rimane viva nella sostanza l’ostilità alla proposta di Costituzione europea. Ora si pretende un nuovo testo sintetico, chiaro nell’indicazione di obiettivi politici e sociali. Unità problematica in Grecia. Le elezioni del 2004 furono affrontate da un movimento (pasok) incerto fra due versioni di socialismo ellenico: quella del dimissionario presidente del Consiglio Simitis, guadagnato alle ragioni della terza via, e quella del ministro degli Esteri Papandreu, ambiguo sulla politica economica.

All’ultimo banco, tra i socialismi europei, è relegato il rosa pallido nostrano. Dopo la caduta di Craxi, è il più povero di identità e il più carico di tensioni. Fin dal secondo governo di centrodestra, i socialisti sono scissi in due frazioni: quella maggioritaria dei Socialisti democratici si identifica per un laicismo acceso, agitando la revisione del Concordato e l’adempimento dei Patti civili di solidarietà; parla inoltre, genericamente, di un «federalismo equo e solidale che unisca e non divida» il paese, di ritiro concordato del contingente italiano in Iraq, da effettuare però senza un termine stabilito. La frazione minoritaria, Nuovo psi, si è ulteriormente frazionata fra chi è rimasto nella coalizione della Casa delle Libertà (Gianni De Michelis) e chi è transitato al centrosinistra (Bobo Craxi). La rinuncia alla linea autonoma era del resto evidente già al momento decisivo del dramma di Craxi11. In realtà lo spazio socialdemocratico è occupato dalla corrente dalemiana dei Democratici di sinistra: ormai gli eredi del partito che fu di Nenni e Saragat, di De Martino e Craxi, non trovano spazio rilevante e autonomo nel caleidoscopio italiano.
Nelle condizioni attuali di crisi generale e trasformazione, la socialdemocrazia conferma la sua vitalità politica e la sua vocazione teorica. Dal suo punto di vista, risponde alle sfide della realtà in mutamento, non solo esercita opera di mediazione, ma tenta una sintesi tra posizioni unilaterali e insoddisfacenti. D’altra parte, il vasto terreno socialdemocratico resta aperto a troppe influenze, esposto al rischio della frammentazione. L’ideale internazionalista, la pretesa di mettere insieme le energie positive di tutti i continenti, resta il tallone d’Achille della socialdemocrazia: il radicamento in una realtà continentale o regionale le eviterebbe dispersione e disorientamento. Essa rimane incerta tra la critica della globalizzazione e l’attesa utopica di una buona governance universale. Rimane impigliata nella ricerca di un’intesa impossibile con il nazionalismo arabo e il democratismo americano. Se si limitasse a rappresentare le ragioni di un modello sociale europeo, potrebbe agire con maggior concretezza ed efficacia.

Note

1. Massimo D’Alema, “Europa, lavoro, solidarietà. La sinistra alla prova”, la Repubblica, 19 novembre 1999.
2. Tony Blair, “La Terza via può vincere”, la Repubblica, stesso giorno.
3. Tony Blair, Gerhard Schröder, Der Weg nach vorne für Europas Sozialdemokraten… (Juni 1999), amos-blätter.de/AR-blair-schröder-papier.html.
4. Lionel Jospin, “L’inutile Terza via proposta da Tony Blair”, la Repubblica, 19 novembre 1999.
5. Anthony Giddens, Patrick Diamond, “Il ‘nuovo egualitarismo’ contro la povertà. La giustizia sociale del Labour…”, Corriere della Sera, 25 giugno 2005.
6. Un riassunto del discorso si trova sulla Süddeutsche Zeitung, 12 aprile 2005.
7. Cfr. il sito socialistinternational.org/5Congress/XXII-SAOPAULO.
8. Financial and Economic Issues: The Bretton Woods Institutions and Global Economic Governance, socialistinternational.org/6Meetings/Council/MidEast-May05/Documents.
9. Cfr. ancora socialistinternational.org/6Meetings/Conference/Rome.
10. Die Linkspartei… Wahlprogramm. Interviews. Hintergründe. Reportagen, Hamburg 2005.
11. Simona Colarizi, Marco Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, Roma-Bari 2005, cap. VII, VII, 1990-92.

Domenico Caccamo, docente di Storia moderna all’Università La Sapienza di Roma.

(c) Ideazione.com (2006)
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