1.
      Spacewar (1962)
      
      "Nell’autunno del 1961 - scrive J.C. Herz nel primo capitolo del suo 
      Joystick Nation (1) - uno scatolone rettangolare atterrò davanti ai 
      gradini della porta d’entrata del Mit. La scatola, che arrivava dalla 
      Digital Equipment Corporation, conteneva il nuovo modello di computer 
      prodotto dalla Dec: il PDP-1. E i suoi costruttori speravano che il 
      dipartimento di ingegneria elettronica del Mit lo avrebbe utilizzato per 
      dare vita a qualcosa di interessante, come vincere la corsa allo spazio, 
      produrre una generazione di robot intelligenti, o almeno rivoluzionare il 
      metodo di elaborazione delle informazioni per la gloria dell’industria 
      americana. Dopo un anno, i pionieri dell’informatica del Mit non avrebbero 
      raggiunto nessuno di questi obiettivi. Ma uno di loro avrebbe scritto il 
      primo videogioco della storia" (2). Spacewar, 
      programmato dal giovanissimo hacker Steve Russell, nasce come uno scontro 
      tra due astronavi che tentano di neutralizzarsi a vicenda sparandosi 
      "siluri fotonici". Il gioco, a cui dovevano necessariamente prendere parte 
      due contendenti (i computer dell’epoca non erano abbastanza potenti per 
      garantire la gestione di un avversario "virtuale" sufficientemente 
      combattivo), sfrutta le innovative caratteristiche del PDP-1, uno dei 
      primi elaboratori elettronici con il quale si interagisce per mezzo di uno 
      schermo televisivo e di una tastiera simile a quella delle macchine da 
      scrivere, invece che tramite i classici "nastri perforati" che 
      caratterizzano gli albori della tecnologia informatica. Dopo aver creato 
      le parti principali del software, Steve Russell chiede aiuto ai suoi amici 
      del Mit per la stesura finale. Pete Samson scrive il programma Expensive 
      Planetarium, che aggiunge un primitivo cielo stellato allo sfondo del 
      gioco. Dan Edwards ottimizza il codice, raddoppiandone la velocità e 
      permettendo l’inserimento di un grosso sole - proprio al centro dello 
      schermo - che attira le due astronavi con la sua forza gravitazionale. Un 
      paio di mesi vengono dedicati al debugging e al perfezionamento del 
      sistema di controllo. Spacewar è pronto nella primavera nel 1962. Gli 
      hackers del Tech Model Railroad Club (3) sono così entusiasti del prodotto 
      finale che a qualcuno viene in mente che forse sarebbe possibile 
      sfruttarlo commercialmente, ma dopo meno di una settimana Russell e soci 
      lasciano cadere l’idea. E decidono di distribuire gratuitamente il gioco. 
      Nel giro di un anno, c’è almeno una copia di Spacewar in ogni centro di 
      ricerca degli Stati Uniti. Qualche milione di dollari, insomma, sottratto 
      al mondo accademico e militare americano.
      
      2. Prima di Pong (1963-1970)
      
      Con il diffondersi dei computer nelle università e nei centri di ricerca, 
      la creazione di rudimentali videogiochi diventa un fatto quasi abituale 
      per la ristretta cerchia dei programmatori di professione. Tra la fine 
      degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, sono almeno una 
      decina i proto-games in circolazione nei grandi mainframes (4) sparsi per 
      tutto il continente nordamericano. In Lunar Lander, destinato ad apparire 
      dopo qualche anno (graficamente rinnovato) anche nelle sale-giochi, si 
      deve pilotare un minuscolo modulo lunare verso un difficile atterraggio su 
      pianeti a gravità differente. Il primo simulatore di volo, insomma, anche 
      se l’interazione con il gioco si limita alla segnalazione scritta, da 
      parte del computer, di tre variabili: velocità del modulo, distanza dalla 
      superficie e carburante residuo. Hammurabi (conosciuto anche con il nome 
      di Kingdom) è invece il progenitore dei giochi manageriali. Una 
      cinquantina di righe di codice in linguaggio Basic (5) che simulano, con 
      crudeltà insospettabile, la gestione di un dominio feudale, tramite il 
      controllo del livello delle imposte e l’amministrazione della semina e 
      della raccolta del grano. Con Hunt the Wumpus, poi, i computer-games si 
      affacciano per la prima volta nel mondo delle avventure fantasy in stile 
      Dungeons and Dragons. Scritto sempre in Basic (questa volta, però, le 
      righe del programma sono almeno 200), Hunt the Wumpus si avvale di una 
      semplice interfaccia testuale e di una struttura labirintica a forma di 
      dodecaedro, ma nel 1967 ispirerà la nascita di un successore di tutto 
      rispetto: il mitico Adventure (6), il padre riconosciuto di tutti i giochi 
      di ruolo elettronici. Nessuno dei giochi di cui abbiamo parlato, però, 
      riesce a sfondare il muro della comunità accademica. I computer necessari 
      per far funzionare i programmi costano, nella migliore delle ipotesi, 
      qualche centinaio di migliaia di dollari. E la gente normale, all’oscuro 
      di tutto, continua a giocare con i flipper. Ma ancora per poco.
      
      3. Pong, l’immortale (1971-74)
      
      Nel 1966, Ralph Baer, ingegnere capo della Sanders Associates (7), inizia 
      a lavorare su quello che lui stesso definisce "un progetto per un utilizzo 
      alternativo degli apparecchi televisivi". Contro il parere dei suoi 
      superiori, convinti che sia soltanto di una perdita di tempo, Baer mette 
      in piedi una piccola ma agguerrita squadra di tecnici (insieme a Bill 
      Harrison e Bill Rusch). Inizia così a prendere forma il primo prototipo di 
      videogioco destinato al mercato domestico, ma le difficoltà sono maggiori 
      del previsto e il progetto non decolla prima del 1971, quando la Magnavox 
      (battendo la concorrenza di Rca, Zenith e General Electric) decide di 
      commercializzare il gioco di hockey prodotto dalla Sanders con il nome di 
      Odyssey. Si tratta, per la verità, di un hockey piuttosto atipico, visto 
      che sullo schermo completamente nero del televisore compaiono soltanto due 
      barrette luminescenti che si contendono, fino all’ultimo rimbalzo, la 
      "pallina" più quadrata della storia dei videogames. Intanto, mentre Baer, 
      Harrison e Rusch lavorano sodo in laboratorio, un giovanotto di nome Nolan 
      Bushnell, appena laureatosi in ingegneria alla University of Utah, sta 
      percorrendo in maniera del tutto inconsapevole la stessa strada. Ma il suo 
      obiettivo non sono le case degli americani. Folgorato da Spacewar durante 
      gli anni dell’università, Bushnell - che dopo la laurea è stato assunto 
      dall’Ampex per occuparsi di cose "serie" - trascorre tutto il suo tempo 
      libero nella cameretta della sorella, per l’occasione trasformata in 
      officina, tentando di costruire una versione arcade (8) del capolavoro di 
      Steve Russell. Anche Bushnell incontra molte difficoltà di ordine tecnico, 
      ma alla fine riesce nel suo intento. E vende una versione semplificata del 
      gioco alla Nutting Associates. Nasce così Computer Space, il primo 
      videogame commerciale della storia, che sarà protagonista, nel 1971, di 
      una fugace apparizione nelle sale-giochi e che permetterà a Bushnell di 
      racimolare i soldi necessari per dare vita, appena un anno più tardi, a 
      Pong. Pong l’immortale. Il concetto alla base di Pong è esattamente lo 
      stesso dell’hockey di Odyssey: due racchette virtuali che tentano di 
      respingere una quasi-palla che rimbalza sullo schermo; chi manca la palla 
      regala un punto all’avversario; chi arriva per primo a 15 punti ha vinto. 
      L’unica, vera differenza è la possibilità di dare un certo "effetto" alla 
      pallina colpendola nell’ultimo istante utile. Più semplice di Spacewar e 
      più innovativo del più moderno dei flipper, Pong è uno straordinario 
      successo per tutto il 1972 e per buona parte del 1973. "Dopo aver 
      installato la prima macchina - avrebbe raccontato Bushnell vent’anni dopo 
      - sono andato di corsa a casa perché ero troppo emozionato per sopportare 
      un insuccesso. Un paio d’ore più tardi, il gestore della sala giochi mi 
      telefona disperato. Si è rotto, dice. E io mi precipito a vedere cos’è 
      successo. In effetti non funzionava più. Ma soltanto perché le monetine da 
      25 centesimi non entravano più nella macchina. Il mio Pong era così pieno 
      di soldi che rischiava di scoppiare!".
      
      4. L’impero Atari (1975-79)
      
      Lo straordinario successo di Pong nelle sale-giochi e quello, anche se più 
      contenuto, di Odyssey nelle case di tutti gli States (9) 
      provocano una vera corsa alla clonazione. A metà degli anni Settanta sono 
      in vendita più di cinquanta sistemi pong-style, con un prezzo che oscilla 
      tra i 49 e gli 89 dollari, a seconda delle caratteristiche (colore, numero 
      dei giochi, controlli a distanza, calcolo automatico del punteggio (10)). 
      Bushnell, intanto, fonda l’Atari e riesce ad ottenere un finanziamento di 
      10 milioni di dollari per espandere la sua attività. Il suo primo passo è 
      quello di dare vita ad una versione "casalinga" di Pong, che in breve 
      tempo surclassa i sistemi della Magnavox e di tutta la concorrenza (11). 
      Dopo il picco di vendite raggiunto nel Natale 1975, però, il pubblico 
      inizia ad averne abbastanza di vedere la solita noiosa pallina rimbalzare 
      sullo schermo, pur con tutte le varianti che le case produttrici riescono 
      ad escogitare. E comincia a chiedere qualcosa di più. Nelle sale-giochi 
      compaiono Tank, sempre dell’Atari (il primo videogame che utilizza una 
      memoria Rom (12) 
      per immagazzinare i dati grafici) e Gunfight, creato dalla giapponese 
      Taito e importato negli Stati Uniti dalla Midway, una sorta di sparatoria 
      nel Far West che per la prima volta è gestita interamente da una macchina 
      dotata di microprocessore. Bisogna aspettare la fine del 1976, però, 
      perché qualcosa inizi a muoversi anche sul fronte dedicato all’utenza 
      domestica. La novità è rappresentata dal primo videogioco programmabile 
      della storia, il Channel F prodotto dalla Fairchild. Inserendo cartucce 
      vendute separatamente dalla console, per la prima volta l’utente può 
      cambiare gioco senza essere costretto a sorbirsi l’ennesimo clone di Pong. 
      Il gioco più venduto per il Channel F è Death Race, sviluppato dalla Exidy 
      Games, in cui uno spericolato automobilista guadagna punti investendo 
      ignari pedoni. I moralisti, all’unisono, gridano allo scandalo. Sempre nel 
      1976, ma nelle sale-giochi, arriva Breakout dell’Atari. Si tratta di una 
      versione sofisticata (e per un solo giocatore) di Pong, in cui lo scopo è 
      abbattere, con la solita racchetta e la solita pallina, un muro composto 
      da mattoni colorati. I programmatori di Breakout sono Steve Jobs e Steve 
      Wozniak, che qualche anno più tardi fonderanno l’Apple, costruendo i primi 
      prototipi dei loro personal computers proprio con componenti elettronici 
      "presi in prestito" durante la loro breve esperienza all’Atari. Nel Natale 
      del 1977, Bushnell - che da qualche mese ha ceduto la proprietà di Atari 
      alla Warner Communications restando però alla guida dell’azienda - lancia 
      il "Video Computer System" (che diventerà celebre con la sigla "VCS 
      2600"), entrando nel mercato delle consoles "programmabili". Il prezzo è 
      di 249 dollari e le vendite inizialmente stentano, creando frizioni tra 
      Bushnell e il presidente della Warner, Steve Ross, che poche settimane più 
      tardi provocheranno l’abbandono da parte del fondatore di Atari. Intanto i 
      giochi arcade sono diventati un fenomeno di massa. Tra il 1978 e il 1979 
      escono titoli che resteranno nella storia. Nel gioco di guida Fire Truck, 
      di Atari, è possibile per la prima volta sperimentare una modalità 
      "cooperativa". Football, sempre di Atari, è il primo gioco sportivo di un 
      certo livello grafico (13). 
      E con Space Invaders, della Taito, i videogames escono addirittura dalle 
      sale-giochi e dai bar per approdare ovunque, perfino nei ristoranti e 
      nelle sale d’attesa dei cinema. Space Invaders, in cui bisogna difendere 
      la Terra da un’invasione aliena sempre più frenetica, diventa ben presto 
      uno straordinario successo di pubblico, tanto che la sua versione per 
      Atari VCS 2600 contribuisce a trasformare un flop annunciato in un trionfo 
      di vendite che durerà quasi cinque anni. In Giappone, per qualche mese, la 
      popolarità di Space Invaders provoca addirittura un’inattesa "carestia" di 
      monetine. Altre uscite di rilievo, nello stesso periodo, sono Lunar Lander 
      e Asteroids (14) 
      prodotti dall’onnipresente Atari. Asteroids, con la solitaria lotta di una 
      piccola astronave contro le immense forze dello spazio profondo, si rivela 
      il best-seller arcade di tutti i tempi dell’azienda fondata da Bushnell: 
      80mila macchine diffuse soltanto negli Stati Uniti. Un record che Atari 
      non riuscirà più a superare.
      
      5. L’età dell’oro (1980-83)
      
      Gli anni tra il 1980 e il 1983 sono universalmente riconosciuti come un 
      periodo di straordinaria creatività e successo commerciale per i 
      videogames, soprattutto nelle sale-giochi. Atari, regina del mercato, 
      continua a sfornare titoli con frequenza impressionante: Battle Zone, 
      Quantum, Star Wars e soprattutto Tempest danno nuova linfa al genere 
      "vettoriale"; Warlords, Missile Command e Centipede sono invece titoli più 
      tradizionali, ma ottengono ugualmente un successo eccellente. L’americana 
      Williams, famosa per i suoi flipper e per aver importato negli States i 
      giochi della Taito, inizia a sviluppare titoli in proprio e si impone 
      all’attenzione generale con capolavori assoluti come Defender, Joust e 
      Robotron 2024. Anche un’altra azienda affermatasi con i flipper, la 
      Bally-Midway, entra nel settore dei videogiochi. E lo fa in grandissimo 
      stile con Pac Man, un labirinto in cui una specie di pallina gialla 
      (dotata di una bocca enorme) deve sfuggire ad una serie infinita di 
      coloratissimi fantasmini, riuscendo occasionalmente a trovare l’energia 
      necessaria per ribaltare la situazione. Gorf e Tron (15), 
      quest’ultimo realizzato in collaborazione con la Disney, sono gli altri 
      due grandi hit della Bally-Midway. Pac Man, insieme a Centipede, è uno dei 
      primi giochi che riesce a catturare il pubblico femminile, dando vita ad 
      un vero filone di titoli non-violenti che, con la loro grafica 
      "fumettosa", portano finalmente le ragazze in sala-giochi (con grande 
      sollievo dei maschietti). La giapponese Namco, al contrario, perfeziona 
      gli "sparatutto" alla Space Invaders con giochi, come Galaxian e lo 
      straordinario Galaga, che fanno di velocità e distruzione totale le loro 
      armi vincenti. Nel 1981, due case produttrici giapponesi fanno capolino 
      nel mercato a stelle e strisce. Si tratta delle due aziende che 
      monopolizzeranno il settore delle consoles domestiche nella seconda metà 
      degli anni Ottanta e nei primi anni del decennio successivo: Sega e 
      Nintendo. La Sega si presenta alla platea mondiale con Frogger, nel quale 
      una piccola ranocchia deve affrontare prima la furia del traffico 
      automobilistico e poi un fiume impetuoso per arrivare in salvo nella sua 
      tana. L’esordio di Nintendo, invece, è rappresentato da Donkey Kong, un 
      gioco di piattaforme in cui Mario, un idraulico italo-americano, deve 
      vedersela con un discepolo di King Kong che ha rapito la sua fidanzata. 
      Berzerk, creato dalla Stern, è invece il primo videogame parlante della 
      storia. Merita una citazione di merito, infine, anche la Konami, con 
      Gyruss, Q*Bert, Time Pilot e la frenetica simulazione di atletica leggera 
      Hyper Olympics. Con le sale-giochi ormai diventate un fenomeno di massa, 
      nel mercato domestico si scatena una corsa sfrenata per accaparrarsi i 
      diritti dei titoli più gettonati e convertirli per le consoles. Il VCS 
      2600 è il sistema che, più di ogni altro, sfrutta questa strategia. E 
      Atari vende una quantità eccezionale di macchine, stimolando la 
      concorrenza a gettarsi nella mischia. Il primo avversario del VCS, in 
      ordine cronologico, è l’Intellivision della Mattel. Venduta nel 1981 a 299 
      dollari, questa nuova console vanta una grafica e un sonoro decisamente 
      superiori al VCS, ma non riesce mai realmente a decollare, soprattutto per 
      colpa delle disastrose scelte di marketing (16) 
      compiute dai dirigenti Mattel, abituati a trafficare con Barbie ma poco 
      esperti nel neonato mercato della microelettronica. La cronica mancanza di 
      conversioni arcade (17) 
      ne decreta la fine prematura, malgrado giochi di buon livello come Night 
      Stalker, Advanced Dungeons and Dragons, Nhl Hockey e Football. La Coleco (18), 
      con il suo Colecovision, tenta invece di seguire la strada maestra 
      tracciata da Atari, stringendo accordi con molte case produttrici del 
      settore arcade e tentando di sviluppare giochi capaci di ricalcare il più 
      possibile l’atmosfera unica delle sale-giochi. Il titolo più riuscito è 
      senza dubbio la fedelissima conversione di Donkey Kong, regalata a tutti 
      gli acquirenti della console. Spinto da una qualità grafica nettamente 
      superiore a quella dei suoi concorrenti, da giochi come Lady Bug o Venture 
      e dalla possibilità (grazie ad un adattatore chiamato "Atari Expansion 
      Kit") di leggere anche le cartucce del VCS 2600, il Colecovision vende un 
      milione di unità in poco più di sei mesi nei soli Stati Uniti. Quando la 
      stella della Coleco sembra addirittura sul punto di oscurare Atari e 
      Mattel, però, l’azienda del Connecticut compie un errore decisivo: proprio 
      come la Mattel, decide di entrare di gran carriera nel nascente mercato 
      degli home computers e annuncia la produzione di "Adam", un gioiellino che 
      purtroppo viene commercializzato con tanta precipitazione che le prime 
      versioni sono stracolme di difetti, sia hardware che software. L’immagine 
      della società americana viene macchiata irrimediabilmente da questo flop 
      inaspettato. E le vendite del Colecovision crollano così bruscamente che 
      nel gennaio del 1984 la macchina viene ritirata dal mercato. Dopo aver 
      venduto sei milioni di consoles in tutto il mondo, insomma, Coleco 
      abbandona in tutta fretta il mercato dei videogiochi. Non sarà l’unica 
      vittima di questo "maledetto" 1984.
      
      6. Il grande crollo del 1984
      
      Nel 1984, improvvisamente, il pubblico americano (19) 
      smette di comprare le consoles di videogiochi. Per le centinaia di aziende 
      entrate da pochissimo in questo mercato emergente si tratta di uno shock 
      con conseguenze gravissime, sia finanziariamente che sotto il profilo 
      occupazionale. Le cause di questa doccia fredda, che arriva senza alcun 
      preavviso e lascia tutti impreparati, sono soprattutto due. La prima è 
      l’avvento impetuoso degli home computers, macchine basate su 
      microprocessori più potenti di quelli ospitati dalle consoles e capaci di 
      far girare software di qualsiasi genere (oltre, natualmente, a videogiochi 
      sempre più sofisticati). Il secondo motivo, invece, è strettamente 
      collegato con l’incredibile successo di vendita di sistemi come il VCS 
      2600, l’Intellivision e il Colecovision. Fiutato il "filone d’oro", un 
      grande numero di imprese, senza alcuna esperienza nel settore 
      dell’elettronica o in quello dell’entertainment, decide di sfidare la 
      sorte. Venditori di dentifricio, di cibo per cani e di cerotti provano a 
      produrre videogiochi per pubblicizzare le loro merci. Perfino la Quaker 
      Oats, invece di concentrasi su qualità e prezzo dei propri cornflakes, 
      giudica opportuno dar vita ad una divisione interna specializzata in 
      videogiochi. Il risultato di questa indigestione è disastroso. Nel 99 per 
      cento dei casi, infatti, si tratta di titoli orribili, che contribuiscono 
      a soffocare un mercato ormai quasi saturo. Anche le sale-giochi risentono 
      di questa involuzione. E non è un caso che gli arcades più popolari del 
      1984 siano titoli che hanno davvero poco a che fare con i videogiochi: 
      Dragon’s Lair e Space Ace, della Cinematronics fondata da Rick Dyer e 
      dall’ex-disegnatore della Disney, Don Bluth, sono due interessanti 
      esperimenti che sfruttano la tecnologia del laser-disc per garantire 
      un’esperienza grafica identica ai cartoni animati, anche se troppo poco 
      interattiva (20). 
      La crisi è così profonda che perfino l’Atari si trova in cattive acque, 
      con i giochi per VCS 2600 che vengono venduti a prezzo stracciato nei 
      supermercati. L’azienda che ha inventato Pong, ormai controllata 
      interamente dalla Warner, avrebbe anche l’occasione per uscire dalla 
      palude, perché Nintendo - che ha appena sviluppato una console piuttosto 
      potente, il Nintendo Entertainment System (Nes) - pensa proprio all’Atari 
      per commercializzare il prodotto negli Stati Uniti. Atari rifiuta. E 
      pagherà questa scelta a caro prezzo.
      
      7. Home computer o Nintendo? (1984-87)
      
      Nato in America e molto diffuso in Giappone, il mercato dei videogiochi 
      viene sconvolto da un geniale ingegnere europeo, l’inglese Clive Sinclair. 
      Dopo un brillante esordio nel settore delle radio a transistor, nel 1980 
      Sinclair "inventa" un kit di componenti elettronici, venduto per 
      corrispondenza, che permette a chiunque di costruirsi un vero computer - 
      lo ZX80 - tra le pareti di casa. Il prezzo, inferiore alle 100 sterline, è 
      incredibilmente basso (21), 
      anche se le caratteristiche del computer sono inadeguate perfino per 
      l’epoca (la memoria totale del sistema è di 1 kilobyte e non esiste alcuna 
      modalità grafica). Seguito nel giro di pochi mesi dallo ZX81 (con una 
      memoria espandibile fino a 16K e la possibilità di registrare i programmi 
      su una normalissima audiocassetta), il computer di Sinclair rappresenta 
      comunque il primo passo di quella diffusione di massa dell’informatica che 
      ancora oggi non accenna a rallentare. Tra il 1981 e il 1982, escono 
      macchine sempre più potenti in grado, tra l’altro, di garantire un certo 
      livello di soddisfazione anche al videogiocatore più esigente. Dal 1983 in 
      poi, gli home computers iniziano a rappresentare una valida alternativa 
      alle consoles più in voga. In Europa la leadership di mercato è in bilico 
      tra la tedesca Commodore - con il Vic20 e successivamente il potente C-64 
      - e la britannica Sinclair che, dopo lo ZX81, produce il minuscolo ma 
      affascinante ZX Spectrum. Outsider di lusso, nel Vecchio Continente, sono 
      il BBC della Acorn e l’Amstrad CPC-464. Negli Stati Uniti, invece, il 
      primato della Commodore è insidiato da Atari - prima con i modelli 400 e 
      800, poi con la serie XL - e dal TI-99 della Texas Instruments. In 
      Giappone, infine, spopolano gli home computers compatibili con lo standard 
      Msx (22) 
      che vengono fabbricati e venduti da alcuni colossi dell’elettronica come 
      (in ordine rigorosamente alfabetico) Canon, Goldstar, Hitachi, Jvc, 
      Mitsubishi, Sanyo, Sega, Sony, Spectravideo, Toshiba e Yamaha. Con 
      l’esplosione di questo nuovo mercato e il contemporaneo appannamento delle 
      consoles, i titoli arcade di successo vengono sempre più spesso convertiti 
      per gli home computers più diffusi. E le case di software orientate 
      eclusivamente verso l’utenza domestica - che hanno la possibilità di 
      lavorare con macchine più potenti e soprattutto più versatili - esplorano 
      sentieri creativi fino a quel momento rimasti dominio esclusivo dei 
      possessori di grandi mainframe o, comunque, di computer da qualche 
      migliaio di dollari. Nascono centinaia di giochi che qualche anno prima 
      non era possibile neppure concepire: The Hobbit (per ZX Spectrum e, più 
      tardi, per C-64) è soltanto il primo esempio di un nuovo genere di 
      avventure grafico-testuali che tiene incollati al video milioni di 
      teenagers di ogni età. Ma ce n’è per tutti i gusti (23) 
      e per ogni portafoglio, visto che, insieme agli home computers, cresce un 
      fenomeno molto popolare tra i videogiocatori e che - nel bene e nel male - 
      contribuirà in maniera forse decisiva alla diffusione di massa 
      dell’informatica personale: la pirateria del software (24). 
      Intanto, proprio mentre tutti gli analisti giurano che i computer stanno 
      per sostituire definitivamente le consoles come sistemi di videogioco, la 
      Nintendo - lentamente ma inesorabilmente - diffonde il Nes in tutto il 
      mondo. Favorita dalla totale assenza di concorrenti nel suo segmento di 
      mercato e da un "controllo di qualità" del software quasi maniacale, la 
      casa giapponese è l’unica ad uscire indenne dal crash del 1984 e inaugura 
      una nuova era per le consoles. Legend of Zelda, un gioco di ruolo 
      semplificato con grafica da cartoon nipponico, e Super Mario Bros, che 
      vede il ritorno in grande stile dell’idraulico italo-americano 
      protagonista di Donkey Kong sono due tra i titoli più popolari usciti per 
      la macchina Nintendo. Ed è sempre dal Paese del Sol Levante, visto il 
      declino sempre più accentuato di Atari (25), 
      che arriva l’unico serio avversario del Nes: il Master System della Sega, 
      che grazie ai profitti ottenuti con la produzione di videogiochi arcade 
      decide di entrare anche nel mercato delle consoles. Il Master System 
      riesce ad intaccare il monopolio Nintendo soltanto in Europa, ma la Sega 
      fa furore nelle sale-giochi con capolavori come Space Harrier, un primo 
      tentativo di "sparatutto" tridimensionale che in molti cercheranno di 
      imitare. Altri giochi di ottimo livello prodotti in questo periodo sono 
      Ghost’n’Goblins della Capcom, GaDaily della Namco (il seguito di Galaxian e 
      Galaga) e Gauntlet dell’Atari. Ma non è più il mercato degli arcades, 
      ormai, la fucina creativa per i videogiochi della nuova generazione.
      
      8. Tra Amiga e nuove consoles (1988-92)
      
      Gli anni a cavallo del decennio vedono il grande ritorno delle consoles, 
      ma anche l’inesorabile affermarsi dei computer (sempre meno home e sempre 
      più personal) come macchine ideali per un certo tipo di giochi, 
      soprattutto quelli di simulazione e strategia. A dominare il mercato delle 
      consoles è Nintendo, che con il suo Nes riesce a tenere testa - malgrado 
      un crescente svantaggio tecnologico - ad una concorrenza sempre più 
      agguerrita e capitanata prima dalla Nec, con il PcEngine (Turbografx-16 
      negli Stati Uniti), e poi dalla Sega con il Genesis (venduto in Europa 
      come Megadrive). Nel 1989 Nintendo presenta il GameBoy, una console 
      portatile in bianco e nero che, malgrado alcune pesanti limitazioni 
      hardware, diventerà un fenomeno mondiale di vendite grazie all’enorme 
      quantità e all’ottima qualità dei giochi disponibili. Uno per tutti: il 
      popolarissimo puzzle-game Tetris, scritto da uno sconosciuto programmatore 
      sovietico (26), 
      che infesterà a lungo gli incubi di milioni di ignari individui. Nello 
      stesso anno, Atari prova ad opporsi a questa mossa con il Lynx, sempre 
      portatile ma a colori, nonostante il prezzo competitivo (149 dollari 
      contro i 179 del GameBoy), però, uscirà dalla contesa con le ossa rotte. 
      Nel 1990, per frenare l’ascesa dell’ottimo Sega Megadrive, Nintendo 
      presenta in Giappone il Super Famicom (che uscirà in tutto il mondo nel 
      ’91 con il nome di Super Nintendo). Dopo aver prolungato di almeno un anno 
      la vita del Nes grazie al successo di Super Mario 3, la cartuccia più 
      venduta di tutta la storia dei videogiochi, Nintendo decide di regalare 
      agli acquirenti del Super Famicon il quarto capitolo dell’interminabile 
      saga di Mario, Super Mario World. Anche questa volta si tratta di un 
      titolo dalla grafica e dalla giocabilità inimitabili, che contribuisce a 
      far schizzare alle stelle le vendite della nuova console. La Sega risponde 
      immediatamente, regalando insieme al Megadrive il gioco di piattaforme più 
      veloce e colorato che sia mai approdato tra le pareti domestiche, Sonic 
      the Hedgehog, interpretato da un porcospino blu con scarpe da jogging 
      rosso fuoco. La guerra, sanguinosa e divertente, finisce senza vinti né 
      vincitori. Anche se la Sega, che era riuscita a superare le vendite della 
      Nintendo grazie alla conversione per Megadrive di alcuni titoli arcade 
      molto apprezzati come Afterburner 2, E-Swat e Strider, va incontro ad un 
      clamoroso insuccesso con una periferica cd-rom forse troppo in anticipo 
      sui tempi. Intanto, mentre i giocatori più riflessivi abbracciano i sempre 
      più numerosi personal computers compatibili Ibm, che escono in massa dagli 
      uffici per atterrare sulle scrivanie di casa, nel 1987 la Commodore lancia 
      sul mercato un computer fantastico, capace di tenere testa sia ai pc che 
      alle consoles più potenti: il suo nome è Amiga. Basato sul microprocessore 
      Motorola 68000, lo stesso del costosissimo Apple Macintosh, l’Amiga - 
      oltre a possedere il primo, vero sistema operativo multi-tasking (27) 
      - è una macchina ideale per giocare, con i suoi 512K di memoria e capacità 
      grafiche (28) 
      e sonore che umiliano letteralmente quelle di tutti i concorrenti, tranne 
      forse l’Atari 520ST (29). 
      Il successo dell’Amiga, soprattutto in Europa, è straordinario. E gli 
      sviluppatori di software sfornano migliaia di videogiochi compatibili con 
      la versione base del computer (il modello 500): titoli sportivi che 
      restano nella storia, innanzitutto, come Kick Off, Formula 1 Grand Prix e 
      Sensible Soccer, ma anche violentissimi "sparatutto" come Project X, 
      feroci "picchiaduro" come Body Blows e Mortal Kombat, avventure grafiche 
      del calibro di Secret of Monkey Island, giochi di piattaforme originali e 
      divertenti, come Super Frog e Putty Putty e perfino qualche simulazione di 
      volo tridimensionale. L’Amiga, ancora oggi in commercio con le sue 
      versioni più potenti basate sui processori PowerPc (sempre di Motorola), 
      scompare dal mercato di massa dopo qualche anno di vita entusiasmante. 
      Colpa delle forsennate strategie di marketing della Commodore (che più 
      tardi venderà il marchio Amiga alla Escom) e di una pirateria che, nei 
      primi anni Novanta, raggiunge livelli davvero esorbitanti. Nelle 
      sale-giochi, purtroppo, si assiste ad una crisi di creatività che va di 
      pari passo con l’avanzamento delle capacità tecnologiche. Almeno due, 
      però, sono i titoli che si distinguono dalla massa: Street Fighter 2, 
      della Capcom, diventa il nuovo metro di paragone per il genere dei 
      "picchiaduro" con le sue mosse speciali e la capacità quasi ipnotica di 
      attrarre folle di giocatori; Virtua Racing, della Sega, ridefinisce da 
      zero il genere delle simulazioni di guida con una giocabilità fuori dal 
      comune e un motore grafico tridimensionale che lascia letteralmente a 
      bocca aperta.
      
      9. Arriva il personal computer (1993-94)
      
      La "legge di Moore", formulata dal co-fondatore della Intel, Gordon Moore, 
      prevede un ritmo di sviluppo capace di raddoppiare la potenza di calcolo 
      dei microprocessori ogni diciotto mesi. Moore, in realtà, si sbaglia. 
      Perché negli ultimi anni la potenza dei processori è cresciuta più in 
      fretta, raddoppiando ogni dodici mesi. E mentre i "normali" utenti di 
      personal computers hanno probabilmente sottovalutato questo fenomeno, 
      limitandosi ad apprezzare un lieve aumento della velocità dei loro 
      elaboratori di testo e database, i videogiocatori dotati di un pc - come 
      tutti gli utenti di software "estremo" - hanno avuto la chiara percezione 
      di essere stati travolti da una rivoluzione senza precedenti. Già verso la 
      fine degli anni Ottanta, i cosiddetti Ibm-compatibili iniziano ad essere 
      utilizzati anche per giocare. Ma, a parte qualche rara eccezione, i 
      videogames per pc sono distanti anni-luce, per impatto grafico o sonoro, 
      da quelli sviluppati per console o computer come l’Amiga. Con il passare 
      del tempo, però, l’architettura "aperta" dei personal computers permette 
      lo sviluppo di periferiche sempre più orientate verso applicazioni 
      ludiche. Compaiono i primi joysticks dedicati (quelli tradizionali non 
      sono compatibili), le schede sonore, i lettori cd-rom, le prime schede 
      grafiche più veloci di una tartaruga zoppa. I programmatori non hanno più 
      scuse. E più di una casa software inizia a sviluppare videogiochi per pc. 
      Le prime conversioni dei classici arcade sono davvero orribili, ma le 
      macchine danno il meglio con le avventure grafiche o testuali (Manic 
      Mansion, Zork, The Secret of Monkey Island, Day of the Tentacle), i 
      simulatori di volo che cominciano ad esplorare le infinite possibilità del 
      3D, i giochi di ruolo (gli otto capitoli della saga di Ultima, della 
      Origin, sono l’esempio più eclatante) e quelli manageriali, come Sim City 
      o Populous, migliori addirittura delle rispettive versioni per Amiga. Non 
      manca poi qualche capolavoro assolutamente originale. Prince of Persia 
      dona nuovo spessore al genere dei platforms, utilizzando una nuovissima 
      tecnica (detta rotoscoping) di rappresentazione dei movimenti. Wing 
      Commander è un simulatore di volo spaziale con spiccate tendenze 
      cinematografiche e una trama coinvolgente. Doom, seguendo le orme di 
      Wolfestein 3D, crea il genere degli "sparatutto" tridimensionali con vista 
      in soggettiva, che verrà poi perfezionato da Quake (della Id Software come 
      i suoi due predecessori, Duke Nuhem 3D e Unreal). Anche Dune 2 dà va ad un 
      nuovo genere, quello degli "strategici" in tempo reale, che troverà la sua 
      massima realizzazione con Warcraft e Command and Conquer. In Civilization 
      e Civilization 2, infine, considerati da molti (30) 
      come i migliori giochi di ogni epoca, Sid Meier riesce a fondere con 
      maestria elementi di strategia miltare, pianificazione economica e 
      progresso scientifico in un contesto grandioso: la storia dell’umanità dal 
      4000 avanti Cristo alla conquista dello spazio. Il pc, insomma, inizia ad 
      imporsi con forza come macchina da gioco. E il mondo delle consoles non 
      sembra più tanto affascinante da impedirne l’avanzata. Nel 1993, la 
      Panasonic lancia il 3DO, il primo videogioco basato su un processore a 32 
      bit, con il supporto di una sconfinata moltitudine di case software. Ma il 
      tutto si rivela presto un flop di dimensioni grandiose. Atari, reduce dal 
      bruciante insuccesso del Panther, ci prova con il Jaguar. Ma evidentemente 
      i felini di grossa taglia non portano bene all’azienda fondata da Nolan 
      Bushnell. Nintendo e Sega annunciano sistemi con tecnologia a 64 bit, ma 
      poi preferiscono concentrarsi su costose (e poco vendute) espansioni per 
      Famicom e Megadrive. Nelle sale-giochi, invece, soltanto Daytona Usa 
      riesce a farsi notare perché, anche se si tratta del solito simulatore di 
      guida, il suo motore 3D rappresenta davvero lo stato dell’arte della 
      tecnologia videoludica. Per tutti quelli che già pronosticano un decennio 
      di monopolio dei personal computers nel settore dei video-giochi, però, 
      una sorpresa è proprio dietro l’angolo.
      
      10. Il fenomeno playstation (1995-98)
      
      È dalla seconda metà del 1991 che si sente parlare di una "cosa" chiamata 
      playstation. I bene informati spiegano che si tratta di un progetto, nato 
      da una collaborazione tra Nintendo e Sony, per dotare il Super Famicon di 
      una periferica cd-rom. Passano i mesi, ma l’insuccesso del Sega-Cd 
      raffredda gli entusiasmi iniziali e, nel maggio del 1992, Nintendo e Sony 
      rompono il sodalizio. Tutto sembra essere finito nel nulla, fino a quando 
      i vertici della Sony non scoprono che la "Grande N", in realtà, sta 
      trattando segretamente con la Philips per dare vita ad un lettore 
      compatibile con il formato Cd-i (31). 
      I dirigenti della Sony, disgustati dall’atteggiamento della Nintendo, 
      decidono di reagire all’affronto e mettono alla frusta un esercito di 
      ingegneri con un solo obiettivo: sviluppare una console a 32 bit, dotata 
      di un lettore cd e capace di scalzare la Nintendo dal trono del mercato 
      mondiale. Nasce così, da uno sgarbo e una vendetta, il successo più 
      formidabile della storia dei videogiochi. La playstation viene presentata 
      in Giappone nell’inverno del 1994 e quando arriva, qualche mese più tardi, 
      in Europa e Stati Uniti, può già contare su un valido pacchetto di titoli 
      (conversioni arcade come Ridge Racer e giochi originali come Toshinden) 
      oltre che su un prezzo molto competitivo (32). 
      La prima vittima del "mostro" della Sony, però, non è Nintendo ma Sega, 
      che proprio in quegli stessi mesi ha lanciato la sua nuova console Saturn. 
      L’aggressiva politica di marketing condotta dalla Sega non può nulla 
      contro la playstation, che vende sempre di più, attira nuovi sviluppatori 
      di software e ogni mese cala di prezzo. Il fenomeno inizia a preoccupare 
      anche la Nintendo, che rinvia ancora la sua console a 64 bit e resta alla 
      finestra, in attesa degli eventi. Si tratta, però, di una mossa sbagliata, 
      perché Sony continua a conquistare segmenti di mercato e diventa presto 
      l’evento tecnologico dell’anno. Gran parte del successo, naturalmente, è 
      dovuto alle sue innovative caratteristiche hardware, che comprendono un 
      microprocessore a 33 MhZ dedicato esclusivamente alla gestione della 
      grafica 3D. Ma anche il Saturn è una buona macchina, eppure vende un 
      decimo del gioiellino Sony. La verità, dunque, va cercata nell’enorme 
      disponibilità di giochi che contraddistingue la playstation. Ed è proprio 
      questo il tallone d’Achille della Nintendo, che per il suo nuovissimo 
      Ultra 64, già pronto da mesi e tecnicamente superiore a tutta la 
      concorrenza, è riusciuta a mettere in piedi soltanto un ristretto numero 
      di titoli. Nella seconda metà del 1996, per uscire da un’impasse che 
      rischia di ucciderla, la Nintendo si decide a presentare la sua nuova 
      creatura. Puntando tutto, ancora una volta, sulla carismatica figura di 
      Mario. E anche Super Mario 64, in effetti, si rivela un gioco 
      impressionante per giocabilità e realizzazione tecnica, riuscendo - 
      praticamente da solo - a spingere l’Ultra 64 verso buoni risultati di 
      vendita. Niente a che vedere, però, con le stratosferiche cifre raggiunte 
      dalla Sony, che ormai impazza in tutti e cinque i continenti. La sfida è 
      vinta. Molti dei videogiochi più popolari, da Tomb Raider ai titoli 
      sportivi della Electronic Arts (la serie di Fifa, Nba e Nhl) vengono 
      prodotti per due soli sistemi: il pc e la playstation. Non è un caso, 
      naturalmente, che si tratti delle uniche due macchine da gioco basate su 
      un lettore cd-rom. Con il prezzo dei masterizzatori (33) 
      ormai sceso a livelli accettabili, infatti, la capillare diffusione della 
      pirateria software diventa - paradossalmente - un motivo in più per 
      comprare un personal computer o una console della Sony invece che un Ultra 
      64 (che utilizza ancora le cartucce). E titoli che, nei 
      negozi, costano intorno agli 80 dollari, dopo qualche settimana compaiono 
      a prezzo scontatissimo nelle bancarelle, reali o virtuali, dei pirati.
      
      In ogni caso, ormai il pc e la playstation monopolizzano di fatto il 
      mercato dei videogiochi. Il personal computer può vantare una versatilità 
      e una "profondità" maggiori, soprattutto per le avventure e i titoli 
      strategici, ma la semplicità d’uso e il prezzo della console Sony sono due 
      fattori decisivi che le hanno permesso di entrare con forza nel mercato di 
      massa, riuscendo in un’impresa che - dai tempi di Pong - era sempre 
      considerata poco più di un’utopia. Soltanto negli ultimi tempi, con 
      l’adozione di schede acceleratrici 3D dell’ultima generazione (34) 
      e l’esplosione del fenomeno Internet (35), 
      il personal computer sembra aver riconquistato un margine di vantaggio 
      tecnologico tale da giustificare la grande differenza di prezzo che lo 
      separa dal sistema della Sony. Ormai qualche mese, però, si parla con 
      insistenza di una playstation 2. E la Sega ha appena lanciato il suo 
      Dreamcast, che oltre a garantire una grafica 3D spettacolare, ospita un 
      sistema operativo analogo a quello dei personal computers (36) 
      e negli Usa viene venduto insieme ad un modem. Una specie di ibrido tra 
      console e pc, insomma, che molti considerano come destinato ad un sicuro 
      successo. Ma le sorprese, nel mondo dei videogiochi, non finiscono mai.
      Note
      1.
      J.C. Herz, Joystick Nation: How Computer Games Ate Our Quarters, Won Our
      Hearts and Rewired Our Minds, Little Brown, Usa, 1997.  
      2.
      Secondo altre fonti, invece, il primo videogioco della storia sarebbe un
      rozzo "video-tennis" programmato da un ingegnere di nome Willy
      Higinbotham, nel 1958, su un oscilloscopio analogico del Brookhaven
      National Laboratory.
      3.
      Il gruppo di giovanissimi studenti ed assistenti universitari che, come si
      può intuire dal nome del club, si occupavano della manutenzione di un
      enorme modello in miniatura di rete ferroviaria che occupava un paio si
      stanze del Mit. La maggior parte di loro, più tardi, si "riciclò"
      nel settore dell’informatica.  
      4.
      Gli elaboratori elettronici, spesso grandi come stanze, che dominavano la
      scena dell’informatica prima dell’avvento dei personal computers.  
      5.
      Basic: acronimo di Beginner’s All-purpose Symbolic Instruction Code, un
      linguaggio di programmazione molto diffuso nei primi computers e, con
      qualche variante, anche in quelli di oggi.  
      6.
      Il gioco era originariamente conosciuto come Advent, visto che il nome dei
      files presenti sui mainframes dell’epoca non poteva superare le sei
      lettere.  
      7.
      Una grande azienda che forniva dispositivi elettronici di vario genere
      all’esercito degli Stati Uniti.  
      8.
      Arcade, letteralmente "portico" o "galleria", è il
      nome che gli americani danno alle sale-giochi.
      9.
      L’Odyssey vende più di 100mila unità, tutte corredate da pellicole
      adesive con fondali colorati da applicare agli schermi televisivi.  
      10.
      Il primo Odyssey non aveva neppure la potenza computazionale per calcolare
      il punteggio, mentre le versioni successive del sistema Magnavox
      comprendevano anche giochi chiamati Football, Ski o Submarine. Ma si
      trattava, quasi sempre, di variazioni sul tema di Pong.  
      11.
      Atari riuscì anche a vendere 150mila sistemi di gioco per corrispondenza
      grazie al catalogo di articoli sportivi della Sears Roebuck.  
      12.
      Rom: Read Only Memory.  
      13.
      Atari Football è anche il primo gioco in cui compare una trackball e in
      cui si sfrutta lo scrolling (scorrimento) dello schermo.  
      14.
      In Lunar Lander, riedizione del vecchio classico per mainframes della fine
      anni Sessanta, e successivamente in Asteroids, viene sperimentata per la
      prima volta la grafica "vettoriale" al posto della consueta
      bitmap (punto per punto). Si tratta del primo passo in quella tecnica di
      disegno poligonale che porterà più tardi ai giochi 3D dell’ultima
      generazione.  
      15.
      Il gioco ripropone la celebre corsa tra motociclette virtuali che
      rappresenta la scena più spettacolare del film realizzato dalla casa
      fondata da Walt Disney.  
      16.
      Il tracollo dell’Intellivision arriva nel 1983, quando la Mattel
      presenta Aquarius, un home computer che doveva essere compatibile con le
      cartucce della console. Al momento della sua commercializzazione, però,
      si scopre che il computer (che pure presenta alcune caratteristiche molto
      interessanti, come una memoria espandibile fino a 52K e una risoluzione
      grafica - 320x192 punti - di tutto rispetto) è in grado di funzionare
      solo con software "proprietario". È la morte, definitiva, sia
      per l’Aquarius che per l’Intellivision. E la Mattel abbandona per
      sempre il mercato dei videogiochi.  
      17.
      In realtà, soprattutto nei suoi ultimi mesi di vita, ci fu più di una
      conversione arcade per Intellivision (Burgertime, Bump’n’Jump,
      Carnival, Centipede, Congo Bongo, Dig Dug, Pac Man, Q-Bert, Zaxxon). Quasi
      sempre, però, si trattava di prodotti realizzati in maniera frettolosa e
      scadente.  
      18.
      La Coleco (acronimo di Conneticut Leather Company), introdusse nella prima
      metà degli anni Settanta, il chip Telstar Arcade, sul quale erano basati
      quasi tutti i cloni di Pong dedicati al mercato domestico.  
      19.
      Il fenomeno, in Europa, si verificherà tra la fine del 1984 e l’inizio
      del 1985.  
      20.
      In giochi come Astron Belt, Firefox e M.A.C.H. 3, invece, il laser-disc
      viene adoperato soltanto per la realizzazione degli sfondi, mentre tutto
      il resto ha l’aspetto (e la giocabilità) di un videogame più
      tradizionale.  
      21.
      Il più economico dei personal computers dell’epoca, il Commodore PET,
      costava la bellezza di 730 sterline. E negli States, per il favoloso Apple
      II di Jobs e Wozniak, si potevano sborsare anche 2000 dollari.
      22.
      Lo standard Msx, creato per contrastare lo strapotere europeo e
      statunitense nel mercato giapponese degli home computers, obbligava i
      costruttori a rispettare alcune caratteristiche specifiche (per garantire
      la compatibilità del software), ma lasciava piena libertà nello sviluppo
      delle periferiche. I computer Msx non hanno mai avuto un grande successo
      al di fuori dei confini giapponesi.  
      23.
      Lo spazio, in questa sede, è troppo ristretto perfino per abbozzare una
      lista sommaria dei giochi più diffusi o per tentare una classificazione
      sistematica di generi e sotto-generi.
      24.
      Copiare software per computer, non solo negli anni ’80, è
      un’operazione quasi banale. Mentre duplicare una cartuccia per console
      è possibile soltanto con apparecchiature molto costose.  
      25.
      Nell’inverno del 1984 la Warner Communications decide di sbarazzarsi di
      Atari e trova un acquirente in Jack Tramiel, ex-presidente della
      Commodore, che abbraccia una strategia decisamente orientata verso il
      mercato dei computer, abbandonando lentamente la produzione di consoles.  
      
      26. Si tratta di Alexey Pazhitnov, all’epoca (1985) membro dell’Accademia 
      scientifica di Mosca e successivamente assunto dalla casa software 
      Spectrum Holobyte. 
      27.
      Capace, cioè, di eseguire più di un’applicazione software
      contemporaneamente.  
      28.
      L’Amiga riusciva a raggiungere una risoluzione di 320x200 punti con 32
      colori contemporaneamente sullo schermo (da una palette di 4096) e di
      640x400 punti nella modalità a 16 colori (sempre da una palette di 4096).
      
      
      29.
      Anch’esso basato sul Motorola 68000, l’Atari 520ST riuscì a
      conquistarsi una certa popolarità tra i musicisti grazie ad una porta
      Midi incorporata, che gli permetteva di gestire con facilità strumenti
      elettronici di ogni tipo.  
      30.
      Compreso chi scrive.  
      31.
      Cd-i: compact disc interactive, un sistema ideato da Philips che avrà un
      limitato successo nel settore dell’educational.  
      32.
      299 dollari: quasi cento in meno di quanto avevano calcolato gli analisti
      di mercato e la concorrenza.  
      33.
      Le periferiche che permettono di scrivere sui cd-rom (e quindi di
      duplicare il software, anche illegalmente).
      34.
      L’esempio più importante è quello dei chipset "Voodoo" e
      "Voodoo2" prodotti dalla 3DFX, su cui sono basate molte delle
      ultime schede acceleratrici per personal computers. Da segnalare anche il
      nuovissimo (e potentissimo) chip 128ZX della Riva.
      35.
      La Rete delle Reti è un vero paradiso del videogaming. Oltre a dare la
      possibilità, con un un mumero di giochi sempre crescente, di confrontarsi
      per via telematica con amici e sconosciuti, su Internet si possono trovare
      mappe aggiuntive, espansioni e potenziamenti del proprio titolo preferito.
      Nell’ultimo anno, poi, è esplosa la moda degli "emulatori",
      che permettono di ricostruire fedelmente - sullo schermo del proprio pc -
      la maggior parte dei classici giochi che, da Pong in poi, hanno affollato
      il mercato arcade e quello domestico.  
      36.
      Si tratta di Windows CE (Compact Edition), sviluppato dalla Microsoft per
      il mercato dei computer "palmari".