Congetture & confutazioni
LA LEZIONE AMERICANA
di Fabrizio Del Noce

Probabilmente aveva ragione Winston Churchill, secondo cui la democrazia è il peggior sistema di governo possibile, eccettuati tutti gli altri. Va praticata, cioè, non osannata o idealizzata. Ciò non toglie che ci possano essere democrazie migliori o peggiori, o più o meno coerenti con i princìpi della coesistenza democratica. In questo, la recente vicenda del Sexgate ci dà indubbiamente una lezione. In America, quando scoppia uno scandalo, quando si inizia una fase processuale, ci deve anche essere una decisione finale. E deve essere rapida. Lo è stato per Nixon nella vicenda Watergate, lo è stato adesso per Clinton. Non è pensabile che la soluzione sia l’insabbiamento, l’oblio, i tempi eterni delle istruttorie, resi possibili dal marasma delle procedure o dai poteri di avvocati strapagati. Non è pensabile inscenare un teatrino, in cui quasi sempre recitano attori di quart’ordine, che svolga un’attività parallela a quella della giustizia per cercare soluzioni diverse da quella di una sentenza. Si chiamino esse amnistie, o colpi di spugna, o addirittura depenalizzazioni dei reati. Alludiamo a Tangentopoli? Ebbene sì, alludiamo.

Nei dodici mesi precedenti la sentenza, Clinton ha potuto fare il presidente a pieno titolo. E nessuno si è sognato di contestargliene il diritto. Si è discusso se sia un bene per la stabilità democratica dare tanti poteri ad un independent counsel come Starr. Ma eventuali cambiamenti venivano proposti per ridisegnare il futuro, non per cancellare il passato. In questo modo, a nostro avviso, l’istituzione in quanto tale viene salvata anche quando è infangata da chi la rappresenta.

Certo, a tutto il resto del mondo è apparso paradossale che la suprema istituzione della superpotenza potesse vacillare per una questione di palpeggiamenti più o meno spinti alla disponibilissima signorina Lewinsky. Leggendo gli editoriali stranieri sulla conclusione della vicenda, si evince che dopo un anno si stenta ancora a capire quale sia per l’America the heart of the matter, il punto chiave del problema. Negli Stati Uniti si vive di poche regole certe, e proprio per questo non possono essere eluse. Lo spergiuro è un crimine, perché la struttura sociale del Paese si fonda da sempre sulla reciproca fiducia. Ostruire la giustizia è un crimine, perché nessuno è al di sopra della legge, e meno che mai il presidente che la deve tutelare. Chi evade il fisco non sarà mai un "furbo che ce l’ha fatta", ma un truffatore dello Stato. Con tutti i suoi limiti, soprattutto culturali, il rispetto generale delle regole indica che in America c’è comunque un senso dello Stato che manca spesso altrove.

E adesso? Il Sexgate è veramente finito, o sarà la chiave di volta delle elezioni presidenziali del Duemila? Si finirà di setacciare la vita privata dei candidati, o questa pratica esasperata finirà con il portare alla Casa Bianca personaggi sempre più mediocri? Il cannibalismo politico non rischia di oscurare il dibattito sui temi reali della società del Duemila?

Questi sono gli interrogativi che l’America si pone dopo la conclusione di un caso che sarà comunque ricordato nella storia. Secondo lo storico Arthur Schlesinger jr., che fu consigliere di John Kennedy e che in questa vicenda è stato appassionato difensore di Clinton, ci sono dei rischi reali. Historia magistra vitae - è la tesi di Schlesinger - dimostra che già 130 anni or sono, dopo l’assoluzione di Andrew Johnson nel primo caso di impeachment della storia americana, ci fu un grave indebolimento dell’istituzione presidenziale. Come conseguenza, per oltre trent’anni si susseguirono alla Casa Bianca presidenti mediocri ed incolori. Tradizione negativa che venne interrotta soltanto all’inizio del nuovo secolo con l’elezione di Theodore Roosevelt. Secondo un autorevole esponente democratico, se il desiderio di punire prende il sopravvento sulle prove della colpevolezza, gli attacchi personali diventano così aspri da oscurare ogni ipotesi di dibattito politico.

La campagna elettorale è di fatto già cominciata, già si affacciano le prime candidature. Al Gore, candidato quasi scontato in campo democratico, sembra avverare in anticipo la profezia di una presidenza incolore. In campo repubblicano, dove la rosa è più ampia senza che per ora emerga un candidato di spicco, già si profila il rischio che il passato privato pesi più delle qualità personali. Nelle assemblee di partito del New Hampshire, Stato in cui tradizionalmente si aprono le primarie ed è quindi un test chiave, la parola d’ordine sembra essere "pulizia e moralità". Ma questo cosa vuol dire? Forse - tutto lascia credere che si vada su questa strada - che la vita privata di un candidato venga passata ai raggi x fin dai tempi della prima giovinezza? E questo significa che aver fumato uno spinello o "sniffato" una volta cocaina ai tempi dell’università impediscano di essere per tutta la vita una persona seria e responsabile? O che aver avuto una relazione extraconiugale sia sintomo di immoralità permanente? In realtà, il rischio non è nemmeno questo. Il pericolo è che si autoescludano fin dall’inizio della competizione tutte quelle persone che non vogliono compromettere i loro equilibri familiari e sociali rivangando inutilmente un passato lontano. Fatalmente, la rosa dei candidati possibili si ridurrebbe al punto da eliminare le persone probabilmente più capaci. E già si profila un esempio concreto. Il governatore repubblicano George Bush, figlio dell’ex-presidente Bush, con un passato turbolento di alcool e (forse) di droga quando aveva vent’anni, non sembra voler rischiare la stabilità familiare e l’equilibrio di due gemelle sedicenni per la corsa alla nomination. Per ora ha solo detto: vorrei essere valutato non per gli errori che ho commesso, ma per quanto ho imparato da quegli errori.

La lezione del Sexgate e, diciamolo pure, di anni in cui lo scandalismo sembra far premio è proprio questa, che si ricerchi nella politica un’ideale casa di vetro, così fragile da non resistere ai più piccoli sassi. Gli americani, per natura inclini alle esasperazioni, rischiano di non fermarsi ai confini indicati da equilibrio e buon senso. La democrazia, come diceva Churchill, è il sistema di governo meno peggiore proprio perché, a differenza delle dittature, consente scelte, valutazioni, condanne. Ma come è difficile trovare un equilibrio tra l’ideale del rigore morale e la tentazione della morale del compromesso!

Fabrizio Del Noce


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1999