Congetture
& confutazioni
LA LUNGA VOLATA
DELLE REGIONALI
di Arturo Diaconale
E’ radicalmente
cambiata la valenza politica delle elezioni regionali fissate per la
primavera del prossimo anno. Inizialmente erano considerate come una sorta
di cartina di tornasole dello stato di salute della maggioranza di governo e
dello schieramento d’opposizione. Nessuno immaginava che potessero servire
a certificare un eventuale ribaltamento dei rapporti di forza tra il
centro-sinistra ed il centro-destra. Tutti davano per scontato che non
avrebbero fornito grandi cambiamenti nei numeri complessivi degli
schieramenti in campo. E che sarebbero solo servite a verificare le
condizioni interne dei due poli e della sempre più macilenta terza forza
rappresentata dalla Lega di Umberto Bossi. Ormai, però, queste
considerazioni sono del tutto superate. E la scadenza delle regionali di
primavera si è caricata di un valore e di un significato molto più grandi.
Non ci si pone più il problema di utilizzare il voto per verificare se i
“cespugli” del centro-sinistra sono ancora in vita, se i Ds sono in
crescita o in flessione, se il Ppi è in estinzione, se la Lega è
moribonda, se An ha frenato l’emorragia causata dall’Elefantino di Mario
Segni o se Forza Italia continua ad essere il più forte partito italiano.
Dai risultati elettorali, ovviamente, si cercheranno anche le risposte a
questi interrogativi. Ma prima di ogni altra questione si vorrà sapere se
le elezioni regionali provocheranno o meno la caduta del governo ed il
ricorso alle elezioni politiche anticipate.
La posta in palio del
prossimo marzo, infatti, si è alzata al massimo livello. E adesso riguarda
la sorte stessa della legislatura. Le cause del fenomeno sono molteplici.
C’è il vento favorevole per le forze moderate che spira in tutta Europa e
che ha trovato riscontri precisi non solo nei risultati delle ultime
elezioni europee ma anche nelle sconfitte dei socialdemocratici tedeschi e
nella perdita d’immagine dei laburisti inglesi. C’è la crescente
difficoltà del governo di Massimo D’Alema nel gestire una situazione
economica sempre più pesante che, insieme ad una politica fiscale
inutilmente oppressiva, suscita la crescente irritazione di fasce sempre più
ampie della popolazione italiana. C’è, infine, lo scollamento progressivo
di una maggioranza dove è saltato l’equilibrio originario tra le forze di
centro e la sinistra guidata dai Ds ed al suo posto è subentrato una sorta
di “patto leonino” con cui i Ds la fanno da padroni e gli altri da
semplici vassalli. Il risultato di questi diversi fattori è che palazzo
Chigi e Botteghe Oscure appaiono sempre più come cittadelle assediate sia
dai nemici dichiarati che dagli amici insoddisfatti. Gli esempi più
clamorosi sono venuti dalle ultime due bufere che hanno agitato il quadro
politico. In particolare dalla richiesta di una commissione d’inchiesta su
Tangentopoli diretta ad accertare anche le responsabilità dei postcomunisti
nel finanziamento illecito dei partiti. E dalla sollecitazione a dare vita
ad una commissione d’indagine sulla questione delle spie italiane del Kgb
e dei rapporti tra il Pci ed i suoi eredi con il vecchio mondo comunista. In
entrambi i casi la maggioranza si è lacerata. Massimo D’Alema e Walter
Veltroni sono apparsi quasi totalmente isolati. Ed hanno dato
l’impressione di essere arrivati al limite della resistenza nella difesa
del primo governo di sinistra della storia della Repubblica. Di qui
l’attesa per le regionali.
E la ragionevole
convinzione che, in assenza di qualche evento nuovo e straordinario in grado
di ribaltare la situazione, se il voto dovesse segnare una nuova e più
pesante sconfitta della maggioranza di centro-sinistra, la crisi di governo
diventerebbe automatica aprendo la strada ad un possibile ricorso alle
elezioni anticipate. Massimo D’Alema è perfettamente consapevole del
grande rischio in arrivo. E sembra deciso ad affrontarlo tentando di
scegliere candidati di grande nome e forte prestigio politico. La sua
intenzione sarebbe quella di convincere a partecipare alla battaglia
elettorale per la presidenza delle Regioni alcuni dei suoi ministri più
significativi. Si è parlato di Livia Turco per il Piemonte, di Luigi
Berlinguer per la Toscana, di Giovanna Melandri per il Lazio. In questo modo
il presidente del Consiglio spererebbe di cogliere i classici due piccioni
con la stessa fava: candidare personaggi di richiamo in grado di rinforzare
gli scricchiolanti schieramenti regionali del centro-sinistra e liberare
alcune poltrone ministeriali per realizzare un necessario e rivitalizzante
rimpasto governativo in vista dell’ultimo anno di legislatura. È
possibile che D’Alema riesca a realizzare, almeno in parte, il proprio
disegno. Ma è anche probabile che l’operazione non vada in porto. I
diretti interessati non sembrano affatto disposti a rinunciare alle poltrone
ministeriali per una battaglia estremamente rischiosa. Ed anche gli alleati
non appaiono affatto intenzionati a seguire il presidente del Consiglio in
un gioco da cui hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare. Qualunque
possa essere la scelta di D’Alema è comunque evidente che palazzo Chigi
è perfettamente cosciente dell’importanza della partita elettorale di
primavera. Le regionali potrebbero trasformarsi nelle sue idi di marzo, sia
pure spostate di una decina di giorni. Ed il presidente del Consiglio, con
tutte le difficoltà derivanti anche dalla concomitante fase congressuale
del proprio partito, tenta di prepararsi al meglio ad un appuntamento che ha
tutta l’aria di essere determinante per la sua poltrona di Palazzo Chigi e
per il suo stesso futuro politico. Diversa, invece, è la posizione del
centro-destra. Anche il Polo è consapevole dell’enorme importanza della
posta in gioco. Una eventuale vittoria nelle singole regioni spianerebbe la
strada ad una sicura e grande rivincita della sconfitta del ’96 con il
proprio ritorno al governo del paese. Ma, a differenza di D’Alema e
dell’intero centro-sinistra, non si prepara all’appuntamento elettorale
come ad una prova senza appello.
Calcola che il
risultato elettorale delle regionali, qualunque esso sia, rappresenterà in
ogni caso una tappa intermedia prima del traguardo finale delle elezioni
politiche di fine legislatura. E con la certezza di avere comunque una prova
di riserva si prepara all’appuntamento di primavera con maggiore
tranquillità. La differenza di atteggiamento offre un grande vantaggio al
Polo. Mentre l’ansia di bruciare i vascelli alle proprie spalle spinge i
dirigenti del centro-sinistra a tentare di utilizzare personaggi di livello
nazionale spesso estranei o sganciati dalle realtà regionali, la certezza
della prova d’appello consente al Polo di comportarsi nel modo opposto
puntando su candidati di
livello ma radicati sul territorio e su una maggiore attenzione ai bisogni
ed alle esigenze delle popolazioni locali. Il fenomeno può sembrare
paradossale. Con la sinistra che rinuncia alla propria tradizione di massima
attenzione al territorio ed il centro-destra che se ne impossessa. Ma
tant’è. Con l’aggiunta che mai come in questa occasione i partiti del
Polo, ed in generale tutte le forze antagoniste ed alternative alla
maggioranza egemonizzata dai Ds, hanno il vantaggio di presentarsi di fronte
al corpo elettorale con un doppio programma. Quello nazionale diretto a
realizzare una politica di sicurezza, di riduzione della pressione fiscale,
di rilancio dell’economia e di una maggiore tutela dei ceti produttivi e
professionali e dei giovani disoccupati, che ha il merito di risultare
l’esatto opposto dell’azione svolta in quattro anni dai governi di
centro-sinistra. E quello locale che consiste in parte nella traduzione a
livello regionale delle linee di intervento nazionale ed in parte in una
maggiore attenzione alle peculiarità ed alle esigenze dei singoli territori
da parte di candidati particolarmente credibili. Non va dimenticato, a
questo proposito, che nelle regioni settentrionali il Polo ricandiderà i
presidenti uscenti carichi di esperienza e di notorietà a livello non solo
locale ma anche nazionale. E nelle regioni in cui dovrà tentare di
conquistare la maggioranza cercherà di applicare al meglio l’esempio
della vicenda Guazzaloca e punterà sugli uomini nuovi ma di sicuro
prestigio regionale. Nessuno, ovviamente, è in grado di avanzare previsioni
sull’esito delle elezioni regionali di primavera. Ma un dato è comunque
certo. Per la prima volta lo scontro non sarà tra l’esercito agguerrito,
organizzato ed esperto del centro-sinistra e le truppe raccogliticce,
inesperte e non addestrate del centro-destra. Questa volta la partita sarà
ad armi pari. E se il vento europeo scenderà anche lungo la penisola, il
nostro paese potrà incominciare a godere dei benefìci dell’alternanza
alla guida dei governi. Quelli regionali e quello nazionale.
Arturo
Diaconale
direttore de L'opinione
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