1.
Spacewar (1962)
"Nell’autunno del 1961 - scrive J.C. Herz nel primo capitolo del suo
Joystick Nation (1) - uno scatolone rettangolare atterrò davanti ai
gradini della porta d’entrata del Mit. La scatola, che arrivava dalla
Digital Equipment Corporation, conteneva il nuovo modello di computer
prodotto dalla Dec: il PDP-1. E i suoi costruttori speravano che il
dipartimento di ingegneria elettronica del Mit lo avrebbe utilizzato per
dare vita a qualcosa di interessante, come vincere la corsa allo spazio,
produrre una generazione di robot intelligenti, o almeno rivoluzionare il
metodo di elaborazione delle informazioni per la gloria dell’industria
americana. Dopo un anno, i pionieri dell’informatica del Mit non avrebbero
raggiunto nessuno di questi obiettivi. Ma uno di loro avrebbe scritto il
primo videogioco della storia" (2). Spacewar,
programmato dal giovanissimo hacker Steve Russell, nasce come uno scontro
tra due astronavi che tentano di neutralizzarsi a vicenda sparandosi
"siluri fotonici". Il gioco, a cui dovevano necessariamente prendere parte
due contendenti (i computer dell’epoca non erano abbastanza potenti per
garantire la gestione di un avversario "virtuale" sufficientemente
combattivo), sfrutta le innovative caratteristiche del PDP-1, uno dei
primi elaboratori elettronici con il quale si interagisce per mezzo di uno
schermo televisivo e di una tastiera simile a quella delle macchine da
scrivere, invece che tramite i classici "nastri perforati" che
caratterizzano gli albori della tecnologia informatica. Dopo aver creato
le parti principali del software, Steve Russell chiede aiuto ai suoi amici
del Mit per la stesura finale. Pete Samson scrive il programma Expensive
Planetarium, che aggiunge un primitivo cielo stellato allo sfondo del
gioco. Dan Edwards ottimizza il codice, raddoppiandone la velocità e
permettendo l’inserimento di un grosso sole - proprio al centro dello
schermo - che attira le due astronavi con la sua forza gravitazionale. Un
paio di mesi vengono dedicati al debugging e al perfezionamento del
sistema di controllo. Spacewar è pronto nella primavera nel 1962. Gli
hackers del Tech Model Railroad Club (3) sono così entusiasti del prodotto
finale che a qualcuno viene in mente che forse sarebbe possibile
sfruttarlo commercialmente, ma dopo meno di una settimana Russell e soci
lasciano cadere l’idea. E decidono di distribuire gratuitamente il gioco.
Nel giro di un anno, c’è almeno una copia di Spacewar in ogni centro di
ricerca degli Stati Uniti. Qualche milione di dollari, insomma, sottratto
al mondo accademico e militare americano.
2. Prima di Pong (1963-1970)
Con il diffondersi dei computer nelle università e nei centri di ricerca,
la creazione di rudimentali videogiochi diventa un fatto quasi abituale
per la ristretta cerchia dei programmatori di professione. Tra la fine
degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, sono almeno una
decina i proto-games in circolazione nei grandi mainframes (4) sparsi per
tutto il continente nordamericano. In Lunar Lander, destinato ad apparire
dopo qualche anno (graficamente rinnovato) anche nelle sale-giochi, si
deve pilotare un minuscolo modulo lunare verso un difficile atterraggio su
pianeti a gravità differente. Il primo simulatore di volo, insomma, anche
se l’interazione con il gioco si limita alla segnalazione scritta, da
parte del computer, di tre variabili: velocità del modulo, distanza dalla
superficie e carburante residuo. Hammurabi (conosciuto anche con il nome
di Kingdom) è invece il progenitore dei giochi manageriali. Una
cinquantina di righe di codice in linguaggio Basic (5) che simulano, con
crudeltà insospettabile, la gestione di un dominio feudale, tramite il
controllo del livello delle imposte e l’amministrazione della semina e
della raccolta del grano. Con Hunt the Wumpus, poi, i computer-games si
affacciano per la prima volta nel mondo delle avventure fantasy in stile
Dungeons and Dragons. Scritto sempre in Basic (questa volta, però, le
righe del programma sono almeno 200), Hunt the Wumpus si avvale di una
semplice interfaccia testuale e di una struttura labirintica a forma di
dodecaedro, ma nel 1967 ispirerà la nascita di un successore di tutto
rispetto: il mitico Adventure (6), il padre riconosciuto di tutti i giochi
di ruolo elettronici. Nessuno dei giochi di cui abbiamo parlato, però,
riesce a sfondare il muro della comunità accademica. I computer necessari
per far funzionare i programmi costano, nella migliore delle ipotesi,
qualche centinaio di migliaia di dollari. E la gente normale, all’oscuro
di tutto, continua a giocare con i flipper. Ma ancora per poco.
3. Pong, l’immortale (1971-74)
Nel 1966, Ralph Baer, ingegnere capo della Sanders Associates (7), inizia
a lavorare su quello che lui stesso definisce "un progetto per un utilizzo
alternativo degli apparecchi televisivi". Contro il parere dei suoi
superiori, convinti che sia soltanto di una perdita di tempo, Baer mette
in piedi una piccola ma agguerrita squadra di tecnici (insieme a Bill
Harrison e Bill Rusch). Inizia così a prendere forma il primo prototipo di
videogioco destinato al mercato domestico, ma le difficoltà sono maggiori
del previsto e il progetto non decolla prima del 1971, quando la Magnavox
(battendo la concorrenza di Rca, Zenith e General Electric) decide di
commercializzare il gioco di hockey prodotto dalla Sanders con il nome di
Odyssey. Si tratta, per la verità, di un hockey piuttosto atipico, visto
che sullo schermo completamente nero del televisore compaiono soltanto due
barrette luminescenti che si contendono, fino all’ultimo rimbalzo, la
"pallina" più quadrata della storia dei videogames. Intanto, mentre Baer,
Harrison e Rusch lavorano sodo in laboratorio, un giovanotto di nome Nolan
Bushnell, appena laureatosi in ingegneria alla University of Utah, sta
percorrendo in maniera del tutto inconsapevole la stessa strada. Ma il suo
obiettivo non sono le case degli americani. Folgorato da Spacewar durante
gli anni dell’università, Bushnell - che dopo la laurea è stato assunto
dall’Ampex per occuparsi di cose "serie" - trascorre tutto il suo tempo
libero nella cameretta della sorella, per l’occasione trasformata in
officina, tentando di costruire una versione arcade (8) del capolavoro di
Steve Russell. Anche Bushnell incontra molte difficoltà di ordine tecnico,
ma alla fine riesce nel suo intento. E vende una versione semplificata del
gioco alla Nutting Associates. Nasce così Computer Space, il primo
videogame commerciale della storia, che sarà protagonista, nel 1971, di
una fugace apparizione nelle sale-giochi e che permetterà a Bushnell di
racimolare i soldi necessari per dare vita, appena un anno più tardi, a
Pong. Pong l’immortale. Il concetto alla base di Pong è esattamente lo
stesso dell’hockey di Odyssey: due racchette virtuali che tentano di
respingere una quasi-palla che rimbalza sullo schermo; chi manca la palla
regala un punto all’avversario; chi arriva per primo a 15 punti ha vinto.
L’unica, vera differenza è la possibilità di dare un certo "effetto" alla
pallina colpendola nell’ultimo istante utile. Più semplice di Spacewar e
più innovativo del più moderno dei flipper, Pong è uno straordinario
successo per tutto il 1972 e per buona parte del 1973. "Dopo aver
installato la prima macchina - avrebbe raccontato Bushnell vent’anni dopo
- sono andato di corsa a casa perché ero troppo emozionato per sopportare
un insuccesso. Un paio d’ore più tardi, il gestore della sala giochi mi
telefona disperato. Si è rotto, dice. E io mi precipito a vedere cos’è
successo. In effetti non funzionava più. Ma soltanto perché le monetine da
25 centesimi non entravano più nella macchina. Il mio Pong era così pieno
di soldi che rischiava di scoppiare!".
4. L’impero Atari (1975-79)
Lo straordinario successo di Pong nelle sale-giochi e quello, anche se più
contenuto, di Odyssey nelle case di tutti gli States (9)
provocano una vera corsa alla clonazione. A metà degli anni Settanta sono
in vendita più di cinquanta sistemi pong-style, con un prezzo che oscilla
tra i 49 e gli 89 dollari, a seconda delle caratteristiche (colore, numero
dei giochi, controlli a distanza, calcolo automatico del punteggio (10)).
Bushnell, intanto, fonda l’Atari e riesce ad ottenere un finanziamento di
10 milioni di dollari per espandere la sua attività. Il suo primo passo è
quello di dare vita ad una versione "casalinga" di Pong, che in breve
tempo surclassa i sistemi della Magnavox e di tutta la concorrenza (11).
Dopo il picco di vendite raggiunto nel Natale 1975, però, il pubblico
inizia ad averne abbastanza di vedere la solita noiosa pallina rimbalzare
sullo schermo, pur con tutte le varianti che le case produttrici riescono
ad escogitare. E comincia a chiedere qualcosa di più. Nelle sale-giochi
compaiono Tank, sempre dell’Atari (il primo videogame che utilizza una
memoria Rom (12)
per immagazzinare i dati grafici) e Gunfight, creato dalla giapponese
Taito e importato negli Stati Uniti dalla Midway, una sorta di sparatoria
nel Far West che per la prima volta è gestita interamente da una macchina
dotata di microprocessore. Bisogna aspettare la fine del 1976, però,
perché qualcosa inizi a muoversi anche sul fronte dedicato all’utenza
domestica. La novità è rappresentata dal primo videogioco programmabile
della storia, il Channel F prodotto dalla Fairchild. Inserendo cartucce
vendute separatamente dalla console, per la prima volta l’utente può
cambiare gioco senza essere costretto a sorbirsi l’ennesimo clone di Pong.
Il gioco più venduto per il Channel F è Death Race, sviluppato dalla Exidy
Games, in cui uno spericolato automobilista guadagna punti investendo
ignari pedoni. I moralisti, all’unisono, gridano allo scandalo. Sempre nel
1976, ma nelle sale-giochi, arriva Breakout dell’Atari. Si tratta di una
versione sofisticata (e per un solo giocatore) di Pong, in cui lo scopo è
abbattere, con la solita racchetta e la solita pallina, un muro composto
da mattoni colorati. I programmatori di Breakout sono Steve Jobs e Steve
Wozniak, che qualche anno più tardi fonderanno l’Apple, costruendo i primi
prototipi dei loro personal computers proprio con componenti elettronici
"presi in prestito" durante la loro breve esperienza all’Atari. Nel Natale
del 1977, Bushnell - che da qualche mese ha ceduto la proprietà di Atari
alla Warner Communications restando però alla guida dell’azienda - lancia
il "Video Computer System" (che diventerà celebre con la sigla "VCS
2600"), entrando nel mercato delle consoles "programmabili". Il prezzo è
di 249 dollari e le vendite inizialmente stentano, creando frizioni tra
Bushnell e il presidente della Warner, Steve Ross, che poche settimane più
tardi provocheranno l’abbandono da parte del fondatore di Atari. Intanto i
giochi arcade sono diventati un fenomeno di massa. Tra il 1978 e il 1979
escono titoli che resteranno nella storia. Nel gioco di guida Fire Truck,
di Atari, è possibile per la prima volta sperimentare una modalità
"cooperativa". Football, sempre di Atari, è il primo gioco sportivo di un
certo livello grafico (13).
E con Space Invaders, della Taito, i videogames escono addirittura dalle
sale-giochi e dai bar per approdare ovunque, perfino nei ristoranti e
nelle sale d’attesa dei cinema. Space Invaders, in cui bisogna difendere
la Terra da un’invasione aliena sempre più frenetica, diventa ben presto
uno straordinario successo di pubblico, tanto che la sua versione per
Atari VCS 2600 contribuisce a trasformare un flop annunciato in un trionfo
di vendite che durerà quasi cinque anni. In Giappone, per qualche mese, la
popolarità di Space Invaders provoca addirittura un’inattesa "carestia" di
monetine. Altre uscite di rilievo, nello stesso periodo, sono Lunar Lander
e Asteroids (14)
prodotti dall’onnipresente Atari. Asteroids, con la solitaria lotta di una
piccola astronave contro le immense forze dello spazio profondo, si rivela
il best-seller arcade di tutti i tempi dell’azienda fondata da Bushnell:
80mila macchine diffuse soltanto negli Stati Uniti. Un record che Atari
non riuscirà più a superare.
5. L’età dell’oro (1980-83)
Gli anni tra il 1980 e il 1983 sono universalmente riconosciuti come un
periodo di straordinaria creatività e successo commerciale per i
videogames, soprattutto nelle sale-giochi. Atari, regina del mercato,
continua a sfornare titoli con frequenza impressionante: Battle Zone,
Quantum, Star Wars e soprattutto Tempest danno nuova linfa al genere
"vettoriale"; Warlords, Missile Command e Centipede sono invece titoli più
tradizionali, ma ottengono ugualmente un successo eccellente. L’americana
Williams, famosa per i suoi flipper e per aver importato negli States i
giochi della Taito, inizia a sviluppare titoli in proprio e si impone
all’attenzione generale con capolavori assoluti come Defender, Joust e
Robotron 2024. Anche un’altra azienda affermatasi con i flipper, la
Bally-Midway, entra nel settore dei videogiochi. E lo fa in grandissimo
stile con Pac Man, un labirinto in cui una specie di pallina gialla
(dotata di una bocca enorme) deve sfuggire ad una serie infinita di
coloratissimi fantasmini, riuscendo occasionalmente a trovare l’energia
necessaria per ribaltare la situazione. Gorf e Tron (15),
quest’ultimo realizzato in collaborazione con la Disney, sono gli altri
due grandi hit della Bally-Midway. Pac Man, insieme a Centipede, è uno dei
primi giochi che riesce a catturare il pubblico femminile, dando vita ad
un vero filone di titoli non-violenti che, con la loro grafica
"fumettosa", portano finalmente le ragazze in sala-giochi (con grande
sollievo dei maschietti). La giapponese Namco, al contrario, perfeziona
gli "sparatutto" alla Space Invaders con giochi, come Galaxian e lo
straordinario Galaga, che fanno di velocità e distruzione totale le loro
armi vincenti. Nel 1981, due case produttrici giapponesi fanno capolino
nel mercato a stelle e strisce. Si tratta delle due aziende che
monopolizzeranno il settore delle consoles domestiche nella seconda metà
degli anni Ottanta e nei primi anni del decennio successivo: Sega e
Nintendo. La Sega si presenta alla platea mondiale con Frogger, nel quale
una piccola ranocchia deve affrontare prima la furia del traffico
automobilistico e poi un fiume impetuoso per arrivare in salvo nella sua
tana. L’esordio di Nintendo, invece, è rappresentato da Donkey Kong, un
gioco di piattaforme in cui Mario, un idraulico italo-americano, deve
vedersela con un discepolo di King Kong che ha rapito la sua fidanzata.
Berzerk, creato dalla Stern, è invece il primo videogame parlante della
storia. Merita una citazione di merito, infine, anche la Konami, con
Gyruss, Q*Bert, Time Pilot e la frenetica simulazione di atletica leggera
Hyper Olympics. Con le sale-giochi ormai diventate un fenomeno di massa,
nel mercato domestico si scatena una corsa sfrenata per accaparrarsi i
diritti dei titoli più gettonati e convertirli per le consoles. Il VCS
2600 è il sistema che, più di ogni altro, sfrutta questa strategia. E
Atari vende una quantità eccezionale di macchine, stimolando la
concorrenza a gettarsi nella mischia. Il primo avversario del VCS, in
ordine cronologico, è l’Intellivision della Mattel. Venduta nel 1981 a 299
dollari, questa nuova console vanta una grafica e un sonoro decisamente
superiori al VCS, ma non riesce mai realmente a decollare, soprattutto per
colpa delle disastrose scelte di marketing (16)
compiute dai dirigenti Mattel, abituati a trafficare con Barbie ma poco
esperti nel neonato mercato della microelettronica. La cronica mancanza di
conversioni arcade (17)
ne decreta la fine prematura, malgrado giochi di buon livello come Night
Stalker, Advanced Dungeons and Dragons, Nhl Hockey e Football. La Coleco (18),
con il suo Colecovision, tenta invece di seguire la strada maestra
tracciata da Atari, stringendo accordi con molte case produttrici del
settore arcade e tentando di sviluppare giochi capaci di ricalcare il più
possibile l’atmosfera unica delle sale-giochi. Il titolo più riuscito è
senza dubbio la fedelissima conversione di Donkey Kong, regalata a tutti
gli acquirenti della console. Spinto da una qualità grafica nettamente
superiore a quella dei suoi concorrenti, da giochi come Lady Bug o Venture
e dalla possibilità (grazie ad un adattatore chiamato "Atari Expansion
Kit") di leggere anche le cartucce del VCS 2600, il Colecovision vende un
milione di unità in poco più di sei mesi nei soli Stati Uniti. Quando la
stella della Coleco sembra addirittura sul punto di oscurare Atari e
Mattel, però, l’azienda del Connecticut compie un errore decisivo: proprio
come la Mattel, decide di entrare di gran carriera nel nascente mercato
degli home computers e annuncia la produzione di "Adam", un gioiellino che
purtroppo viene commercializzato con tanta precipitazione che le prime
versioni sono stracolme di difetti, sia hardware che software. L’immagine
della società americana viene macchiata irrimediabilmente da questo flop
inaspettato. E le vendite del Colecovision crollano così bruscamente che
nel gennaio del 1984 la macchina viene ritirata dal mercato. Dopo aver
venduto sei milioni di consoles in tutto il mondo, insomma, Coleco
abbandona in tutta fretta il mercato dei videogiochi. Non sarà l’unica
vittima di questo "maledetto" 1984.
6. Il grande crollo del 1984
Nel 1984, improvvisamente, il pubblico americano (19)
smette di comprare le consoles di videogiochi. Per le centinaia di aziende
entrate da pochissimo in questo mercato emergente si tratta di uno shock
con conseguenze gravissime, sia finanziariamente che sotto il profilo
occupazionale. Le cause di questa doccia fredda, che arriva senza alcun
preavviso e lascia tutti impreparati, sono soprattutto due. La prima è
l’avvento impetuoso degli home computers, macchine basate su
microprocessori più potenti di quelli ospitati dalle consoles e capaci di
far girare software di qualsiasi genere (oltre, natualmente, a videogiochi
sempre più sofisticati). Il secondo motivo, invece, è strettamente
collegato con l’incredibile successo di vendita di sistemi come il VCS
2600, l’Intellivision e il Colecovision. Fiutato il "filone d’oro", un
grande numero di imprese, senza alcuna esperienza nel settore
dell’elettronica o in quello dell’entertainment, decide di sfidare la
sorte. Venditori di dentifricio, di cibo per cani e di cerotti provano a
produrre videogiochi per pubblicizzare le loro merci. Perfino la Quaker
Oats, invece di concentrasi su qualità e prezzo dei propri cornflakes,
giudica opportuno dar vita ad una divisione interna specializzata in
videogiochi. Il risultato di questa indigestione è disastroso. Nel 99 per
cento dei casi, infatti, si tratta di titoli orribili, che contribuiscono
a soffocare un mercato ormai quasi saturo. Anche le sale-giochi risentono
di questa involuzione. E non è un caso che gli arcades più popolari del
1984 siano titoli che hanno davvero poco a che fare con i videogiochi:
Dragon’s Lair e Space Ace, della Cinematronics fondata da Rick Dyer e
dall’ex-disegnatore della Disney, Don Bluth, sono due interessanti
esperimenti che sfruttano la tecnologia del laser-disc per garantire
un’esperienza grafica identica ai cartoni animati, anche se troppo poco
interattiva (20).
La crisi è così profonda che perfino l’Atari si trova in cattive acque,
con i giochi per VCS 2600 che vengono venduti a prezzo stracciato nei
supermercati. L’azienda che ha inventato Pong, ormai controllata
interamente dalla Warner, avrebbe anche l’occasione per uscire dalla
palude, perché Nintendo - che ha appena sviluppato una console piuttosto
potente, il Nintendo Entertainment System (Nes) - pensa proprio all’Atari
per commercializzare il prodotto negli Stati Uniti. Atari rifiuta. E
pagherà questa scelta a caro prezzo.
7. Home computer o Nintendo? (1984-87)
Nato in America e molto diffuso in Giappone, il mercato dei videogiochi
viene sconvolto da un geniale ingegnere europeo, l’inglese Clive Sinclair.
Dopo un brillante esordio nel settore delle radio a transistor, nel 1980
Sinclair "inventa" un kit di componenti elettronici, venduto per
corrispondenza, che permette a chiunque di costruirsi un vero computer -
lo ZX80 - tra le pareti di casa. Il prezzo, inferiore alle 100 sterline, è
incredibilmente basso (21),
anche se le caratteristiche del computer sono inadeguate perfino per
l’epoca (la memoria totale del sistema è di 1 kilobyte e non esiste alcuna
modalità grafica). Seguito nel giro di pochi mesi dallo ZX81 (con una
memoria espandibile fino a 16K e la possibilità di registrare i programmi
su una normalissima audiocassetta), il computer di Sinclair rappresenta
comunque il primo passo di quella diffusione di massa dell’informatica che
ancora oggi non accenna a rallentare. Tra il 1981 e il 1982, escono
macchine sempre più potenti in grado, tra l’altro, di garantire un certo
livello di soddisfazione anche al videogiocatore più esigente. Dal 1983 in
poi, gli home computers iniziano a rappresentare una valida alternativa
alle consoles più in voga. In Europa la leadership di mercato è in bilico
tra la tedesca Commodore - con il Vic20 e successivamente il potente C-64
- e la britannica Sinclair che, dopo lo ZX81, produce il minuscolo ma
affascinante ZX Spectrum. Outsider di lusso, nel Vecchio Continente, sono
il BBC della Acorn e l’Amstrad CPC-464. Negli Stati Uniti, invece, il
primato della Commodore è insidiato da Atari - prima con i modelli 400 e
800, poi con la serie XL - e dal TI-99 della Texas Instruments. In
Giappone, infine, spopolano gli home computers compatibili con lo standard
Msx (22)
che vengono fabbricati e venduti da alcuni colossi dell’elettronica come
(in ordine rigorosamente alfabetico) Canon, Goldstar, Hitachi, Jvc,
Mitsubishi, Sanyo, Sega, Sony, Spectravideo, Toshiba e Yamaha. Con
l’esplosione di questo nuovo mercato e il contemporaneo appannamento delle
consoles, i titoli arcade di successo vengono sempre più spesso convertiti
per gli home computers più diffusi. E le case di software orientate
eclusivamente verso l’utenza domestica - che hanno la possibilità di
lavorare con macchine più potenti e soprattutto più versatili - esplorano
sentieri creativi fino a quel momento rimasti dominio esclusivo dei
possessori di grandi mainframe o, comunque, di computer da qualche
migliaio di dollari. Nascono centinaia di giochi che qualche anno prima
non era possibile neppure concepire: The Hobbit (per ZX Spectrum e, più
tardi, per C-64) è soltanto il primo esempio di un nuovo genere di
avventure grafico-testuali che tiene incollati al video milioni di
teenagers di ogni età. Ma ce n’è per tutti i gusti (23)
e per ogni portafoglio, visto che, insieme agli home computers, cresce un
fenomeno molto popolare tra i videogiocatori e che - nel bene e nel male -
contribuirà in maniera forse decisiva alla diffusione di massa
dell’informatica personale: la pirateria del software (24).
Intanto, proprio mentre tutti gli analisti giurano che i computer stanno
per sostituire definitivamente le consoles come sistemi di videogioco, la
Nintendo - lentamente ma inesorabilmente - diffonde il Nes in tutto il
mondo. Favorita dalla totale assenza di concorrenti nel suo segmento di
mercato e da un "controllo di qualità" del software quasi maniacale, la
casa giapponese è l’unica ad uscire indenne dal crash del 1984 e inaugura
una nuova era per le consoles. Legend of Zelda, un gioco di ruolo
semplificato con grafica da cartoon nipponico, e Super Mario Bros, che
vede il ritorno in grande stile dell’idraulico italo-americano
protagonista di Donkey Kong sono due tra i titoli più popolari usciti per
la macchina Nintendo. Ed è sempre dal Paese del Sol Levante, visto il
declino sempre più accentuato di Atari (25),
che arriva l’unico serio avversario del Nes: il Master System della Sega,
che grazie ai profitti ottenuti con la produzione di videogiochi arcade
decide di entrare anche nel mercato delle consoles. Il Master System
riesce ad intaccare il monopolio Nintendo soltanto in Europa, ma la Sega
fa furore nelle sale-giochi con capolavori come Space Harrier, un primo
tentativo di "sparatutto" tridimensionale che in molti cercheranno di
imitare. Altri giochi di ottimo livello prodotti in questo periodo sono
Ghost’n’Goblins della Capcom, GaDaily della Namco (il seguito di Galaxian e
Galaga) e Gauntlet dell’Atari. Ma non è più il mercato degli arcades,
ormai, la fucina creativa per i videogiochi della nuova generazione.
8. Tra Amiga e nuove consoles (1988-92)
Gli anni a cavallo del decennio vedono il grande ritorno delle consoles,
ma anche l’inesorabile affermarsi dei computer (sempre meno home e sempre
più personal) come macchine ideali per un certo tipo di giochi,
soprattutto quelli di simulazione e strategia. A dominare il mercato delle
consoles è Nintendo, che con il suo Nes riesce a tenere testa - malgrado
un crescente svantaggio tecnologico - ad una concorrenza sempre più
agguerrita e capitanata prima dalla Nec, con il PcEngine (Turbografx-16
negli Stati Uniti), e poi dalla Sega con il Genesis (venduto in Europa
come Megadrive). Nel 1989 Nintendo presenta il GameBoy, una console
portatile in bianco e nero che, malgrado alcune pesanti limitazioni
hardware, diventerà un fenomeno mondiale di vendite grazie all’enorme
quantità e all’ottima qualità dei giochi disponibili. Uno per tutti: il
popolarissimo puzzle-game Tetris, scritto da uno sconosciuto programmatore
sovietico (26),
che infesterà a lungo gli incubi di milioni di ignari individui. Nello
stesso anno, Atari prova ad opporsi a questa mossa con il Lynx, sempre
portatile ma a colori, nonostante il prezzo competitivo (149 dollari
contro i 179 del GameBoy), però, uscirà dalla contesa con le ossa rotte.
Nel 1990, per frenare l’ascesa dell’ottimo Sega Megadrive, Nintendo
presenta in Giappone il Super Famicom (che uscirà in tutto il mondo nel
’91 con il nome di Super Nintendo). Dopo aver prolungato di almeno un anno
la vita del Nes grazie al successo di Super Mario 3, la cartuccia più
venduta di tutta la storia dei videogiochi, Nintendo decide di regalare
agli acquirenti del Super Famicon il quarto capitolo dell’interminabile
saga di Mario, Super Mario World. Anche questa volta si tratta di un
titolo dalla grafica e dalla giocabilità inimitabili, che contribuisce a
far schizzare alle stelle le vendite della nuova console. La Sega risponde
immediatamente, regalando insieme al Megadrive il gioco di piattaforme più
veloce e colorato che sia mai approdato tra le pareti domestiche, Sonic
the Hedgehog, interpretato da un porcospino blu con scarpe da jogging
rosso fuoco. La guerra, sanguinosa e divertente, finisce senza vinti né
vincitori. Anche se la Sega, che era riuscita a superare le vendite della
Nintendo grazie alla conversione per Megadrive di alcuni titoli arcade
molto apprezzati come Afterburner 2, E-Swat e Strider, va incontro ad un
clamoroso insuccesso con una periferica cd-rom forse troppo in anticipo
sui tempi. Intanto, mentre i giocatori più riflessivi abbracciano i sempre
più numerosi personal computers compatibili Ibm, che escono in massa dagli
uffici per atterrare sulle scrivanie di casa, nel 1987 la Commodore lancia
sul mercato un computer fantastico, capace di tenere testa sia ai pc che
alle consoles più potenti: il suo nome è Amiga. Basato sul microprocessore
Motorola 68000, lo stesso del costosissimo Apple Macintosh, l’Amiga -
oltre a possedere il primo, vero sistema operativo multi-tasking (27)
- è una macchina ideale per giocare, con i suoi 512K di memoria e capacità
grafiche (28)
e sonore che umiliano letteralmente quelle di tutti i concorrenti, tranne
forse l’Atari 520ST (29).
Il successo dell’Amiga, soprattutto in Europa, è straordinario. E gli
sviluppatori di software sfornano migliaia di videogiochi compatibili con
la versione base del computer (il modello 500): titoli sportivi che
restano nella storia, innanzitutto, come Kick Off, Formula 1 Grand Prix e
Sensible Soccer, ma anche violentissimi "sparatutto" come Project X,
feroci "picchiaduro" come Body Blows e Mortal Kombat, avventure grafiche
del calibro di Secret of Monkey Island, giochi di piattaforme originali e
divertenti, come Super Frog e Putty Putty e perfino qualche simulazione di
volo tridimensionale. L’Amiga, ancora oggi in commercio con le sue
versioni più potenti basate sui processori PowerPc (sempre di Motorola),
scompare dal mercato di massa dopo qualche anno di vita entusiasmante.
Colpa delle forsennate strategie di marketing della Commodore (che più
tardi venderà il marchio Amiga alla Escom) e di una pirateria che, nei
primi anni Novanta, raggiunge livelli davvero esorbitanti. Nelle
sale-giochi, purtroppo, si assiste ad una crisi di creatività che va di
pari passo con l’avanzamento delle capacità tecnologiche. Almeno due,
però, sono i titoli che si distinguono dalla massa: Street Fighter 2,
della Capcom, diventa il nuovo metro di paragone per il genere dei
"picchiaduro" con le sue mosse speciali e la capacità quasi ipnotica di
attrarre folle di giocatori; Virtua Racing, della Sega, ridefinisce da
zero il genere delle simulazioni di guida con una giocabilità fuori dal
comune e un motore grafico tridimensionale che lascia letteralmente a
bocca aperta.
9. Arriva il personal computer (1993-94)
La "legge di Moore", formulata dal co-fondatore della Intel, Gordon Moore,
prevede un ritmo di sviluppo capace di raddoppiare la potenza di calcolo
dei microprocessori ogni diciotto mesi. Moore, in realtà, si sbaglia.
Perché negli ultimi anni la potenza dei processori è cresciuta più in
fretta, raddoppiando ogni dodici mesi. E mentre i "normali" utenti di
personal computers hanno probabilmente sottovalutato questo fenomeno,
limitandosi ad apprezzare un lieve aumento della velocità dei loro
elaboratori di testo e database, i videogiocatori dotati di un pc - come
tutti gli utenti di software "estremo" - hanno avuto la chiara percezione
di essere stati travolti da una rivoluzione senza precedenti. Già verso la
fine degli anni Ottanta, i cosiddetti Ibm-compatibili iniziano ad essere
utilizzati anche per giocare. Ma, a parte qualche rara eccezione, i
videogames per pc sono distanti anni-luce, per impatto grafico o sonoro,
da quelli sviluppati per console o computer come l’Amiga. Con il passare
del tempo, però, l’architettura "aperta" dei personal computers permette
lo sviluppo di periferiche sempre più orientate verso applicazioni
ludiche. Compaiono i primi joysticks dedicati (quelli tradizionali non
sono compatibili), le schede sonore, i lettori cd-rom, le prime schede
grafiche più veloci di una tartaruga zoppa. I programmatori non hanno più
scuse. E più di una casa software inizia a sviluppare videogiochi per pc.
Le prime conversioni dei classici arcade sono davvero orribili, ma le
macchine danno il meglio con le avventure grafiche o testuali (Manic
Mansion, Zork, The Secret of Monkey Island, Day of the Tentacle), i
simulatori di volo che cominciano ad esplorare le infinite possibilità del
3D, i giochi di ruolo (gli otto capitoli della saga di Ultima, della
Origin, sono l’esempio più eclatante) e quelli manageriali, come Sim City
o Populous, migliori addirittura delle rispettive versioni per Amiga. Non
manca poi qualche capolavoro assolutamente originale. Prince of Persia
dona nuovo spessore al genere dei platforms, utilizzando una nuovissima
tecnica (detta rotoscoping) di rappresentazione dei movimenti. Wing
Commander è un simulatore di volo spaziale con spiccate tendenze
cinematografiche e una trama coinvolgente. Doom, seguendo le orme di
Wolfestein 3D, crea il genere degli "sparatutto" tridimensionali con vista
in soggettiva, che verrà poi perfezionato da Quake (della Id Software come
i suoi due predecessori, Duke Nuhem 3D e Unreal). Anche Dune 2 dà va ad un
nuovo genere, quello degli "strategici" in tempo reale, che troverà la sua
massima realizzazione con Warcraft e Command and Conquer. In Civilization
e Civilization 2, infine, considerati da molti (30)
come i migliori giochi di ogni epoca, Sid Meier riesce a fondere con
maestria elementi di strategia miltare, pianificazione economica e
progresso scientifico in un contesto grandioso: la storia dell’umanità dal
4000 avanti Cristo alla conquista dello spazio. Il pc, insomma, inizia ad
imporsi con forza come macchina da gioco. E il mondo delle consoles non
sembra più tanto affascinante da impedirne l’avanzata. Nel 1993, la
Panasonic lancia il 3DO, il primo videogioco basato su un processore a 32
bit, con il supporto di una sconfinata moltitudine di case software. Ma il
tutto si rivela presto un flop di dimensioni grandiose. Atari, reduce dal
bruciante insuccesso del Panther, ci prova con il Jaguar. Ma evidentemente
i felini di grossa taglia non portano bene all’azienda fondata da Nolan
Bushnell. Nintendo e Sega annunciano sistemi con tecnologia a 64 bit, ma
poi preferiscono concentrarsi su costose (e poco vendute) espansioni per
Famicom e Megadrive. Nelle sale-giochi, invece, soltanto Daytona Usa
riesce a farsi notare perché, anche se si tratta del solito simulatore di
guida, il suo motore 3D rappresenta davvero lo stato dell’arte della
tecnologia videoludica. Per tutti quelli che già pronosticano un decennio
di monopolio dei personal computers nel settore dei video-giochi, però,
una sorpresa è proprio dietro l’angolo.
10. Il fenomeno playstation (1995-98)
È dalla seconda metà del 1991 che si sente parlare di una "cosa" chiamata
playstation. I bene informati spiegano che si tratta di un progetto, nato
da una collaborazione tra Nintendo e Sony, per dotare il Super Famicon di
una periferica cd-rom. Passano i mesi, ma l’insuccesso del Sega-Cd
raffredda gli entusiasmi iniziali e, nel maggio del 1992, Nintendo e Sony
rompono il sodalizio. Tutto sembra essere finito nel nulla, fino a quando
i vertici della Sony non scoprono che la "Grande N", in realtà, sta
trattando segretamente con la Philips per dare vita ad un lettore
compatibile con il formato Cd-i (31).
I dirigenti della Sony, disgustati dall’atteggiamento della Nintendo,
decidono di reagire all’affronto e mettono alla frusta un esercito di
ingegneri con un solo obiettivo: sviluppare una console a 32 bit, dotata
di un lettore cd e capace di scalzare la Nintendo dal trono del mercato
mondiale. Nasce così, da uno sgarbo e una vendetta, il successo più
formidabile della storia dei videogiochi. La playstation viene presentata
in Giappone nell’inverno del 1994 e quando arriva, qualche mese più tardi,
in Europa e Stati Uniti, può già contare su un valido pacchetto di titoli
(conversioni arcade come Ridge Racer e giochi originali come Toshinden)
oltre che su un prezzo molto competitivo (32).
La prima vittima del "mostro" della Sony, però, non è Nintendo ma Sega,
che proprio in quegli stessi mesi ha lanciato la sua nuova console Saturn.
L’aggressiva politica di marketing condotta dalla Sega non può nulla
contro la playstation, che vende sempre di più, attira nuovi sviluppatori
di software e ogni mese cala di prezzo. Il fenomeno inizia a preoccupare
anche la Nintendo, che rinvia ancora la sua console a 64 bit e resta alla
finestra, in attesa degli eventi. Si tratta, però, di una mossa sbagliata,
perché Sony continua a conquistare segmenti di mercato e diventa presto
l’evento tecnologico dell’anno. Gran parte del successo, naturalmente, è
dovuto alle sue innovative caratteristiche hardware, che comprendono un
microprocessore a 33 MhZ dedicato esclusivamente alla gestione della
grafica 3D. Ma anche il Saturn è una buona macchina, eppure vende un
decimo del gioiellino Sony. La verità, dunque, va cercata nell’enorme
disponibilità di giochi che contraddistingue la playstation. Ed è proprio
questo il tallone d’Achille della Nintendo, che per il suo nuovissimo
Ultra 64, già pronto da mesi e tecnicamente superiore a tutta la
concorrenza, è riusciuta a mettere in piedi soltanto un ristretto numero
di titoli. Nella seconda metà del 1996, per uscire da un’impasse che
rischia di ucciderla, la Nintendo si decide a presentare la sua nuova
creatura. Puntando tutto, ancora una volta, sulla carismatica figura di
Mario. E anche Super Mario 64, in effetti, si rivela un gioco
impressionante per giocabilità e realizzazione tecnica, riuscendo -
praticamente da solo - a spingere l’Ultra 64 verso buoni risultati di
vendita. Niente a che vedere, però, con le stratosferiche cifre raggiunte
dalla Sony, che ormai impazza in tutti e cinque i continenti. La sfida è
vinta. Molti dei videogiochi più popolari, da Tomb Raider ai titoli
sportivi della Electronic Arts (la serie di Fifa, Nba e Nhl) vengono
prodotti per due soli sistemi: il pc e la playstation. Non è un caso,
naturalmente, che si tratti delle uniche due macchine da gioco basate su
un lettore cd-rom. Con il prezzo dei masterizzatori (33)
ormai sceso a livelli accettabili, infatti, la capillare diffusione della
pirateria software diventa - paradossalmente - un motivo in più per
comprare un personal computer o una console della Sony invece che un Ultra
64 (che utilizza ancora le cartucce). E titoli che, nei
negozi, costano intorno agli 80 dollari, dopo qualche settimana compaiono
a prezzo scontatissimo nelle bancarelle, reali o virtuali, dei pirati.
In ogni caso, ormai il pc e la playstation monopolizzano di fatto il
mercato dei videogiochi. Il personal computer può vantare una versatilità
e una "profondità" maggiori, soprattutto per le avventure e i titoli
strategici, ma la semplicità d’uso e il prezzo della console Sony sono due
fattori decisivi che le hanno permesso di entrare con forza nel mercato di
massa, riuscendo in un’impresa che - dai tempi di Pong - era sempre
considerata poco più di un’utopia. Soltanto negli ultimi tempi, con
l’adozione di schede acceleratrici 3D dell’ultima generazione (34)
e l’esplosione del fenomeno Internet (35),
il personal computer sembra aver riconquistato un margine di vantaggio
tecnologico tale da giustificare la grande differenza di prezzo che lo
separa dal sistema della Sony. Ormai qualche mese, però, si parla con
insistenza di una playstation 2. E la Sega ha appena lanciato il suo
Dreamcast, che oltre a garantire una grafica 3D spettacolare, ospita un
sistema operativo analogo a quello dei personal computers (36)
e negli Usa viene venduto insieme ad un modem. Una specie di ibrido tra
console e pc, insomma, che molti considerano come destinato ad un sicuro
successo. Ma le sorprese, nel mondo dei videogiochi, non finiscono mai.
Note
1.
J.C. Herz, Joystick Nation: How Computer Games Ate Our Quarters, Won Our
Hearts and Rewired Our Minds, Little Brown, Usa, 1997.
2.
Secondo altre fonti, invece, il primo videogioco della storia sarebbe un
rozzo "video-tennis" programmato da un ingegnere di nome Willy
Higinbotham, nel 1958, su un oscilloscopio analogico del Brookhaven
National Laboratory.
3.
Il gruppo di giovanissimi studenti ed assistenti universitari che, come si
può intuire dal nome del club, si occupavano della manutenzione di un
enorme modello in miniatura di rete ferroviaria che occupava un paio si
stanze del Mit. La maggior parte di loro, più tardi, si "riciclò"
nel settore dell’informatica.
4.
Gli elaboratori elettronici, spesso grandi come stanze, che dominavano la
scena dell’informatica prima dell’avvento dei personal computers.
5.
Basic: acronimo di Beginner’s All-purpose Symbolic Instruction Code, un
linguaggio di programmazione molto diffuso nei primi computers e, con
qualche variante, anche in quelli di oggi.
6.
Il gioco era originariamente conosciuto come Advent, visto che il nome dei
files presenti sui mainframes dell’epoca non poteva superare le sei
lettere.
7.
Una grande azienda che forniva dispositivi elettronici di vario genere
all’esercito degli Stati Uniti.
8.
Arcade, letteralmente "portico" o "galleria", è il
nome che gli americani danno alle sale-giochi.
9.
L’Odyssey vende più di 100mila unità, tutte corredate da pellicole
adesive con fondali colorati da applicare agli schermi televisivi.
10.
Il primo Odyssey non aveva neppure la potenza computazionale per calcolare
il punteggio, mentre le versioni successive del sistema Magnavox
comprendevano anche giochi chiamati Football, Ski o Submarine. Ma si
trattava, quasi sempre, di variazioni sul tema di Pong.
11.
Atari riuscì anche a vendere 150mila sistemi di gioco per corrispondenza
grazie al catalogo di articoli sportivi della Sears Roebuck.
12.
Rom: Read Only Memory.
13.
Atari Football è anche il primo gioco in cui compare una trackball e in
cui si sfrutta lo scrolling (scorrimento) dello schermo.
14.
In Lunar Lander, riedizione del vecchio classico per mainframes della fine
anni Sessanta, e successivamente in Asteroids, viene sperimentata per la
prima volta la grafica "vettoriale" al posto della consueta
bitmap (punto per punto). Si tratta del primo passo in quella tecnica di
disegno poligonale che porterà più tardi ai giochi 3D dell’ultima
generazione.
15.
Il gioco ripropone la celebre corsa tra motociclette virtuali che
rappresenta la scena più spettacolare del film realizzato dalla casa
fondata da Walt Disney.
16.
Il tracollo dell’Intellivision arriva nel 1983, quando la Mattel
presenta Aquarius, un home computer che doveva essere compatibile con le
cartucce della console. Al momento della sua commercializzazione, però,
si scopre che il computer (che pure presenta alcune caratteristiche molto
interessanti, come una memoria espandibile fino a 52K e una risoluzione
grafica - 320x192 punti - di tutto rispetto) è in grado di funzionare
solo con software "proprietario". È la morte, definitiva, sia
per l’Aquarius che per l’Intellivision. E la Mattel abbandona per
sempre il mercato dei videogiochi.
17.
In realtà, soprattutto nei suoi ultimi mesi di vita, ci fu più di una
conversione arcade per Intellivision (Burgertime, Bump’n’Jump,
Carnival, Centipede, Congo Bongo, Dig Dug, Pac Man, Q-Bert, Zaxxon). Quasi
sempre, però, si trattava di prodotti realizzati in maniera frettolosa e
scadente.
18.
La Coleco (acronimo di Conneticut Leather Company), introdusse nella prima
metà degli anni Settanta, il chip Telstar Arcade, sul quale erano basati
quasi tutti i cloni di Pong dedicati al mercato domestico.
19.
Il fenomeno, in Europa, si verificherà tra la fine del 1984 e l’inizio
del 1985.
20.
In giochi come Astron Belt, Firefox e M.A.C.H. 3, invece, il laser-disc
viene adoperato soltanto per la realizzazione degli sfondi, mentre tutto
il resto ha l’aspetto (e la giocabilità) di un videogame più
tradizionale.
21.
Il più economico dei personal computers dell’epoca, il Commodore PET,
costava la bellezza di 730 sterline. E negli States, per il favoloso Apple
II di Jobs e Wozniak, si potevano sborsare anche 2000 dollari.
22.
Lo standard Msx, creato per contrastare lo strapotere europeo e
statunitense nel mercato giapponese degli home computers, obbligava i
costruttori a rispettare alcune caratteristiche specifiche (per garantire
la compatibilità del software), ma lasciava piena libertà nello sviluppo
delle periferiche. I computer Msx non hanno mai avuto un grande successo
al di fuori dei confini giapponesi.
23.
Lo spazio, in questa sede, è troppo ristretto perfino per abbozzare una
lista sommaria dei giochi più diffusi o per tentare una classificazione
sistematica di generi e sotto-generi.
24.
Copiare software per computer, non solo negli anni ’80, è
un’operazione quasi banale. Mentre duplicare una cartuccia per console
è possibile soltanto con apparecchiature molto costose.
25.
Nell’inverno del 1984 la Warner Communications decide di sbarazzarsi di
Atari e trova un acquirente in Jack Tramiel, ex-presidente della
Commodore, che abbraccia una strategia decisamente orientata verso il
mercato dei computer, abbandonando lentamente la produzione di consoles.
26. Si tratta di Alexey Pazhitnov, all’epoca (1985) membro dell’Accademia
scientifica di Mosca e successivamente assunto dalla casa software
Spectrum Holobyte.
27.
Capace, cioè, di eseguire più di un’applicazione software
contemporaneamente.
28.
L’Amiga riusciva a raggiungere una risoluzione di 320x200 punti con 32
colori contemporaneamente sullo schermo (da una palette di 4096) e di
640x400 punti nella modalità a 16 colori (sempre da una palette di 4096).
29.
Anch’esso basato sul Motorola 68000, l’Atari 520ST riuscì a
conquistarsi una certa popolarità tra i musicisti grazie ad una porta
Midi incorporata, che gli permetteva di gestire con facilità strumenti
elettronici di ogni tipo.
30.
Compreso chi scrive.
31.
Cd-i: compact disc interactive, un sistema ideato da Philips che avrà un
limitato successo nel settore dell’educational.
32.
299 dollari: quasi cento in meno di quanto avevano calcolato gli analisti
di mercato e la concorrenza.
33.
Le periferiche che permettono di scrivere sui cd-rom (e quindi di
duplicare il software, anche illegalmente).
34.
L’esempio più importante è quello dei chipset "Voodoo" e
"Voodoo2" prodotti dalla 3DFX, su cui sono basate molte delle
ultime schede acceleratrici per personal computers. Da segnalare anche il
nuovissimo (e potentissimo) chip 128ZX della Riva.
35.
La Rete delle Reti è un vero paradiso del videogaming. Oltre a dare la
possibilità, con un un mumero di giochi sempre crescente, di confrontarsi
per via telematica con amici e sconosciuti, su Internet si possono trovare
mappe aggiuntive, espansioni e potenziamenti del proprio titolo preferito.
Nell’ultimo anno, poi, è esplosa la moda degli "emulatori",
che permettono di ricostruire fedelmente - sullo schermo del proprio pc -
la maggior parte dei classici giochi che, da Pong in poi, hanno affollato
il mercato arcade e quello domestico.
36.
Si tratta di Windows CE (Compact Edition), sviluppato dalla Microsoft per
il mercato dei computer "palmari".