Playgeneration: videogiochi, virtualità
e nuove socialità

"E' DIGITALE 
L'ALFABETO DEL DUEMILA"
Intervista a Derrick De Kerckhove di Francesca Oliva

"La prima rivoluzione digitale è stata l’alfabeto. E il codice binario fatto di "0" e "1" che ha assunto una parte tanto importante nella nostra società è un’estremizzazione di questa metafora. L’invenzione dell’alfabeto ha reso possibile il pensiero individuale; la televisione ha creato una mente collettiva; le nuove tecnologie - e soprattutto Internet - offrono la possibilità di connettere le menti degli individui". Derrick de Kerckhove, canadese, cinquantenne, erede spirituale di Marshall McLuhan - del quale è stato per dodici anni, fino alla morte dell’autore de Gli strumenti del comunicare, assistente, traduttore e co-autore - è adesso da molti anni il direttore del McLuhan Program in Culture & Technology di Toronto. Nella cultura di lingua italiana ha esordito con il saggio "Il politico nell’era della modulazione", apparso sulla rivista Mass Media nel 1983. Autore di opere apprezzate come Understanding (1984), Brainframes. Mente, tecnologia, mercato (Baskerville, Bologna, 1993), La civilizzazione video-cristiana (Feltrinelli, Milano, 1995) e La pelle della cultura (Costa & Nolan, 1996), è considerato uno dei guru emergenti nello studio sull’impatto sociale e politico delle nuove tecnologie. Abbiamo approfittato di una sua recente visita a Firenze, dove ha partecipato all’ultima edizione della rassegna Mediartech, per rivolgergli alcune domande in tema di video-giochi ed interattività (e non solo).

Domanda - Lei è un difensore dell’educazione on-line. Qual è, invece, il suo rapporto con l’entertainment digitale? Con i videogiochi, insomma.

Risposta - In Connected Intelligence, nel capitolo in cui affronto esplicitamente il tema della biologia dell’interattività, ho fatto il paragone tra i videogiochi, intesi soprattutto come forma di esercizio muscolare e di sviluppo della velocità, e l’arte interattiva - che comprende anche alcuni settori della cosiddetta realtà virtuale - intesa, invece, come dimensione mentale e stato emotivo. L’arte interattiva, a mio avviso, è in grado di garantire forme più complesse di emozione. Ma sono convinto che essa abbia molto in comune con il videogioco, soprattutto perché si tratta, in entrambi i casi, di forme di educazione che stanno acquistando un’importanza sempre maggiore con il passare degli anni.

Non tutti i videogiochi, poi, si limitano a stimolare funzioni muscolari…

Certamente. Esistono videogiochi che si possono definire assolutamente creativi. Personalmente, non sono particolarmente attratto da titoli frenetici sullo stile di Doom o Quake, ma ritengo che siano una tappa importante per la vita dei bambini di oggi. I miei figli hanno scoperto i videogiochi molto presto. Sono praticamente nati e cresciuti con questa forma di intrattenimento.

Molti analisti prevedono una crescente convergenza tra il mondo del divertimento interattivo e i media tradizionali. La Disney entra di prepotenza nel mercato dell’entertainment digitale; la Sony vende milioni di console per videogiochi in tutto il mondo; i networks televisivi statunitensi sfruttano a fondo le potenzialità della Rete. Siamo destinati, in tempi stretti, a una "convergenza totale"?

E’ una questione di risorse finanziarie, soprattutto, ma anche di risorse cognitive. Il fenomeno di massa più interessante, a mio avviso, è che la televisione è sul punto di diventare un vero "cavallo di Troia" per Internet. La Web-tv non è ancora molto diffusa in Europa, ma nei Paesi tecnologicamente più avanzati - Stati Uniti in testa - sta acquistando segmenti di mercato con una velocità impressionante. E questa tendenza favorirà l’accesso a Internet fino a far diventare il televisore, e non più il personal computer, lo strumento più diffuso per accedere al World Wide Web. Fino a oggi la tv è stata la "porta della città" per eccellenza, ma le cose sono destinate a cambiare con una velocità tale che si fatica perfino ad avere la concezione precisa di questa accelerazione storica. Il matrimonio fra televisione e Internet è solo nella sua prima fase, ma fin da ora si può scommettere sul fatto che le nuove generazioni ne sfrutteranno le straordinarie potenzialità comunicative.

L’integrazione tra Internet e televisione sarà il primo passo per la costruzione dei "nuovi media", dunque?

Sì, e sono convinto che questa unione, fra l’altro, possa avere molti effetti positivi. Allo stato attuale, infatti, la televisione si limita a fornire esclusivamente uno spettacolo pubblico. Senza nulla togliere al suo ruolo, la tv rimane un mezzo sociale, che non tocca l’intimità privata dell’individuo, né si rivolge al suo potere decisionale. Una sorta di "mente collettiva", insomma. La possibilità di sfruttare lo schermo televisivo per avere anche un accesso individuale rappresenta un’importante occasione in più per l’utente. Sono sicuro, inoltre, che queste due realtà possano tranquillamente convivere senza annientarsi a vicenda. La Web-tv può essere l’alternativa che crea un equilibrio tra il mondo del libro (o di Internet), che va contro la collettività, e il mondo della tv, che rifiuta l’individualità.

C’è il rischio che vada persa quella caratteristica "orizzontale" della telematica che ne ha decretato il successo, in favore di un ritorno a tecnologie in cui ci sono pochi "comunicatori" e tutti gli altri sono condannati a essere utenti?

Sì, questo è un fenomeno che esiste già ed è stato esasperato dalle tecnologie push che qualcuno pensava potessero rappresentare lo sbocco naturale del Web verso il mercato di massa. Ma io penso sarà solo una conseguenza fra le altre. Grazie ad Internet, tutti possono commercializzare facilmente il proprio messaggio o la propria merce. Non solo il Grande Fratello. Il problema principale del Web in questo momento, invece, è soprattutto la pornografia.

Lo ritiene un problema davvero così grande per la Rete?

Non in termini di qualità, ma piuttosto di quantità. C’è molto più materiale di quanto immaginassi fino a pochi mesi fa.

Però, la pornografia ha in molti casi aiutato lo sviluppo di alcune nuove tecnologie. Basta pensare alla diffusione di massa del videoregistratore…

Il problema non è il fatto che le persone si interessino a questa realtà, ma le conseguenze che crea questa domanda crescente. Penso soprattutto allo sfruttamento dei bambini. Non si tratta di moralismo, né di repressione sessuale. Una parte sempre maggiore della produzione pornografica, adesso, sfrutta proprio i bambini. Oggi è disponibile - e non solo in Rete - una varietà di materiale molto più vasta che in passato. Materiale che coinvolge donne e uomini, ma anche bambini. È questa enorme produzione a farmi paura.

Crede che le ultime generazioni, quelle cresciute con Internet, con i videogiochi e, in generale, con un rapporto più diretto con le tecnologie, stiano sviluppando una concezione del mondo differente rispetto alle generazioni precedenti?

Penso di sì, ma è ovvio che questa concezione del mondo non si svilupperà più velocemente o in maniera più evidente di quanto sia avvenuto dopo l’acquisizione dell’alfabeto. L’alfabeto ha determinato un cambiamento fondamentale nel mondo antico e, ormai, è una condizione sine qua non dell’essere occidentale. Nessuno, però, sa quale sia stato l’impatto immediato di questo evento. Per oltre duemila anni lo abbiamo dato per scontato, tanto che possiamo considerarci come "creature dell’alfabeto". Come facciamo, allora, a prevedere cosa potrebbe succedere con l’impatto della Rete? Persino gli artisti non hanno ancora compreso i cambiamenti di formazione mentale che Internet è in grado di provocare. E forse sarebbe meglio che iniziassero a rifletterci seriamente.

Proprio all’arte - in particolar modo a quella italiana - è dedicato uno dei suoi ultimi lavori. Può spiegarci come è nato e si è sviluppato questo progetto?

Nel 1997 ho scritto un libro, dal titolo Connected Intelligence: the Arrival of the Web Society, i cui diritti per lo sfruttamento televisivo e cinematografico sono stati acquistati in Italia dalla Filmauro, una società di produzione che da tempo si interessa ai miei studi sulle nuove tecnologie e l’educazione. C’era un’altra persona in Italia che si interessava al mio lavoro e l’idea era quella di realizzare una serie di trasmissioni educative per la Rai. Allora ho pensato che poteva essere interessante coinvolgere direttamente nel progetto i miei studenti francesi. E tentare di capire, insieme a loro, in che modo il materiale del libro poteva essere sfruttato per dare vita ad un ciclo di puntate televisive. Con questo esperimento, però, abbiamo ottenuto risultati superiori a qualsiasi aspettativa. Gli studenti, riuniti in un workshop, hanno realizzato un numero incredibile di scenari - molti dei quali prodotti in maniera davvero ottima - e, in attesa di ulteriori sviluppi sul fronte televisivo, ho deciso di realizzare un cd-rom. Intanto, dopo qualche mese, ho iniziato a capire che il lavoro con la Rai non andava avanti. E ho pensato di affidarmi alla Mediartech di Firenze, con la quale avevo già collaborato nelle tre edizioni precedenti della sua rassegna multimediale. In questo caso, naturalmente, non abbiamo utilizzato soltanto il lavoro degli studenti francesi, ma anche quello di studenti e disegnatori italiani. Anche perché abbiamo voluto realizzare un progetto dedicato in modo particolare all’arte italiana e all’educazione on-line per gli italiani. Il libro sarà tradotto molto presto, ma è già in fase avanzata di realizzazione un sito Web, realizzato insieme a un gruppo di cinquanta persone dai background più disparati, che è un po’ una vetrina di questo nostro esperimento.

Il sito è già attivo in Rete?

Sì, all’indirizzo www.unicef-kids.org/my city/CI/, anche se per ora il materiale non è moltissimo ed è disponibile soltanto in lingua inglese. Il nostro scopo è quello di creare il primo sito Web dedicato proprio alla connected intelligence ed alla collaborazione on-line. In poche settimane di lavoro abbiamo già fatto cose stupende. Ad esempio, abbiamo messo a disposizione un database con accesso molto semplice ma che ha richiesto metodi di produzione estremamente complessi. Il tutto, con un sistema di navigazione ipertestuale che non solo è funzionale, ma anche - per così dire - poetico. Nei prossimi mesi, poi, contiamo di sviluppare molte altre forme di collaborazione che contribuiranno certamente a far espandere il progetto ben oltre i suoi limiti attuali.

Francesca Oliva


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1999