Playgeneration: videogiochi, virtualità
e nuove socialità 

VIDEOGAMES,
L'EVOLUZIONE DELLA SPECIE
di Andrea Mancia @

1. Spacewar (1962)

"Nell’autunno del 1961 - scrive J.C. Herz nel primo capitolo del suo Joystick Nation (1) - uno scatolone rettangolare atterrò davanti ai gradini della porta d’entrata del Mit. La scatola, che arrivava dalla Digital Equipment Corporation, conteneva il nuovo modello di computer prodotto dalla Dec: il PDP-1. E i suoi costruttori speravano che il dipartimento di ingegneria elettronica del Mit lo avrebbe utilizzato per dare vita a qualcosa di interessante, come vincere la corsa allo spazio, produrre una generazione di robot intelligenti, o almeno rivoluzionare il metodo di elaborazione delle informazioni per la gloria dell’industria americana. Dopo un anno, i pionieri dell’informatica del Mit non avrebbero raggiunto nessuno di questi obiettivi. Ma uno di loro avrebbe scritto il primo videogioco della storia" (2). Spacewar, programmato dal giovanissimo hacker Steve Russell, nasce come uno scontro tra due astronavi che tentano di neutralizzarsi a vicenda sparandosi "siluri fotonici". Il gioco, a cui dovevano necessariamente prendere parte due contendenti (i computer dell’epoca non erano abbastanza potenti per garantire la gestione di un avversario "virtuale" sufficientemente combattivo), sfrutta le innovative caratteristiche del PDP-1, uno dei primi elaboratori elettronici con il quale si interagisce per mezzo di uno schermo televisivo e di una tastiera simile a quella delle macchine da scrivere, invece che tramite i classici "nastri perforati" che caratterizzano gli albori della tecnologia informatica. Dopo aver creato le parti principali del software, Steve Russell chiede aiuto ai suoi amici del Mit per la stesura finale. Pete Samson scrive il programma Expensive Planetarium, che aggiunge un primitivo cielo stellato allo sfondo del gioco. Dan Edwards ottimizza il codice, raddoppiandone la velocità e permettendo l’inserimento di un grosso sole - proprio al centro dello schermo - che attira le due astronavi con la sua forza gravitazionale. Un paio di mesi vengono dedicati al debugging e al perfezionamento del sistema di controllo. Spacewar è pronto nella primavera nel 1962. Gli hackers del Tech Model Railroad Club (3) sono così entusiasti del prodotto finale che a qualcuno viene in mente che forse sarebbe possibile sfruttarlo commercialmente, ma dopo meno di una settimana Russell e soci lasciano cadere l’idea. E decidono di distribuire gratuitamente il gioco. Nel giro di un anno, c’è almeno una copia di Spacewar in ogni centro di ricerca degli Stati Uniti. Qualche milione di dollari, insomma, sottratto al mondo accademico e militare americano.

2. Prima di Pong (1963-1970)

Con il diffondersi dei computer nelle università e nei centri di ricerca, la creazione di rudimentali videogiochi diventa un fatto quasi abituale per la ristretta cerchia dei programmatori di professione. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, sono almeno una decina i proto-games in circolazione nei grandi mainframes (4) sparsi per tutto il continente nordamericano. In Lunar Lander, destinato ad apparire dopo qualche anno (graficamente rinnovato) anche nelle sale-giochi, si deve pilotare un minuscolo modulo lunare verso un difficile atterraggio su pianeti a gravità differente. Il primo simulatore di volo, insomma, anche se l’interazione con il gioco si limita alla segnalazione scritta, da parte del computer, di tre variabili: velocità del modulo, distanza dalla superficie e carburante residuo. Hammurabi (conosciuto anche con il nome di Kingdom) è invece il progenitore dei giochi manageriali. Una cinquantina di righe di codice in linguaggio Basic (5) che simulano, con crudeltà insospettabile, la gestione di un dominio feudale, tramite il controllo del livello delle imposte e l’amministrazione della semina e della raccolta del grano. Con Hunt the Wumpus, poi, i computer-games si affacciano per la prima volta nel mondo delle avventure fantasy in stile Dungeons and Dragons. Scritto sempre in Basic (questa volta, però, le righe del programma sono almeno 200), Hunt the Wumpus si avvale di una semplice interfaccia testuale e di una struttura labirintica a forma di dodecaedro, ma nel 1967 ispirerà la nascita di un successore di tutto rispetto: il mitico Adventure (6), il padre riconosciuto di tutti i giochi di ruolo elettronici. Nessuno dei giochi di cui abbiamo parlato, però, riesce a sfondare il muro della comunità accademica. I computer necessari per far funzionare i programmi costano, nella migliore delle ipotesi, qualche centinaio di migliaia di dollari. E la gente normale, all’oscuro di tutto, continua a giocare con i flipper. Ma ancora per poco.

3. Pong, l’immortale (1971-74)

Nel 1966, Ralph Baer, ingegnere capo della Sanders Associates (7), inizia a lavorare su quello che lui stesso definisce "un progetto per un utilizzo alternativo degli apparecchi televisivi". Contro il parere dei suoi superiori, convinti che sia soltanto di una perdita di tempo, Baer mette in piedi una piccola ma agguerrita squadra di tecnici (insieme a Bill Harrison e Bill Rusch). Inizia così a prendere forma il primo prototipo di videogioco destinato al mercato domestico, ma le difficoltà sono maggiori del previsto e il progetto non decolla prima del 1971, quando la Magnavox (battendo la concorrenza di Rca, Zenith e General Electric) decide di commercializzare il gioco di hockey prodotto dalla Sanders con il nome di Odyssey. Si tratta, per la verità, di un hockey piuttosto atipico, visto che sullo schermo completamente nero del televisore compaiono soltanto due barrette luminescenti che si contendono, fino all’ultimo rimbalzo, la "pallina" più quadrata della storia dei videogames. Intanto, mentre Baer, Harrison e Rusch lavorano sodo in laboratorio, un giovanotto di nome Nolan Bushnell, appena laureatosi in ingegneria alla University of Utah, sta percorrendo in maniera del tutto inconsapevole la stessa strada. Ma il suo obiettivo non sono le case degli americani. Folgorato da Spacewar durante gli anni dell’università, Bushnell - che dopo la laurea è stato assunto dall’Ampex per occuparsi di cose "serie" - trascorre tutto il suo tempo libero nella cameretta della sorella, per l’occasione trasformata in officina, tentando di costruire una versione arcade (8) del capolavoro di Steve Russell. Anche Bushnell incontra molte difficoltà di ordine tecnico, ma alla fine riesce nel suo intento. E vende una versione semplificata del gioco alla Nutting Associates. Nasce così Computer Space, il primo videogame commerciale della storia, che sarà protagonista, nel 1971, di una fugace apparizione nelle sale-giochi e che permetterà a Bushnell di racimolare i soldi necessari per dare vita, appena un anno più tardi, a Pong. Pong l’immortale. Il concetto alla base di Pong è esattamente lo stesso dell’hockey di Odyssey: due racchette virtuali che tentano di respingere una quasi-palla che rimbalza sullo schermo; chi manca la palla regala un punto all’avversario; chi arriva per primo a 15 punti ha vinto. L’unica, vera differenza è la possibilità di dare un certo "effetto" alla pallina colpendola nell’ultimo istante utile. Più semplice di Spacewar e più innovativo del più moderno dei flipper, Pong è uno straordinario successo per tutto il 1972 e per buona parte del 1973. "Dopo aver installato la prima macchina - avrebbe raccontato Bushnell vent’anni dopo - sono andato di corsa a casa perché ero troppo emozionato per sopportare un insuccesso. Un paio d’ore più tardi, il gestore della sala giochi mi telefona disperato. Si è rotto, dice. E io mi precipito a vedere cos’è successo. In effetti non funzionava più. Ma soltanto perché le monetine da 25 centesimi non entravano più nella macchina. Il mio Pong era così pieno di soldi che rischiava di scoppiare!".

4. L’impero Atari (1975-79)

Lo straordinario successo di Pong nelle sale-giochi e quello, anche se più contenuto, di Odyssey nelle case di tutti gli States (9) provocano una vera corsa alla clonazione. A metà degli anni Settanta sono in vendita più di cinquanta sistemi pong-style, con un prezzo che oscilla tra i 49 e gli 89 dollari, a seconda delle caratteristiche (colore, numero dei giochi, controlli a distanza, calcolo automatico del punteggio (10)). Bushnell, intanto, fonda l’Atari e riesce ad ottenere un finanziamento di 10 milioni di dollari per espandere la sua attività. Il suo primo passo è quello di dare vita ad una versione "casalinga" di Pong, che in breve tempo surclassa i sistemi della Magnavox e di tutta la concorrenza (11). Dopo il picco di vendite raggiunto nel Natale 1975, però, il pubblico inizia ad averne abbastanza di vedere la solita noiosa pallina rimbalzare sullo schermo, pur con tutte le varianti che le case produttrici riescono ad escogitare. E comincia a chiedere qualcosa di più. Nelle sale-giochi compaiono Tank, sempre dell’Atari (il primo videogame che utilizza una memoria Rom (12) per immagazzinare i dati grafici) e Gunfight, creato dalla giapponese Taito e importato negli Stati Uniti dalla Midway, una sorta di sparatoria nel Far West che per la prima volta è gestita interamente da una macchina dotata di microprocessore. Bisogna aspettare la fine del 1976, però, perché qualcosa inizi a muoversi anche sul fronte dedicato all’utenza domestica. La novità è rappresentata dal primo videogioco programmabile della storia, il Channel F prodotto dalla Fairchild. Inserendo cartucce vendute separatamente dalla console, per la prima volta l’utente può cambiare gioco senza essere costretto a sorbirsi l’ennesimo clone di Pong. Il gioco più venduto per il Channel F è Death Race, sviluppato dalla Exidy Games, in cui uno spericolato automobilista guadagna punti investendo ignari pedoni. I moralisti, all’unisono, gridano allo scandalo. Sempre nel 1976, ma nelle sale-giochi, arriva Breakout dell’Atari. Si tratta di una versione sofisticata (e per un solo giocatore) di Pong, in cui lo scopo è abbattere, con la solita racchetta e la solita pallina, un muro composto da mattoni colorati. I programmatori di Breakout sono Steve Jobs e Steve Wozniak, che qualche anno più tardi fonderanno l’Apple, costruendo i primi prototipi dei loro personal computers proprio con componenti elettronici "presi in prestito" durante la loro breve esperienza all’Atari. Nel Natale del 1977, Bushnell - che da qualche mese ha ceduto la proprietà di Atari alla Warner Communications restando però alla guida dell’azienda - lancia il "Video Computer System" (che diventerà celebre con la sigla "VCS 2600"), entrando nel mercato delle consoles "programmabili". Il prezzo è di 249 dollari e le vendite inizialmente stentano, creando frizioni tra Bushnell e il presidente della Warner, Steve Ross, che poche settimane più tardi provocheranno l’abbandono da parte del fondatore di Atari. Intanto i giochi arcade sono diventati un fenomeno di massa. Tra il 1978 e il 1979 escono titoli che resteranno nella storia. Nel gioco di guida Fire Truck, di Atari, è possibile per la prima volta sperimentare una modalità "cooperativa". Football, sempre di Atari, è il primo gioco sportivo di un certo livello grafico (13). E con Space Invaders, della Taito, i videogames escono addirittura dalle sale-giochi e dai bar per approdare ovunque, perfino nei ristoranti e nelle sale d’attesa dei cinema. Space Invaders, in cui bisogna difendere la Terra da un’invasione aliena sempre più frenetica, diventa ben presto uno straordinario successo di pubblico, tanto che la sua versione per Atari VCS 2600 contribuisce a trasformare un flop annunciato in un trionfo di vendite che durerà quasi cinque anni. In Giappone, per qualche mese, la popolarità di Space Invaders provoca addirittura un’inattesa "carestia" di monetine. Altre uscite di rilievo, nello stesso periodo, sono Lunar Lander e Asteroids (14) prodotti dall’onnipresente Atari. Asteroids, con la solitaria lotta di una piccola astronave contro le immense forze dello spazio profondo, si rivela il best-seller arcade di tutti i tempi dell’azienda fondata da Bushnell: 80mila macchine diffuse soltanto negli Stati Uniti. Un record che Atari non riuscirà più a superare.

5. L’età dell’oro (1980-83)

Gli anni tra il 1980 e il 1983 sono universalmente riconosciuti come un periodo di straordinaria creatività e successo commerciale per i videogames, soprattutto nelle sale-giochi. Atari, regina del mercato, continua a sfornare titoli con frequenza impressionante: Battle Zone, Quantum, Star Wars e soprattutto Tempest danno nuova linfa al genere "vettoriale"; Warlords, Missile Command e Centipede sono invece titoli più tradizionali, ma ottengono ugualmente un successo eccellente. L’americana Williams, famosa per i suoi flipper e per aver importato negli States i giochi della Taito, inizia a sviluppare titoli in proprio e si impone all’attenzione generale con capolavori assoluti come Defender, Joust e Robotron 2024. Anche un’altra azienda affermatasi con i flipper, la Bally-Midway, entra nel settore dei videogiochi. E lo fa in grandissimo stile con Pac Man, un labirinto in cui una specie di pallina gialla (dotata di una bocca enorme) deve sfuggire ad una serie infinita di coloratissimi fantasmini, riuscendo occasionalmente a trovare l’energia necessaria per ribaltare la situazione. Gorf e Tron (15), quest’ultimo realizzato in collaborazione con la Disney, sono gli altri due grandi hit della Bally-Midway. Pac Man, insieme a Centipede, è uno dei primi giochi che riesce a catturare il pubblico femminile, dando vita ad un vero filone di titoli non-violenti che, con la loro grafica "fumettosa", portano finalmente le ragazze in sala-giochi (con grande sollievo dei maschietti). La giapponese Namco, al contrario, perfeziona gli "sparatutto" alla Space Invaders con giochi, come Galaxian e lo straordinario Galaga, che fanno di velocità e distruzione totale le loro armi vincenti. Nel 1981, due case produttrici giapponesi fanno capolino nel mercato a stelle e strisce. Si tratta delle due aziende che monopolizzeranno il settore delle consoles domestiche nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi anni del decennio successivo: Sega e Nintendo. La Sega si presenta alla platea mondiale con Frogger, nel quale una piccola ranocchia deve affrontare prima la furia del traffico automobilistico e poi un fiume impetuoso per arrivare in salvo nella sua tana. L’esordio di Nintendo, invece, è rappresentato da Donkey Kong, un gioco di piattaforme in cui Mario, un idraulico italo-americano, deve vedersela con un discepolo di King Kong che ha rapito la sua fidanzata. Berzerk, creato dalla Stern, è invece il primo videogame parlante della storia. Merita una citazione di merito, infine, anche la Konami, con Gyruss, Q*Bert, Time Pilot e la frenetica simulazione di atletica leggera Hyper Olympics. Con le sale-giochi ormai diventate un fenomeno di massa, nel mercato domestico si scatena una corsa sfrenata per accaparrarsi i diritti dei titoli più gettonati e convertirli per le consoles. Il VCS 2600 è il sistema che, più di ogni altro, sfrutta questa strategia. E Atari vende una quantità eccezionale di macchine, stimolando la concorrenza a gettarsi nella mischia. Il primo avversario del VCS, in ordine cronologico, è l’Intellivision della Mattel. Venduta nel 1981 a 299 dollari, questa nuova console vanta una grafica e un sonoro decisamente superiori al VCS, ma non riesce mai realmente a decollare, soprattutto per colpa delle disastrose scelte di marketing (16) compiute dai dirigenti Mattel, abituati a trafficare con Barbie ma poco esperti nel neonato mercato della microelettronica. La cronica mancanza di conversioni arcade (17) ne decreta la fine prematura, malgrado giochi di buon livello come Night Stalker, Advanced Dungeons and Dragons, Nhl Hockey e Football. La Coleco (18), con il suo Colecovision, tenta invece di seguire la strada maestra tracciata da Atari, stringendo accordi con molte case produttrici del settore arcade e tentando di sviluppare giochi capaci di ricalcare il più possibile l’atmosfera unica delle sale-giochi. Il titolo più riuscito è senza dubbio la fedelissima conversione di Donkey Kong, regalata a tutti gli acquirenti della console. Spinto da una qualità grafica nettamente superiore a quella dei suoi concorrenti, da giochi come Lady Bug o Venture e dalla possibilità (grazie ad un adattatore chiamato "Atari Expansion Kit") di leggere anche le cartucce del VCS 2600, il Colecovision vende un milione di unità in poco più di sei mesi nei soli Stati Uniti. Quando la stella della Coleco sembra addirittura sul punto di oscurare Atari e Mattel, però, l’azienda del Connecticut compie un errore decisivo: proprio come la Mattel, decide di entrare di gran carriera nel nascente mercato degli home computers e annuncia la produzione di "Adam", un gioiellino che purtroppo viene commercializzato con tanta precipitazione che le prime versioni sono stracolme di difetti, sia hardware che software. L’immagine della società americana viene macchiata irrimediabilmente da questo flop inaspettato. E le vendite del Colecovision crollano così bruscamente che nel gennaio del 1984 la macchina viene ritirata dal mercato. Dopo aver venduto sei milioni di consoles in tutto il mondo, insomma, Coleco abbandona in tutta fretta il mercato dei videogiochi. Non sarà l’unica vittima di questo "maledetto" 1984.

6. Il grande crollo del 1984

Nel 1984, improvvisamente, il pubblico americano (19) smette di comprare le consoles di videogiochi. Per le centinaia di aziende entrate da pochissimo in questo mercato emergente si tratta di uno shock con conseguenze gravissime, sia finanziariamente che sotto il profilo occupazionale. Le cause di questa doccia fredda, che arriva senza alcun preavviso e lascia tutti impreparati, sono soprattutto due. La prima è l’avvento impetuoso degli home computers, macchine basate su microprocessori più potenti di quelli ospitati dalle consoles e capaci di far girare software di qualsiasi genere (oltre, natualmente, a videogiochi sempre più sofisticati). Il secondo motivo, invece, è strettamente collegato con l’incredibile successo di vendita di sistemi come il VCS 2600, l’Intellivision e il Colecovision. Fiutato il "filone d’oro", un grande numero di imprese, senza alcuna esperienza nel settore dell’elettronica o in quello dell’entertainment, decide di sfidare la sorte. Venditori di dentifricio, di cibo per cani e di cerotti provano a produrre videogiochi per pubblicizzare le loro merci. Perfino la Quaker Oats, invece di concentrasi su qualità e prezzo dei propri cornflakes, giudica opportuno dar vita ad una divisione interna specializzata in videogiochi. Il risultato di questa indigestione è disastroso. Nel 99 per cento dei casi, infatti, si tratta di titoli orribili, che contribuiscono a soffocare un mercato ormai quasi saturo. Anche le sale-giochi risentono di questa involuzione. E non è un caso che gli arcades più popolari del 1984 siano titoli che hanno davvero poco a che fare con i videogiochi: Dragon’s Lair e Space Ace, della Cinematronics fondata da Rick Dyer e dall’ex-disegnatore della Disney, Don Bluth, sono due interessanti esperimenti che sfruttano la tecnologia del laser-disc per garantire un’esperienza grafica identica ai cartoni animati, anche se troppo poco interattiva (20). La crisi è così profonda che perfino l’Atari si trova in cattive acque, con i giochi per VCS 2600 che vengono venduti a prezzo stracciato nei supermercati. L’azienda che ha inventato Pong, ormai controllata interamente dalla Warner, avrebbe anche l’occasione per uscire dalla palude, perché Nintendo - che ha appena sviluppato una console piuttosto potente, il Nintendo Entertainment System (Nes) - pensa proprio all’Atari per commercializzare il prodotto negli Stati Uniti. Atari rifiuta. E pagherà questa scelta a caro prezzo.

7. Home computer o Nintendo? (1984-87)

Nato in America e molto diffuso in Giappone, il mercato dei videogiochi viene sconvolto da un geniale ingegnere europeo, l’inglese Clive Sinclair. Dopo un brillante esordio nel settore delle radio a transistor, nel 1980 Sinclair "inventa" un kit di componenti elettronici, venduto per corrispondenza, che permette a chiunque di costruirsi un vero computer - lo ZX80 - tra le pareti di casa. Il prezzo, inferiore alle 100 sterline, è incredibilmente basso (21), anche se le caratteristiche del computer sono inadeguate perfino per l’epoca (la memoria totale del sistema è di 1 kilobyte e non esiste alcuna modalità grafica). Seguito nel giro di pochi mesi dallo ZX81 (con una memoria espandibile fino a 16K e la possibilità di registrare i programmi su una normalissima audiocassetta), il computer di Sinclair rappresenta comunque il primo passo di quella diffusione di massa dell’informatica che ancora oggi non accenna a rallentare. Tra il 1981 e il 1982, escono macchine sempre più potenti in grado, tra l’altro, di garantire un certo livello di soddisfazione anche al videogiocatore più esigente. Dal 1983 in poi, gli home computers iniziano a rappresentare una valida alternativa alle consoles più in voga. In Europa la leadership di mercato è in bilico tra la tedesca Commodore - con il Vic20 e successivamente il potente C-64 - e la britannica Sinclair che, dopo lo ZX81, produce il minuscolo ma affascinante ZX Spectrum. Outsider di lusso, nel Vecchio Continente, sono il BBC della Acorn e l’Amstrad CPC-464. Negli Stati Uniti, invece, il primato della Commodore è insidiato da Atari - prima con i modelli 400 e 800, poi con la serie XL - e dal TI-99 della Texas Instruments. In Giappone, infine, spopolano gli home computers compatibili con lo standard Msx (22) che vengono fabbricati e venduti da alcuni colossi dell’elettronica come (in ordine rigorosamente alfabetico) Canon, Goldstar, Hitachi, Jvc, Mitsubishi, Sanyo, Sega, Sony, Spectravideo, Toshiba e Yamaha. Con l’esplosione di questo nuovo mercato e il contemporaneo appannamento delle consoles, i titoli arcade di successo vengono sempre più spesso convertiti per gli home computers più diffusi. E le case di software orientate eclusivamente verso l’utenza domestica - che hanno la possibilità di lavorare con macchine più potenti e soprattutto più versatili - esplorano sentieri creativi fino a quel momento rimasti dominio esclusivo dei possessori di grandi mainframe o, comunque, di computer da qualche migliaio di dollari. Nascono centinaia di giochi che qualche anno prima non era possibile neppure concepire: The Hobbit (per ZX Spectrum e, più tardi, per C-64) è soltanto il primo esempio di un nuovo genere di avventure grafico-testuali che tiene incollati al video milioni di teenagers di ogni età. Ma ce n’è per tutti i gusti (23) e per ogni portafoglio, visto che, insieme agli home computers, cresce un fenomeno molto popolare tra i videogiocatori e che - nel bene e nel male - contribuirà in maniera forse decisiva alla diffusione di massa dell’informatica personale: la pirateria del software (24). Intanto, proprio mentre tutti gli analisti giurano che i computer stanno per sostituire definitivamente le consoles come sistemi di videogioco, la Nintendo - lentamente ma inesorabilmente - diffonde il Nes in tutto il mondo. Favorita dalla totale assenza di concorrenti nel suo segmento di mercato e da un "controllo di qualità" del software quasi maniacale, la casa giapponese è l’unica ad uscire indenne dal crash del 1984 e inaugura una nuova era per le consoles. Legend of Zelda, un gioco di ruolo semplificato con grafica da cartoon nipponico, e Super Mario Bros, che vede il ritorno in grande stile dell’idraulico italo-americano protagonista di Donkey Kong sono due tra i titoli più popolari usciti per la macchina Nintendo. Ed è sempre dal Paese del Sol Levante, visto il declino sempre più accentuato di Atari (25), che arriva l’unico serio avversario del Nes: il Master System della Sega, che grazie ai profitti ottenuti con la produzione di videogiochi arcade decide di entrare anche nel mercato delle consoles. Il Master System riesce ad intaccare il monopolio Nintendo soltanto in Europa, ma la Sega fa furore nelle sale-giochi con capolavori come Space Harrier, un primo tentativo di "sparatutto" tridimensionale che in molti cercheranno di imitare. Altri giochi di ottimo livello prodotti in questo periodo sono Ghost’n’Goblins della Capcom, GaDaily della Namco (il seguito di Galaxian e Galaga) e Gauntlet dell’Atari. Ma non è più il mercato degli arcades, ormai, la fucina creativa per i videogiochi della nuova generazione.

8. Tra Amiga e nuove consoles (1988-92)

Gli anni a cavallo del decennio vedono il grande ritorno delle consoles, ma anche l’inesorabile affermarsi dei computer (sempre meno home e sempre più personal) come macchine ideali per un certo tipo di giochi, soprattutto quelli di simulazione e strategia. A dominare il mercato delle consoles è Nintendo, che con il suo Nes riesce a tenere testa - malgrado un crescente svantaggio tecnologico - ad una concorrenza sempre più agguerrita e capitanata prima dalla Nec, con il PcEngine (Turbografx-16 negli Stati Uniti), e poi dalla Sega con il Genesis (venduto in Europa come Megadrive). Nel 1989 Nintendo presenta il GameBoy, una console portatile in bianco e nero che, malgrado alcune pesanti limitazioni hardware, diventerà un fenomeno mondiale di vendite grazie all’enorme quantità e all’ottima qualità dei giochi disponibili. Uno per tutti: il popolarissimo puzzle-game Tetris, scritto da uno sconosciuto programmatore sovietico (26), che infesterà a lungo gli incubi di milioni di ignari individui. Nello stesso anno, Atari prova ad opporsi a questa mossa con il Lynx, sempre portatile ma a colori, nonostante il prezzo competitivo (149 dollari contro i 179 del GameBoy), però, uscirà dalla contesa con le ossa rotte. Nel 1990, per frenare l’ascesa dell’ottimo Sega Megadrive, Nintendo presenta in Giappone il Super Famicom (che uscirà in tutto il mondo nel ’91 con il nome di Super Nintendo). Dopo aver prolungato di almeno un anno la vita del Nes grazie al successo di Super Mario 3, la cartuccia più venduta di tutta la storia dei videogiochi, Nintendo decide di regalare agli acquirenti del Super Famicon il quarto capitolo dell’interminabile saga di Mario, Super Mario World. Anche questa volta si tratta di un titolo dalla grafica e dalla giocabilità inimitabili, che contribuisce a far schizzare alle stelle le vendite della nuova console. La Sega risponde immediatamente, regalando insieme al Megadrive il gioco di piattaforme più veloce e colorato che sia mai approdato tra le pareti domestiche, Sonic the Hedgehog, interpretato da un porcospino blu con scarpe da jogging rosso fuoco. La guerra, sanguinosa e divertente, finisce senza vinti né vincitori. Anche se la Sega, che era riuscita a superare le vendite della Nintendo grazie alla conversione per Megadrive di alcuni titoli arcade molto apprezzati come Afterburner 2, E-Swat e Strider, va incontro ad un clamoroso insuccesso con una periferica cd-rom forse troppo in anticipo sui tempi. Intanto, mentre i giocatori più riflessivi abbracciano i sempre più numerosi personal computers compatibili Ibm, che escono in massa dagli uffici per atterrare sulle scrivanie di casa, nel 1987 la Commodore lancia sul mercato un computer fantastico, capace di tenere testa sia ai pc che alle consoles più potenti: il suo nome è Amiga. Basato sul microprocessore Motorola 68000, lo stesso del costosissimo Apple Macintosh, l’Amiga - oltre a possedere il primo, vero sistema operativo multi-tasking (27) - è una macchina ideale per giocare, con i suoi 512K di memoria e capacità grafiche (28) e sonore che umiliano letteralmente quelle di tutti i concorrenti, tranne forse l’Atari 520ST (29). Il successo dell’Amiga, soprattutto in Europa, è straordinario. E gli sviluppatori di software sfornano migliaia di videogiochi compatibili con la versione base del computer (il modello 500): titoli sportivi che restano nella storia, innanzitutto, come Kick Off, Formula 1 Grand Prix e Sensible Soccer, ma anche violentissimi "sparatutto" come Project X, feroci "picchiaduro" come Body Blows e Mortal Kombat, avventure grafiche del calibro di Secret of Monkey Island, giochi di piattaforme originali e divertenti, come Super Frog e Putty Putty e perfino qualche simulazione di volo tridimensionale. L’Amiga, ancora oggi in commercio con le sue versioni più potenti basate sui processori PowerPc (sempre di Motorola), scompare dal mercato di massa dopo qualche anno di vita entusiasmante. Colpa delle forsennate strategie di marketing della Commodore (che più tardi venderà il marchio Amiga alla Escom) e di una pirateria che, nei primi anni Novanta, raggiunge livelli davvero esorbitanti. Nelle sale-giochi, purtroppo, si assiste ad una crisi di creatività che va di pari passo con l’avanzamento delle capacità tecnologiche. Almeno due, però, sono i titoli che si distinguono dalla massa: Street Fighter 2, della Capcom, diventa il nuovo metro di paragone per il genere dei "picchiaduro" con le sue mosse speciali e la capacità quasi ipnotica di attrarre folle di giocatori; Virtua Racing, della Sega, ridefinisce da zero il genere delle simulazioni di guida con una giocabilità fuori dal comune e un motore grafico tridimensionale che lascia letteralmente a bocca aperta.

9. Arriva il personal computer (1993-94)

La "legge di Moore", formulata dal co-fondatore della Intel, Gordon Moore, prevede un ritmo di sviluppo capace di raddoppiare la potenza di calcolo dei microprocessori ogni diciotto mesi. Moore, in realtà, si sbaglia. Perché negli ultimi anni la potenza dei processori è cresciuta più in fretta, raddoppiando ogni dodici mesi. E mentre i "normali" utenti di personal computers hanno probabilmente sottovalutato questo fenomeno, limitandosi ad apprezzare un lieve aumento della velocità dei loro elaboratori di testo e database, i videogiocatori dotati di un pc - come tutti gli utenti di software "estremo" - hanno avuto la chiara percezione di essere stati travolti da una rivoluzione senza precedenti. Già verso la fine degli anni Ottanta, i cosiddetti Ibm-compatibili iniziano ad essere utilizzati anche per giocare. Ma, a parte qualche rara eccezione, i videogames per pc sono distanti anni-luce, per impatto grafico o sonoro, da quelli sviluppati per console o computer come l’Amiga. Con il passare del tempo, però, l’architettura "aperta" dei personal computers permette lo sviluppo di periferiche sempre più orientate verso applicazioni ludiche. Compaiono i primi joysticks dedicati (quelli tradizionali non sono compatibili), le schede sonore, i lettori cd-rom, le prime schede grafiche più veloci di una tartaruga zoppa. I programmatori non hanno più scuse. E più di una casa software inizia a sviluppare videogiochi per pc. Le prime conversioni dei classici arcade sono davvero orribili, ma le macchine danno il meglio con le avventure grafiche o testuali (Manic Mansion, Zork, The Secret of Monkey Island, Day of the Tentacle), i simulatori di volo che cominciano ad esplorare le infinite possibilità del 3D, i giochi di ruolo (gli otto capitoli della saga di Ultima, della Origin, sono l’esempio più eclatante) e quelli manageriali, come Sim City o Populous, migliori addirittura delle rispettive versioni per Amiga. Non manca poi qualche capolavoro assolutamente originale. Prince of Persia dona nuovo spessore al genere dei platforms, utilizzando una nuovissima tecnica (detta rotoscoping) di rappresentazione dei movimenti. Wing Commander è un simulatore di volo spaziale con spiccate tendenze cinematografiche e una trama coinvolgente. Doom, seguendo le orme di Wolfestein 3D, crea il genere degli "sparatutto" tridimensionali con vista in soggettiva, che verrà poi perfezionato da Quake (della Id Software come i suoi due predecessori, Duke Nuhem 3D e Unreal). Anche Dune 2 dà va ad un nuovo genere, quello degli "strategici" in tempo reale, che troverà la sua massima realizzazione con Warcraft e Command and Conquer. In Civilization e Civilization 2, infine, considerati da molti (30) come i migliori giochi di ogni epoca, Sid Meier riesce a fondere con maestria elementi di strategia miltare, pianificazione economica e progresso scientifico in un contesto grandioso: la storia dell’umanità dal 4000 avanti Cristo alla conquista dello spazio. Il pc, insomma, inizia ad imporsi con forza come macchina da gioco. E il mondo delle consoles non sembra più tanto affascinante da impedirne l’avanzata. Nel 1993, la Panasonic lancia il 3DO, il primo videogioco basato su un processore a 32 bit, con il supporto di una sconfinata moltitudine di case software. Ma il tutto si rivela presto un flop di dimensioni grandiose. Atari, reduce dal bruciante insuccesso del Panther, ci prova con il Jaguar. Ma evidentemente i felini di grossa taglia non portano bene all’azienda fondata da Nolan Bushnell. Nintendo e Sega annunciano sistemi con tecnologia a 64 bit, ma poi preferiscono concentrarsi su costose (e poco vendute) espansioni per Famicom e Megadrive. Nelle sale-giochi, invece, soltanto Daytona Usa riesce a farsi notare perché, anche se si tratta del solito simulatore di guida, il suo motore 3D rappresenta davvero lo stato dell’arte della tecnologia videoludica. Per tutti quelli che già pronosticano un decennio di monopolio dei personal computers nel settore dei video-giochi, però, una sorpresa è proprio dietro l’angolo.

10. Il fenomeno playstation (1995-98)

È dalla seconda metà del 1991 che si sente parlare di una "cosa" chiamata playstation. I bene informati spiegano che si tratta di un progetto, nato da una collaborazione tra Nintendo e Sony, per dotare il Super Famicon di una periferica cd-rom. Passano i mesi, ma l’insuccesso del Sega-Cd raffredda gli entusiasmi iniziali e, nel maggio del 1992, Nintendo e Sony rompono il sodalizio. Tutto sembra essere finito nel nulla, fino a quando i vertici della Sony non scoprono che la "Grande N", in realtà, sta trattando segretamente con la Philips per dare vita ad un lettore compatibile con il formato Cd-i (31). I dirigenti della Sony, disgustati dall’atteggiamento della Nintendo, decidono di reagire all’affronto e mettono alla frusta un esercito di ingegneri con un solo obiettivo: sviluppare una console a 32 bit, dotata di un lettore cd e capace di scalzare la Nintendo dal trono del mercato mondiale. Nasce così, da uno sgarbo e una vendetta, il successo più formidabile della storia dei videogiochi. La playstation viene presentata in Giappone nell’inverno del 1994 e quando arriva, qualche mese più tardi, in Europa e Stati Uniti, può già contare su un valido pacchetto di titoli (conversioni arcade come Ridge Racer e giochi originali come Toshinden) oltre che su un prezzo molto competitivo (32). La prima vittima del "mostro" della Sony, però, non è Nintendo ma Sega, che proprio in quegli stessi mesi ha lanciato la sua nuova console Saturn. L’aggressiva politica di marketing condotta dalla Sega non può nulla contro la playstation, che vende sempre di più, attira nuovi sviluppatori di software e ogni mese cala di prezzo. Il fenomeno inizia a preoccupare anche la Nintendo, che rinvia ancora la sua console a 64 bit e resta alla finestra, in attesa degli eventi. Si tratta, però, di una mossa sbagliata, perché Sony continua a conquistare segmenti di mercato e diventa presto l’evento tecnologico dell’anno. Gran parte del successo, naturalmente, è dovuto alle sue innovative caratteristiche hardware, che comprendono un microprocessore a 33 MhZ dedicato esclusivamente alla gestione della grafica 3D. Ma anche il Saturn è una buona macchina, eppure vende un decimo del gioiellino Sony. La verità, dunque, va cercata nell’enorme disponibilità di giochi che contraddistingue la playstation. Ed è proprio questo il tallone d’Achille della Nintendo, che per il suo nuovissimo Ultra 64, già pronto da mesi e tecnicamente superiore a tutta la concorrenza, è riusciuta a mettere in piedi soltanto un ristretto numero di titoli. Nella seconda metà del 1996, per uscire da un’impasse che rischia di ucciderla, la Nintendo si decide a presentare la sua nuova creatura. Puntando tutto, ancora una volta, sulla carismatica figura di Mario. E anche Super Mario 64, in effetti, si rivela un gioco impressionante per giocabilità e realizzazione tecnica, riuscendo - praticamente da solo - a spingere l’Ultra 64 verso buoni risultati di vendita. Niente a che vedere, però, con le stratosferiche cifre raggiunte dalla Sony, che ormai impazza in tutti e cinque i continenti. La sfida è vinta. Molti dei videogiochi più popolari, da Tomb Raider ai titoli sportivi della Electronic Arts (la serie di Fifa, Nba e Nhl) vengono prodotti per due soli sistemi: il pc e la playstation. Non è un caso, naturalmente, che si tratti delle uniche due macchine da gioco basate su un lettore cd-rom. Con il prezzo dei masterizzatori (33) ormai sceso a livelli accettabili, infatti, la capillare diffusione della pirateria software diventa - paradossalmente - un motivo in più per comprare un personal computer o una console della Sony invece che un Ultra 64 (che utilizza ancora le cartucce). E titoli che, nei negozi, costano intorno agli 80 dollari, dopo qualche settimana compaiono a prezzo scontatissimo nelle bancarelle, reali o virtuali, dei pirati.

In ogni caso, ormai il pc e la playstation monopolizzano di fatto il mercato dei videogiochi. Il personal computer può vantare una versatilità e una "profondità" maggiori, soprattutto per le avventure e i titoli strategici, ma la semplicità d’uso e il prezzo della console Sony sono due fattori decisivi che le hanno permesso di entrare con forza nel mercato di massa, riuscendo in un’impresa che - dai tempi di Pong - era sempre considerata poco più di un’utopia. Soltanto negli ultimi tempi, con l’adozione di schede acceleratrici 3D dell’ultima generazione (34) e l’esplosione del fenomeno Internet (35), il personal computer sembra aver riconquistato un margine di vantaggio tecnologico tale da giustificare la grande differenza di prezzo che lo separa dal sistema della Sony. Ormai qualche mese, però, si parla con insistenza di una playstation 2. E la Sega ha appena lanciato il suo Dreamcast, che oltre a garantire una grafica 3D spettacolare, ospita un sistema operativo analogo a quello dei personal computers (36) e negli Usa viene venduto insieme ad un modem. Una specie di ibrido tra console e pc, insomma, che molti considerano come destinato ad un sicuro successo. Ma le sorprese, nel mondo dei videogiochi, non finiscono mai.

Note

1. J.C. Herz, Joystick Nation: How Computer Games Ate Our Quarters, Won Our Hearts and Rewired Our Minds, Little Brown, Usa, 1997.

2. Secondo altre fonti, invece, il primo videogioco della storia sarebbe un rozzo "video-tennis" programmato da un ingegnere di nome Willy Higinbotham, nel 1958, su un oscilloscopio analogico del Brookhaven National Laboratory.

3. Il gruppo di giovanissimi studenti ed assistenti universitari che, come si può intuire dal nome del club, si occupavano della manutenzione di un enorme modello in miniatura di rete ferroviaria che occupava un paio si stanze del Mit. La maggior parte di loro, più tardi, si "riciclò" nel settore dell’informatica.

4. Gli elaboratori elettronici, spesso grandi come stanze, che dominavano la scena dell’informatica prima dell’avvento dei personal computers.

5. Basic: acronimo di Beginner’s All-purpose Symbolic Instruction Code, un linguaggio di programmazione molto diffuso nei primi computers e, con qualche variante, anche in quelli di oggi.

6. Il gioco era originariamente conosciuto come Advent, visto che il nome dei files presenti sui mainframes dell’epoca non poteva superare le sei lettere.

7. Una grande azienda che forniva dispositivi elettronici di vario genere all’esercito degli Stati Uniti.

8. Arcade, letteralmente "portico" o "galleria", è il nome che gli americani danno alle sale-giochi.

9. L’Odyssey vende più di 100mila unità, tutte corredate da pellicole adesive con fondali colorati da applicare agli schermi televisivi.

10. Il primo Odyssey non aveva neppure la potenza computazionale per calcolare il punteggio, mentre le versioni successive del sistema Magnavox comprendevano anche giochi chiamati Football, Ski o Submarine. Ma si trattava, quasi sempre, di variazioni sul tema di Pong.

11. Atari riuscì anche a vendere 150mila sistemi di gioco per corrispondenza grazie al catalogo di articoli sportivi della Sears Roebuck.

12. Rom: Read Only Memory.

13. Atari Football è anche il primo gioco in cui compare una trackball e in cui si sfrutta lo scrolling (scorrimento) dello schermo.

14. In Lunar Lander, riedizione del vecchio classico per mainframes della fine anni Sessanta, e successivamente in Asteroids, viene sperimentata per la prima volta la grafica "vettoriale" al posto della consueta bitmap (punto per punto). Si tratta del primo passo in quella tecnica di disegno poligonale che porterà più tardi ai giochi 3D dell’ultima generazione.

15. Il gioco ripropone la celebre corsa tra motociclette virtuali che rappresenta la scena più spettacolare del film realizzato dalla casa fondata da Walt Disney.

16. Il tracollo dell’Intellivision arriva nel 1983, quando la Mattel presenta Aquarius, un home computer che doveva essere compatibile con le cartucce della console. Al momento della sua commercializzazione, però, si scopre che il computer (che pure presenta alcune caratteristiche molto interessanti, come una memoria espandibile fino a 52K e una risoluzione grafica - 320x192 punti - di tutto rispetto) è in grado di funzionare solo con software "proprietario". È la morte, definitiva, sia per l’Aquarius che per l’Intellivision. E la Mattel abbandona per sempre il mercato dei videogiochi.

17. In realtà, soprattutto nei suoi ultimi mesi di vita, ci fu più di una conversione arcade per Intellivision (Burgertime, Bump’n’Jump, Carnival, Centipede, Congo Bongo, Dig Dug, Pac Man, Q-Bert, Zaxxon). Quasi sempre, però, si trattava di prodotti realizzati in maniera frettolosa e scadente.

18. La Coleco (acronimo di Conneticut Leather Company), introdusse nella prima metà degli anni Settanta, il chip Telstar Arcade, sul quale erano basati quasi tutti i cloni di Pong dedicati al mercato domestico.

19. Il fenomeno, in Europa, si verificherà tra la fine del 1984 e l’inizio del 1985.

20. In giochi come Astron Belt, Firefox e M.A.C.H. 3, invece, il laser-disc viene adoperato soltanto per la realizzazione degli sfondi, mentre tutto il resto ha l’aspetto (e la giocabilità) di un videogame più tradizionale.

21. Il più economico dei personal computers dell’epoca, il Commodore PET, costava la bellezza di 730 sterline. E negli States, per il favoloso Apple II di Jobs e Wozniak, si potevano sborsare anche 2000 dollari.

22. Lo standard Msx, creato per contrastare lo strapotere europeo e statunitense nel mercato giapponese degli home computers, obbligava i costruttori a rispettare alcune caratteristiche specifiche (per garantire la compatibilità del software), ma lasciava piena libertà nello sviluppo delle periferiche. I computer Msx non hanno mai avuto un grande successo al di fuori dei confini giapponesi.

23. Lo spazio, in questa sede, è troppo ristretto perfino per abbozzare una lista sommaria dei giochi più diffusi o per tentare una classificazione sistematica di generi e sotto-generi.

24. Copiare software per computer, non solo negli anni ’80, è un’operazione quasi banale. Mentre duplicare una cartuccia per console è possibile soltanto con apparecchiature molto costose.

25. Nell’inverno del 1984 la Warner Communications decide di sbarazzarsi di Atari e trova un acquirente in Jack Tramiel, ex-presidente della Commodore, che abbraccia una strategia decisamente orientata verso il mercato dei computer, abbandonando lentamente la produzione di consoles.

26. Si tratta di Alexey Pazhitnov, all’epoca (1985) membro dell’Accademia scientifica di Mosca e successivamente assunto dalla casa software Spectrum Holobyte.

27. Capace, cioè, di eseguire più di un’applicazione software contemporaneamente.

28. L’Amiga riusciva a raggiungere una risoluzione di 320x200 punti con 32 colori contemporaneamente sullo schermo (da una palette di 4096) e di 640x400 punti nella modalità a 16 colori (sempre da una palette di 4096).

29. Anch’esso basato sul Motorola 68000, l’Atari 520ST riuscì a conquistarsi una certa popolarità tra i musicisti grazie ad una porta Midi incorporata, che gli permetteva di gestire con facilità strumenti elettronici di ogni tipo.

30. Compreso chi scrive.

31. Cd-i: compact disc interactive, un sistema ideato da Philips che avrà un limitato successo nel settore dell’educational.

32. 299 dollari: quasi cento in meno di quanto avevano calcolato gli analisti di mercato e la concorrenza.

33. Le periferiche che permettono di scrivere sui cd-rom (e quindi di duplicare il software, anche illegalmente).

34. L’esempio più importante è quello dei chipset "Voodoo" e "Voodoo2" prodotti dalla 3DFX, su cui sono basate molte delle ultime schede acceleratrici per personal computers. Da segnalare anche il nuovissimo (e potentissimo) chip 128ZX della Riva.

35. La Rete delle Reti è un vero paradiso del videogaming. Oltre a dare la possibilità, con un un mumero di giochi sempre crescente, di confrontarsi per via telematica con amici e sconosciuti, su Internet si possono trovare mappe aggiuntive, espansioni e potenziamenti del proprio titolo preferito. Nell’ultimo anno, poi, è esplosa la moda degli "emulatori", che permettono di ricostruire fedelmente - sullo schermo del proprio pc - la maggior parte dei classici giochi che, da Pong in poi, hanno affollato il mercato arcade e quello domestico.

36. Si tratta di Windows CE (Compact Edition), sviluppato dalla Microsoft per il mercato dei computer "palmari".

Andrea Mancia


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1999