Congetture & confutazioni
SI PUO' FAR POLITICA
SENZA LA TELEVISIONE?

di Paolo Del Debbio

Par condicio: tutti debbono poter accedere ai mezzi di comunicazione a parità di condizioni quando si parla di politica o si fa propaganda politica in senso stretto. Spot elettorali: chi può farli? Su quali mezzi? A quali condizioni? Pagando, o gratuitamente per tutti? Conflitto di interessi: può – e come – chi è proprietario di aziende sottoposte a concessioni, fare politica ed avere responsabilità di governo? Tutti questi sono singoli temi solo parzialmente in rapporto tra di loro e che, quindi, andrebbero affrontati separatamente. Così non sta avvenendo in Italia, in questi ultimi mesi, soprattutto a partire dal 14 giugno scorso, data dei risultati elettorali europei, che ha visto la vittoria consistente di Forza Italia e del suo leader Silvio Berlusconi. Nella sua persona vengono fatti convergere soprattutto dagli esponenti dei Ds, e in particolare da Walter Veltroni, tutti i problemi di legittimità cui accennavamo sopra. La campagna elettorale di Forza Italia per le europee si è fondata sulla persona del suo leader e sulla sua comunicazione pressoché esclusiva, anche attraverso una consistente campagna di spot televisivi, oltreché una campagna di affissioni e un giro capillare d’Italia che lo ha visto impegnato in comizi ed incontri “a tappeto”. Berlusconi ha teorizzato la necessità di una campagna televisiva in quanto unica capace di far arrivare alla maggioranza degli italiani la proposta politica del suo partito e, conseguentemente, ha deciso di investire somme consistenti per questa attingendo alle casse del partito stesso. Questi i fatti, che, in termini elettorali, lo hanno premiato. Da qui è ricominciato il dibattito che in sintesi ha portato alla seguente proposta da parte dei Ds: niente spot per nessuno come via maestra, spot gratis per tutti come via secondaria. Tra di loro le due proposte sono lontanissime perché significano due modi di affrontare la questione, diametralmente opposti. La prima, nessuno spot per nessuno, significa, in pratica, escludere la televisione come fonte, tra le altre, della creazione dell’immaginario politico collettivo. Qui si innesta la domanda, secondo noi fondamentale, che sta al cuore della questione: è pensabile, oggi, fare politica senza televisione quando, ormai, in modo irreversibile, l’immaginario collettivo si forma attraverso di essa in misura, se non preponderante, certamente molto importante? Contestualizzando la domanda: come è pensabile tirar via la politica, nella sua dimensione fondamentale che è data dalla propaganda, dalla televisione nel momento in cui anche i messaggi a più alto contenuto sociale cercano essa come lo strumento fondamentale attraverso cui comunicare? E nel momento stesso in cui, secondo noi giustamente, il governo (anche se occorrerebbe fare qualche riflessione sulla necessità di regole) usa questo mezzo per comunicare ai cittadini quel che via via viene realizzando del suo programma politico?

Ormai è stato detto da molti e in diversi modi: le piazze di pietra sono state sostituite dalle piazze elettroniche. Questo non è in discussione: è un dato di fatto. Certo si può sempre pensare di fermare la storia e il progresso: i seguaci di Ned Ludd, che nel 1779 fece a pezzi un telaio della fabbrica dove lavorava contro l’introduzione delle macchine per fermare la rivoluzione industriale, non mancano mai, anche oggi. Ma si tratta di soggetti o movimenti che, di fronte alla complessità che questi soggetti o movimenti pongono, preferiscono rifugiarsi al caldo di confortanti utopie piuttosto che fare lo sforzo di affrontarli. Se la televisione è la nuova piazza, la politica fuori da questa piazza non può stare, e dunque non può stare fuori dalla televisione. Soprattutto con la sua propaganda. Del resto anche la Chiesa che vive di predicazione, cioè di comunicazione, nel Concilio Vaticano II dedicò molta attenzione alla questione fino a dedicarvici un Decreto, “Inter mirifica”, dove si invitano i laici cristiani ad approfondire l’utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale per poi utilizzarli anche ai fini della diffusione dell’Evangelo. Il documento suscitò, anche allora, notevoli polemiche tanto che ai Padri conciliari fu distribuito un volantino sul sagrato di San Pietro che li invitava a votare contro. Insomma: se chiunque ritiene che comunicare sia coessenziale alla propria esistenza e presenza nella società e nella mente dei cittadini, delle persone, non può farlo in modo completo ed efficace fuori dalla televisione perché lì, nella televisione, gli esseri umani del nostro tempo si incontrano con la maggior parte dei messaggi che vengono loro indirizzati. Qualsiasi messaggio che voglia dire qualcosa che non è ancora conosciuto, in più, non può non accettare questa sfida. Altro discorso è quello sulla difficoltà della sfida e sulle regole che questa comunicazione deve avere. Ma è un discorso successivo e tra i due discorsi non si deve fare confusione. Cioè: non si può eliminare il discorso perché è complesso nella sua regolazione e nella sua gestione. Nel mondo postideologico è difficile elaborare un discorso politico perché sono venuti meno i punti di riferimento e i nuovi tardano a comparire. E non c’è dubbio che per le forze politiche che devono affrancarsi da ideologie che hanno esaurito la loro giustificazione e la loro carica propulsiva sia particolarmente difficile elaborare linguaggi nuovi. Non è un caso, a questo proposito, che, in Italia, i Ds e i Democratici dell’Asinello di Prodi, Di Pietro, Rutelli, Cacciari e Bianco (non a caso tutti personaggi politici che hanno un buon rapporto con il mezzo televisivo) abbiano al riguardo posizioni opposte: i Ds non vogliono gli spot, i Democratici sì. Detto questo occorre mettersi a costruire delle regole perché tutti possano comunicare (tenuto peraltro conto che già oggi tutte le forze politiche hanno i soldi e dunque possono acquistare spazi televisivi dove comunicare come vogliono e quanto vogliono, vedi la Lista Bonino). Ma vogliamo andare oltre? Vogliamo ipotizzare spazi gratuiti per tutti in modo egualitario? Facciamolo pure ma non facciamo l’errore storico, teorico e – sia consentito – pelosamente politico di pensare di fare a meno di confrontarsi con questo problema. Perché eliminare gli spot non è affrontare il problema. E’ solo un modo ingiusto di rimandarlo perché, anche in questo caso, la storia indietro non torna.

Paolo Del Debbio


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1999