Politica
IL CORAGGIO 
DI DIRCI BORGHESI
di Paolo Guzzanti

Ecco s’avanza uno strano soldato, anzi no: inciampa, si rialza, è disorientato, retrocede e avanza di nuovo, poi trova uno specchio, si guarda, non capisce chi è e si siede perplesso. Chi è? E’ l’homo novus della destra italiana, quello che conta sull’ondata del Duemila e uno che dovrebbe portare Berlusconi alla vittoria e con lui la nuova destra italiana. L’italiano di destra. L’intellettuale organico, il neoconservatore, il postmissino che rinnega e rimpiange. Della sua sorte pochi s’interessano e anzi nessuno ne fa un caso, sicché la questione della sua identità si riduce ad un cicaleccio notturno in una sala d’aspetto di terza classe. In mancanza di campioni di riferimento, si va per antropologie comunali: come sarà, l’uomo nuovo? Come il sindaco di Milano, segaligno e conservatore ma pronto a mettersi in mutande per il bene della patria, o come Guazzaloca, creatura semplice e misteriosa, che se era per Forza Italia stava ancora al nastro di partenza? La verità è che dell’homo novus della destra italiana nessuno, da destra, sa che cosa dire. Sicché alla fine gli unici che ne parlano sono quelli di sinistra, i rappresentanti in altre parole dell’unico movimento conservatore, aristocratico, vagamente reazionario nei gusti e nei retrogusti, ma solido e armatissimo con un potente know how della denigrazione. E in che modo la sinistra conservatrice dipinge l’homo di destra? Con pennellate stanche, ma esperte: l’uomo di destra (della donna se ne fa direttamente una strega) è per definizione rozzo. La sua rozzezza è intrinseca e connaturata, dunque non può essere scollata dalla sostanza. Penso a Michele Serra, cresciuto da una madre che definisce “alla destra dei faraoni”, il quale come ritrattista dell’uomo di destra è un esperto madonnaro con i gessetti che usa sul marciapiede del pie’ di pagina: di fronte alle sue opere si fermano ammirati i passanti della lettura, ed è a lui che si deve la prosecuzione dell’esercizio retorico sull’uomo di destra allargando il solco scavato da Melloni “Fortebraccio”. Serra illustra comunque e sempre un personaggio ignorante, venale, arrogante (quest’aggettivo, arrogante, è la chiave di volta di un intero universo linguistico) o, alla meglio, squallido, insignificante, privo di valori che non siano dei disvalori connessi con la turpitudine del mercato. Antropologicamente è sempre portatore di una sua deformità che lo rende comico, secondo lo schema di Melloni applicato a certi socialdemocratici dalla fronte inutilmente spaziosa.

La carta d’identità dell’uomo di destra non ha foto e non ha età. Se appartiene alla destra radicale, le sue azioni sono indistinguibili da quelle della sinistra radicale, anche qui secondo un solco e una consuetudine consolidata che ha attraversato il secolo. Ma se l’uomo di destra della vecchia guardia era per definizione un temerario e un romantico, quello di oggi difetta essenzialmente di coraggio politico, anche se non ha paura del rischio. L’uomo di destra italiano del Duemila appare dunque come un onesto opportunista che sa da che parte abiti il bene e da che parte abiti il male, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, ma ha paura. Paura non perché sia codardo, ma perché è intimidito, è abituato a chiedere continuamente alla sinistra il certificato d’esistenza al mondo e deve superare continuamente esami che lo espongono alla frustrazione o viceversa lo introducono fra gli ammessi. La sua paura, che non è codardia ma smarrimento, nasce dalla sua fragilità di fronte a un apparato linguistico nemico che gli appare turrito e invalicabile come una linea Maginot, dietro la quale è acquartierato un intero esercito di autoreferenti che si danno sponda, si rendono celebri a vicenda, si citano, s’invitano, si riconoscono, determinano il gusto medio corrente e quindi costituiscono un fattore importante nella formazione del mercato, dal quale l’uomo di destra, frustrato o arrabbiato o entrambe le cose, si sente tenuto fuori, oppure invitato come un estraneo. L’uomo di destra è intimidito dalle case editrici che con i loro editors lastricano la via del politicamente corretto e procedono ad una forma d’epurazione automatica delle idee, di cui certificano di volta in volta la decenza e l’indecenza, ma anche la semplice portabilità, come la moda delle grandi firme destinate al mercato di massa. L’uomo di destra è confuso sugli obiettivi e gli strumenti, che in gran parte gli sembrano buoni, ma già in uso nelle mani altrui, non avendo un progetto proprio. Nel corso degli anni ha trovato che l’ecologismo ha molto di buono, anzi ottimo. E che il capitalismo andrebbe bene se non fosse perverso e senz’anima: la Finanziaria vista da Rauti non è lontana dalla Finanziaria vista da Bertinotti, come il governo di Milosevic contiene amici di Le Pen e i marxisti di sua moglie, più i monarchici e i borghesi.

L’uomo di destra sente nel suo sangue che un’attrazione fatale e infernale lo ricondurrebbe verso una filogenesi che lo trascina indietro nel tempo, a vecchi fotogrammi indecenti e ormai archiviati sui libri di storia, ma non nella memoria, come quello dell’Armata Rossa del 1939 del tutto simile e parallela alla Wermacht hitleriana. Come in un sogno ancestrale l’uomo di destra sa che quelle truppe marciavano insieme sul ponte di Brest Litovsk nel tardo settembre di quell’anno, dopo una comune spartizione della Polonia, la digestione degli Stati baltici e della Finlandia, il gioco di prestigio con cui un milione e mezzo di cittadini civili polacchi della zona russa, per due terzi ebrei, venivano fatti sparire dai russi ancor prima che il crematorio uncinato cominciasse il suo lavoro con quelli dell’Ovest. Fosse americano, l’uomo di destra non avrebbe che da rifarsi al buon tempo antico delle ultime dieci generazioni, e risalire il Mississippi della memoria come fa oggi Buchanan esaltando il Klu Klux Klan, segretamente riunito a New York dove è nato e vive il suo misterioso papa del razzismo bianco. Ma l’uomo di destra italiano è nato in Europa e sente che le sue radici, la sua origine ideale è commista, sporca nei suoi intrecci. Sa, ma sa che non sta bene dirlo, che il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi nacque come un partito proletario e nazionalista, con la più alta percentuale degli operai e dei contadini mai riunita insieme in Germania, che gareggiava con i comunisti del Dkp per conquistare il trofeo del nazionalismo. Chi era di destra e chi di sinistra? Dove passava lo spartiacque?

Quando, il 26 maggio 1923 gli occupanti francesi misero a morte nella Germania occupata dopo la prima guerra mondiale il sottotenente Schlageter, militante d’estrema destra accusato di sabotaggio dalle autorità, i nazisti bavaresi inscenarono manifestazioni di rabbia, ma furono subito seguiti e imitati dalla dirigenza del Partito comunista tedesco che su ordine di Mosca inaugurò immediatamente la “linea Schlageter” di stretta collaborazione con i nazisti. Ciò che univa la destra e la sinistra era l’anticapitalismo, lo stesso istinto che riunì non per caso e non per tattica Hitler e Stalin in un patto di ferro ideologico, prima che militare. E quando, il 20 giugno, il leader comunista Karl Radek davanti all’esecutivo dell’Internazionale celebrò Schlageter come «il valente soldato della controrivoluzione (che) merita il nostro sincero omaggio di soldati della rivoluzione, poiché crediamo che la grande maggioranza delle masse agitate da sentimenti nazionalisti appartengano non al campo del capitale, ma a quello del lavoro», lesse un testo rivisto da Zinoviev, patron dell’Internazionale. Hermann Remmele, deputato comunista al Reichstag, qualche giorno più tardi a Stoccarda in un fraterno incontro nazi-comunista affermò che un’alleanza con i nazionalsocialisti per abbattere il capitalismo gli sembrava molto più decorosa di un’alleanza con i socialdemocratici, che erano e restano i servi del capitale. Comune e condiviso il rifiuto della borghesia. Comune, anche se con articolazioni molto diverse e incommensurabili dal punto di vista morale, sarà l’attacco alla comunità ebraica considerata per sua natura borghese, cosmopolita, fautrice della mobilità dei capitali, degli uomini e delle idee, movimenti che facevano letteralmente impazzire Hitler di rabbia e che spinsero Stalin a sottoporre a purghe antisemite l’intera classe dirigente sovietica, con Lev Trotskij in testa. Nello stesso 1923 nazisti e comunisti persero le elezioni nella Repubblica di Weimar, vinte dal socialdemocratico Gustav Stresemann alleato con i popolari, favorevole al dialogo con francesi e inglesi per rinegoziare il debito. Fu allora che Mosca, in una crisi d’odio per l’imperialismo anglofrancese, tentò la carta dell’insurrezione che si risolse nel sanguinoso fiasco dell’ottobre tedesco. I comunisti persero sul terreno ad Amburgo la loro battaglia decimati da obici e mitragliatrici appena forniti all’esercito tedesco dalle officine dell’Armata Rossa. Il giovane Hitler, compiendo un errore di calcolo non fatale, pensò di provare anche lui la carta del colpo di mano, finendo però in galera dove tradusse le sue meditazioni nel Mein Kampf. Era suo compagno Erich Ludendorff, il vecchio comandante dell’esercito imperiale che aveva organizzato per Lenin nel 1917 la traversata della Germania in guerra per raggiungere la Russia, dove avrebbe compiuto il colpo di Stato che passerà alla storia come Rivoluzione d’Ottobre. Gli effetti: i trattati firmati nella stessa Brest Litovsk sulle cui strade le truppe di Stalin e di Hitler avrebbero marciato anni dopo sotto le stesse croci uncinate, le stesse falci e martello. Il nostro secolo è il teatro dell’odio e amore (amore nell’odio, odio nell’amore) fra estremismo radicale di destra e di sinistra, con momenti di indecente dedizione, come quello della purga guidata da Palmiro Togliatti che ebbe l’effetto di permettere a Stalin di consegnare ai tedeschi una Polonia ripulita dai comunisti e in buona parte anche dagli ebrei. Cito questi fatti per dire che la costruzione dell’immagine e dell’immaginario dell’uomo di destra, non può oggi contare sulla tradizione e sulla storia e se vuole emergere e cercare una nuova identità che consenta di intraprendere una battaglia politica moderna, bisogna forse prima fare un bagno purificatore nella verità storica e scegliere, ancora bagnati di sangue, che cosa fare del passato e del presente, in che modo affrontare il futuro e in che modo “essere” un soggetto politico destinato a vincere.

In realtà, noi ci troviamo a parlare della carta d’identità della destra e della sinistra riferendoci ad un sistema tolemaico della politica e dell’ideologia che non ha niente a che fare con la realtà: stelle fisse dell’immaginario coelum stellatum in cui all’estrema destra emergono le macerie dei torrioni di Hitler e Mussolini, e all’estrema sinistra quelle di Breznev e di Mao, più Fidel Castro, Ho Chi Minh, di Gramsci, di Togliatti e dei suoi successori. E’ un sistema di riferimenti falso come il cielo immaginato dai babilonesi, ma egualmente spettacolare. In questo falso cielo, le coordinate essendo immaginarie e falsificate, tutti i riferimenti diventano macchinosi, contorti e alla fine illeggibili. Nei paesi anglosassoni, ma anche nordeuropei ci si divide, destra e sinistra, sulla spesa pubblica: fra chi vuole spendere ricchezza (prodotta con il capitalismo), per favorire le fasce sociali più deboli; e chi invece non vuole bruciare ricchezza e propone atteggiamenti guidati dal principio di responsabilità. Là tutto è semplificato, e la Finanziaria, il budget, può determinare battaglie ideologiche in cui giocano elementi di conservazione, tradizione, innovamento delle regole, rispetto delle regole, uso della forza e suoi limiti. Là i conservatori hanno tutte le ragioni per esistere, esistendo la memoria di un passato lungo e accreditato, di cui si possa rivendicare decentemente, e anzi con onore, la conservazione. Ma da noi? Che cosa dovrebbe voler conservare il conservatore? La destra non lo sa, ma la sinistra già corre ai ripari per se stessa, compiendo una coraggiosa operazione di sganciamento dalle radici, le memorie, le connessioni e le continuità con il passato comunista. Cioè sta anticipando la destra in un processo di riaggregazione che, senza imporre prezzi ideologici di sorta, semplicemente scompone e ricompone le identità, abbandonando quelle scomode come il serpente quando muta pelle: resta un involucro senza contenuto, al vento e alle formiche. La sinistra di governo italiana, prevedendo la sconfitta entro due anni, prepara una strategia di difesa che la porterà probabilmente a vincere. La destra, oggi, è destinata viceversa a perdere la sua battaglia, qualsiasi cosa dicano i sondaggi, perché non è oggi che la pallina della roulette si deve fermare, ma fra un tempo sufficiente perché il campo della sinistra si scomponga e si ricomponga. Quel lasso di tempo è lo stesso di cui dispone la destra se vuole essere ciò che ancora non è, compiendo passi di eguale e simmetrica importanza, senza più lasciarsi ingabbiare nel sistema ideologico della negazione e della nostalgia. La sinistra ulivista non ha problemi di nostalgia, perché si presenta come un marchio di fabbrica nuovo. Lì è la sua forza. Se la destra non farà qualcosa d’analogo e alla svelta, rischia di morire nella sua vecchia pelle, per quanto la lustri e la rappezzi. E prima che il processo si fermi, molti uomini di destra avranno rinnegato la loro posizione prima che il gallo della storia canti, e saranno tentati di rispondere con operazioni di puro trasformismo, pur di sopravvivere, confermandosi così ancora una volta subalterni. La sinistra, che sente finalmente come puzzi di marcio il cavallo d’origine comunista sul quale era in groppa, si riaggrega intorno ad un nucleo d’uomini, d’idee e d’esperienze che possono scrollare legittimamente le spalle di fronte a qualsiasi accusa di connessione con il comunismo: che cosa abbiamo mai avuto a che fare noi con loro? Non portiamo il fardello della loro storia.

Questa, la loro operazione intelligente: scaricarsi dalla schiena il fardello comunista. Veltroni ha inaugurato il fonte battesimale che lava i peccati del comunismo dichiarando che il comunismo è stato equivalente al nazismo (anche se lui usa la versione riduttiva e buona per le mamme e per le scuole medie dello “stalinismo”), lasciando cuocere nel loro brodo tutti i bianconi ottuagenari come Ingrao e la Rossanda. Dall’altra parte che cosa accade? Nulla, salvo l’attesa messianica di una vittoria che dovrebbe arrivare per sorteggio. Fin qui gli uomini di destra avevano campato di rendita sparando le ultime bordate del loro onorevole anticomunismo, ma quelle polveri di qui a poco saranno bagnate e per sempre. L’affare dell’Archivio Mitrokhin insegna: se il Giornale non si fosse scatenato e incarognito nel pretendere il denudamento, almeno in linea di principio, dei segreti della Gladio Rossa, dell’Armata Rossa, dell’Orchestra Rossa e di quel tanto o poco che faceva parte del Kgb, non sarebbe successo nulla. La sinistra è già per metà fuori della sua pelle di serpente e non vuole, adesso, essere disturbata da uno scandalo che obbliga a tornare indietro sulla vecchia pelle da cui si vuole uscire in fretta e per sempre. Lo scandalo Mitrokhin consentiva di dire, subito, senz’aspettare neanche un minuto, che la sinistra ex comunista non può, non deve, non è autorizzata ad uscire dalla sua pelle senza pagare i prezzi della storia, della politica, della morale e anche del codice penale, ma la destra ha tardato a capire, ha faticato, ha arrancato, riluttava, come se il suo slogan fosse: non disturbare il manovratore D’Alema, aspettando a bagnomaria che il risultato prossimo venturo maturi, ci caschi nelle mani come una pera matura. L’uomo di destra una qualità, una sola, dovrebbe averla e invece non si vede. Ed è il coraggio. Il coraggio nell’affrontare la verità in via di estinzione, perché è in estinzione, azzerata dal conformismo e dalla camera di compensazione della Commissione Stragi, benché presieduta da un uomo onesto come Pellegrino. L’uomo di destra ha paura perché è intimidito da una stampa di regime che fa variare il campo magnetico della verità quanto basta per renderla irraggiungibile. Sicché riesce a disorientare l’uomo di destra che non sa bene se presentarsi come un buon amministratore o un fautore dei sistemi forti per affrontare la criminalità.

E secondo noi non smetterà di piegarsi ed essere risucchiato, finché non solleverà dal fango la bandiera della verità storica che è la stessa della borghesia rivoluzionaria: questa, la rivoluzione copernicana di cui ha bisogno la destra italiana se vuole sottrarsi all’universo tolemaico delle stelle fisse, e imporre un nuovo cielo in cui i campi di forza, i corpi celesti e le distanze rispecchino con verità la realtà e permettano di progettare il vero viaggio siderale che tutti sentono di potere e voler avviare, ma di cui nessuno sa nulla perché la verità è occultata, la realtà è inaccessibile e manca qualsiasi straccio di progetto di società da presentare alla nazione come un progetto collettivo entusiasmante, capace di chiamare a raccolta qualcosa di più che un buon sentimento da buona finanziaria. La bandiera borghese è quella sulla quale hanno sputato i socialisti, i comunisti, i nazisti e i fascisti. E oggi l’uomo della nuova destra apparirà sempre rozzo, se non saprà cogliere l’occasione di prendere per sé la bandiera della borghesia rivoluzionaria e far sua una battaglia che fino ad oggi è stata monopolizzata da un’internazionale giacobina che ha snaturato il lavoro iniziato e che aveva già prodotto una nuova Francia e gli Stati Uniti d’America. Ma riuscirà il nostro eroe ad alzare quella bandiera senza vergognarsi? A dire, a gridare: io sono borghese, io rappresento e incarno il ceto che ha dato la parola al mondo, che gli ha dato le leggi, che ha creato le macchine da cui è nata la libertà della donna e dei più poveri, io rappresento e sono il borghese che quando è chiamato a combattere la guerra che cerca di evitare fino all’ultimo, va e la vince. Io sono il borghese che produce la satira contro la sua identità, che è forte e buono, ma che è prima di tutti più intelligente, più generoso, più elegante degli eleganti aristocratici che da ottant’anni, come il nobile polacco Dzerdzinskij, non hanno fatto altro che organizzare macchine proletarie della distruzione di massa, come la Ceka e il Nkvd, di cui il Kgb è figlio. I nostri uomini di destra borghesi d’oggi, dunque, non abbiano paura, non si facciano intimidire dagli imitatori degli imitatori. La battaglia per la verità è in corso. Le pagine che volevano girare senza leggerle, le leggeremo. L’identità può essere rifondata e costruita dalla nostra parte, purché si ritrovino le armi del coraggio, che per la borghesia è la virtù meno istintiva.

Paolo Guzzanti


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1999