Feuilleton
MILANO, CAPITALE
DEL NOVECENTO

di Marcello Dell'Utri

Giambattista Biffi, conte cremonese amico del Beccaria e dei Verri, così scriveva in una lettera del 1776: "Ho trovato Milano più colto assai di quello che lasciai anni sono; tutto è in fermento [...] ogni cosa prospera e prende incremento". Allo stesso modo oggi chi passasse per Milano dopo alcuni anni di assenza e con alle spalle gli anni bui del disfacimento della Prima Repubblica, del fallimento della delega all’amministrazione leghista e, forse, anche della fase acuta della crisi economica, troverebbe una città vivace ed in grande recupero. I forti segnali di risveglio e la volontà di rinascita sono da alcuni mesi sotto i nostri occhi, al punto che, la scorsa primavera, anche l’ex-cancelliere Kohl osservò che Milano e la Lombardia rappresentano la regione più forte economicamente in Europa: un’ondata di soddisfazione serpeggiò nella pubblica opinione cittadina insieme ad una residua incredulità. La spiegazione di questo duplice atteggiamento sta nel fatto che Milano capitale economica non è percepita oggi nello stesso tempo, a differenza di Parigi e Londra, anche come capitale politica e culturale, a scala italiana ed europea, determinando in ampi settori della società e della variegata intellettualità milanese un senso di crisi, più o meno profondo.

Cosa vi è di vero in quello che le numerose interviste ed inchieste giornalistiche relative agli "Stati generali" della città dello scorso giugno hanno riassunto come "decadenza" e "provincialismo" culturali di Milano da molti anni in qua? Fatta la necessaria premessa che lo sviluppo economico non determina automaticamente lo sviluppo culturale, che i tempi della politica non si riflettono immediatamente sui risultati dell’attività culturale, che gli stati d’animo mutevoli dell’intellettualità non vanno inseguiti ad ogni costo, resta la necessità di analizzare le radici del malessere che alcuni settori colti della città vanno manifestando.

Una prima risposta implica la capacità di riconoscere la cultura là dove essa è prodotta, specie in luoghi non istituzionali, superando ogni pregiudizio sulla separazione fra economia e cultura. Chi vive a Milano sa bene che la città periodicamente si riempie di centinaia di migliaia di visitatori che affluiscono in Fiera, riempiono alberghi e ristoranti, mentre molti luoghi pubblici e privati organizzano iniziative collaterali; il tutto seguìto con grande attenzione dai mezzi d’informazione. In alcuni casi - ne citiamo solo tre: il Salone del mobile, le manifestazioni della moda, lo Smau - sono nello stesso tempo eventi economici e culturali. Difficile, infatti, sarebbe negare a design, moda, informatica e tecnologie avanzate la patente culturale. Spesso, poi, si aggiunge il contributo di fotografi, artisti, architetti, registi, contribuendo a dilatare la dimensione artistica del singolo avvenimento. Infine, l’intervento della pubblicità e della comunicazione, che a Milano hanno la loro capitale, completa il quadro.

Bastano poche pennellate per delineare la vitalità della Milano degli anni Ottanta e Novanta, per quanto riguarda i suoi settori di punta tradizionali, a cui si aggiunge la nascita e l’affermarsi della televisione commerciale. Questo spiega perché la città continua ad essere legata nei fatti e nell’immaginario nazionale ed internazionale alla modernità ed alla sua cultura: per analogia, la mostra a Milano del 1982 sugli anni Trenta, che impegnò l’amministrazione guidata dal sindaco Tognoli in un nuovo metodo di comunicazione di massa, fu elemento attivo nel coinvolgimento e nel consolidamento di una coscienza nazionale, rimanendo, a tutt’oggi, un modello di sintesi fra comunicazione, cultura e modernità.

In secondo luogo, in assenza di significative iniziative pubbliche, vi è stato, in compenso, negli ultimi anni, fermento sul fronte privato: l’apertura di nuove gallerie come di sale cinematografiche avveniristiche; nuove strutture e fondazioni (Mazzotta, Prada, Biblioteca di via Senato, e tante altre), attive specie nel campo delle mostre d’arte; fondazioni storiche che si sono ampliate e ristrutturate (come la Mondadori); le tante sponsorizzazioni di mostre, libri, convegni, restauri, fino alla costituzione di archivi e musei aziendali. Inoltre, una élite di galleristi, antiquari, librai svolge un prezioso lavoro di organizzazione di mostre, di scoperte culturali e di anticipazione del gusto e del collezionismo. Senza dimenticare i collezionisti che, in Italia ed a Milano in particolare, hanno creato nei vari settori dei veri e propri musei paralleli e alternativi a quelli statali, uno dei tesori nascosti più importanti della città. Vi è un’innegabile scissione fra l’attività culturale privata con alcune talora sue specifiche caratteristiche e limiti (il frequente legame con manifestazioni economiche di breve durata, la necessità di privilegiare l’elemento spettacolare, un’impostazione spesso autoreferenziale...) e la mancanza di una sponda istituzionale organizzata ed efficiente che faccia da contraltare duraturo nel tempo. Non possiamo, tra l’altro, dimenticare il grave problema dell’organizzazione della "macchina" amministrativa pubblica, della riqualificazione del suo personale e dello snellimento della sua burocrazia. La querelle sindacale fra il sindaco Albertini ed i ghisa, i vigili urbani di Milano, è sintomatica di un sistema burocratico e normativo oramai appesantito e spesso in contrasto con le esigenze di rinnovamento. Col risultato che persino Indro Montanelli arriva ad affermare che i milanesi oggi devono delegare al sindaco il diritto di disubbidire, non essendo più possibile fare molto dentro il quadro della legalità attuale.

La separazione fra pubblico e privato si manifesta, po, in tutta la sua evidenza per quanto riguarda la vicenda culturale del Novecento. È questo il vero punto debole di Milano, una città che ha appena celebrato nel 1998 i suoi 2500 anni. Se esaminata senza pregiudizi e in tutte le sue articolazioni, la lunga storia della cultura italiana vede, dopo il Rinascimento, proprio nel Novecento un altro "secolo d’oro". E Milano, che ne è la capitale riconosciuta a scala nazionale ed internazionale, non dispone di un solo museo dedicato ad una delle tante arti in cui è stata ed è all’avanguardia nel secolo che sta per concludersi. Sembra un paradosso eppure è così.

L’elenco dei musei virtuali peculiari alla storia della città e purtroppo mancanti è lungo, ma una rapida carrellata si rende necessaria come indispensabile riflessione di partenza per qualsiasi ipotesi di rinascita culturale di Milano. - Museo del futurismo. Il primo movimento di avanguardia dell’Occidente nasce a Milano nel 1909 e continua sino alla morte di Marinetti nel 1944. La sua importanza straordinaria per l’estensione artistica e culturale, per la ramificazione territoriale, per le contaminazioni ed influenze non solo nazionali, appena da pochi anni può dirsi delineata fino in fondo. Eppure, a fronte di una sconfinata bibliografia in tutte le lingue e di decine di mostre in Italia e all’estero, Milano non ha uno spazio specifico dedicato al futurismo. - Museo del design e dell’architettura. Milano è da tempo una riconosciuta capitale del design: i nomi di Giò Ponti, Bruno Munari, Ettore Sottsass sono sufficienti ad evocare le schiere di grandi artisti accanto e dietro di loro, mentre la Triennale è un luogo storico per la cultura mondiale del design. Anche l’architettura vede Milano protagonista di grandi momenti (il razionalismo, innanzitutto), sede di riviste prestigiose (da Domus a Casabella) e abitata da architetti di fama internazionale, ammirati in tutto il mondo, che la città purtroppo non ha saputo legare a sé con progetti e realizzazioni di grandi opere pubbliche. Ben poco di tutto questo è oggi visibile e documentato in modo stabile e organico.

- Museo della moda. Nell’immaginario internazionale Milano è la città della moda, insieme a Parigi, e frotte di turisti sciamano tutti i giorni per le vie del quadrilatero, attratte dalle vetrine dei grandi stilisti. Dietro le vetrine vi è un’industria portante del made in Italy, vi è ricerca, cultura, arte. Una storia che Milano e il mondo della moda hanno il dovere di preservare dalle manifestazioni effimere, dalla distruzione o dal chiuso degli archivi delle singole maisons e di rilanciare agli occhi del pubblico cosmopolita che qui transita.

- Museo della pubblicità e della comunicazione. Pubblicità e comunicazione sono da tempo studiate nei loro rapporti con la storia, la cultura e l’arte del ’900. I manifesti pubblicitari, specie fine ’800 e inizio ’900, sono l’aspetto di questa vicenda più noto al grande pubblico. All’estero sono numerosi i musei dedicati al manifesto e anche Milano possiede l’importante fondo Bertarelli conservato (ma non esposto) al Castello Sforzesco. Fondo che si ferma ai primi decenni del ’900 e non documenta la produzione successiva, ricca e di qualità. Senza dimenticare tutti gli altri formati, supporti e materiali utilizzati dall’arte della pubblicità, fino a comprendere il suono, l’immagine fotografica e quella televisiva. Milano, la città dei precursori e degli inventori della pubblicità in Italia ed ora il grande centro nazionale di questa attività, non può continuare a trascurare un aspetto così importante della società e della cultura moderna.

- Museo dell’editoria, della grafica e del fumetto. Milano, senza alcun dubbio, è capitale nazionale dell’editoria, grafica e fumetto compresi. Molte delle case editrici storiche o più recenti hanno qui la loro sede e un secolo di vita culturale della città si identifica in gran parte con i tanti grandi o grandissimi editori, grafici, stampatori, librai ma anche scrittori, illustratori, critici, giornalisti, bibliofili che qui hanno lavorato e vissuto. Una città, per fare un esempio circoscritto alla sola letteratura, che seppur non ha dato i natali, ha ospitato ed ospita ben tre premi Nobel (Quasimodo, Montale, Fo) e un personaggio multiforme della levatura e della notorietà di Umberto Eco. Ebbene, di questo grande e composito universo non vi è stabile ed organica memoria collettiva. Intanto, la capacità di sintetizzare quanto annualmente avviene nell’editoria è emigrata a Torino, con l’apertura del Salone del libro.

- Museo dell’industria e dell’impresa. Milano, indiscussa protagonista mondiale, alla testa della regione Lombardia, dell’industria, del commercio, della finanza, del terziario avanzato, ha molti luoghi storici legati all’economia (Fiera, Borsa, grandi fabbriche attive o dismesse, eccetera) e molte iniziative legate alla storia delle singole imprese (archivi e musei aziendali). Non vi è invece un luogo istituzionale che ne racconti ed inquadri la storia complessiva e ne evidenzi i nessi con la cultura, che sono molti e profondi (archeologia industriale, design, pubblicità, editoria, fotografia, arte). Musei simili sorgono ovunque nel mondo, contribuendo all’affermarsi di un vero e proprio "turismo industriale", mentre Milano è priva perfino dell’idea della mancanza e della necessità di questo museo, che forse meglio di ogni altro sintetizza la vera anima novecentesca della città: la centralità dell’economia e le sue connessioni con molti saperi e molte arti, ovvero la produzione materiale strettamente intrecciata alla cultura.

I musei virtuali elencati non nascono su basi velleitarie e non costituiscono una fuga in avanti, pur in un Paese dove può già risultare ardita la richiesta d’apertura dei musei e delle biblioteche - come normalmente avviene all’estero - dalle 8 del mattino alle 11 di sera. Ma, anzi, si basano sulle risorse materiali e culturali della città stessa e rappresentano i singoli capitoli della grande vicenda novecentesca con cui Milano parla all’Italia e al mondo. Una città che non può essere schiacciata sul presente, senza memoria e senza storia, ma che deve essere insieme la città del fare e del sapere. Un sapere conservato, trasmesso criticamente alle nuove generazioni, reso attuale: questo sono i moderni musei, giustamente considerati i più potenti simboli di identità civica e culturale.

Un ultimo punto, infine, riguarda lo stato delle biblioteche milanesi, un importantissimo metro di valutazione sulla solidità culturale di una città, sulla sua capacità di conservare e trasmettere il sapere che sino ad oggi è in gran parte racchiuso nei libri. Milano vanta grandi biblioteche storiche, quali l’Ambrosiana (splendidamente restaurata e riorganizzata grazie all’intervento privato), la Trivulziana, la Braidense. Il punto debole sono, ancora una volta, la cultura moderna e contemporanea, il Novecento in tutte le sue ramificazioni, i fondi librari che oggi mancano e che dovrebbero documentare i già citati musei virtuali. A questo riguardo fanno ben sperare il progetto e la volontà dichiarata dall’attuale amministrazione milanese di creare nell’ex-scalo ferroviario di Porta Vittoria la grande biblioteca europea, con 5 milioni di volumi e collegamenti via computer con altre biblioteche e banche-dati italiane e straniere.

Intanto, in attesa degli anni necessari a realizzare questo sogno, sono ancora i privati a fare la loro parte. Ad esempio, l’archivio e la biblioteca della Pivano di letteratura americana sono stati salvati dalla dispersione o distruzione e resteranno a Milano per merito della Fondazione Benetton. Alla Biblioteca di via Senato, per fare ancora un esempio, ci sono fondi speciali spesso unici nel panorama milanese o nazionale, per tematica e/o dimensioni, come quello di storia dell’impresa in Italia dall’Unità ad oggi ed il fondo Vigorelli di letteratura italiana del ’900, e presto saranno aperti al pubblico quelli di cinema e fotografia. Nel frattempo, sponsor Publitalia, la Mostra del libro antico alla Permanente festeggerà quest’anno la sua decima edizione, consacrando Milano centro della bibliofilia.

I successi dell’iniziativa privata non devono, comunque, far dimenticare i tanti passi che ci separano in fatto di biblioteche dalle più avanzate città dell’Occidente. La scissione, quindi, che abbiamo oltremodo evidenziato tra attività culturale privata ed istituzioni pubbliche, locali e statali, va ricomposta su un piano più alto rispetto al passato. La realizzazione dei grandi progetti implica il necessario coinvolgimento di tutti. I grandi contenitori museali, le grandi biblioteche e si potrebbero ancora elencare i grandi spazi teatrali e musicali, vanno prima costruiti, sostenuti e poi gestiti da efficienti organizzazioni che richiedono, sotto il coordinamento pubblico, la partecipazione dell’imprenditoria privata. Va in questo senso la nuova chiamata del sindaco Albertini a tutte le principali forze intellettuali ed imprenditoriali della città, e già i successi delle mostre de "L’anima e il volto" e del ritratto de "La dama e l’ermellino", sottoposte alla regia dei potenti riflettori dei sistemi multimediali, e l’avvio di un’altra delle grandi opere promesse da tutti i sindaci e mai realizzata, il restauro ed il rilancio del Castello Sforzesco, dimostrano l’inesauribile vitalità ambrosiana che, come un fiume carsico, sembra pronta a riemergere alla prima occasione. Come scriveva un anonimo dell’800 nel suo "viaggio storico" per Milano: "Non tutte le città hanno un "tipo", ma quelle che l’hanno difficilmente lo perdono pel volgere d’anni e d’eventi".

Per altro verso, i milanesi, con le loro molteplici vite, storie ed imprese, rispondono con segnali contraddittori: se, da un lato, alcune fasce, pur minoritarie, appaiono sensibili alle innumerevoli proposte culturali e partecipano con un radicato gusto per il sapere, l’arte e la bellezza alla crescita della propria città, dall’altro, un ampio strato della popolazione si mostra disinteressato ad ogni iniziativa e risulta sempre più incline a forme estetiche degenerate ed alla perdita di ogni senso di appartenenza civica. Sembrerà cosa marginale, ma i muri, i monumenti e le chiese della città, imbrattate da centinaia di bande incontrollabili, ne sono un chiaro e triste segnale (secondo i calcoli di Assoedilizia, occorrono quasi 100 miliardi solo per pulire i muri, salvo complicazioni per danni gravi su pietre porose, marmi, intarsi e pitture).

Insomma, mentre Milano è già la prima o seconda concentrazione (dipende da chi redige la classifica) culturale del continente, ben 6 milioni di antidepressivi vengono consumati in un anno: in un senso Milano crea, accumula, distribuisce, rinasce; nell’altro, cancella, espelle, emargina, uccide...

Milano è una vera miniera, dove si scava, si estrae e si produce, ma viene fuori di tutto. Milano può diventare la "capitale del Sud Europa", felice slogan coniato in occasione dei recenti "Stati generali": spetta, però, ai suoi governanti, agli imprenditori ed a tutti i suoi uomini saggi il doveroso compito di utilizzare al massimo la sua ricchezza materiale e la proverbiale laboriosità, non disperdendo il suo patrimonio d’ingegno e creatività e contribuendo alla formazione delle coscienze ed alla valorizzazione delle menti, in particolare giovani, nel comune interesse culturale e civile.

Marcello Dell'Utri


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1999