Playgeneration: videogiochi, virtualità
e nuove socialità

CHE COS'E' UN VIDEOGIOCO
di Francesco Ugo Cavallari

I pilastri su cui si basa il programma di un videogioco sono essenzialmente due: il motore grafico e l’intelligenza artificiale. Il primo permette la visualizzazione sullo schermo dell’ambiente simulato, ed è una delle caratteristiche più rapidamente in evoluzione, anche perché determina il gradimento immediato dell’utente: se un titolo si presenta in modo abbastanza spettacolare, sarà giudicato al passo coi tempi. Oggi quasi tutti i giochi d’azione - il genere che richiede le maggiori prestazioni grafiche - hanno una grafica tridimensionale, che si avvale delle leggi della prospettiva: questo significa che il computer "calcola" il modo in cui apparirebbe l’ambiente con la stessa frequenza con cui la vista registra le immagini. In altri casi, invece, il programma usa immagini già create dagli autori del gioco e presenti nella memoria della macchina. Le funzioni di "intelligenza artificiale", invece, sono quella parte del programma che gestisce gli avversari simulati che il giocatore deve affrontare. Premesso, infatti, che ci sono alcune regole del gioco previste dal programma (ad esempio: se sotto un certo personaggio non c’è il pavimento, quel personaggio cade; oppure, in un gioco gestionale: se il sindaco alza le tasse sopra una certa soglia, l’economia ne soffre), i programmatori escogitano dei criteri che permettono alle entità simulate di sfruttare queste regole a favore o contro il giocatore.

Inoltre, il programma deve prevedere un sistema di "interfaccia", cioè delle vie attraverso cui i comandi possano giungere dall’utente alla macchina, e le informazioni possano percorrere la strada inversa. In un gioco d’azione, questo aspetto non deve essere molto sviluppato (tipo: "Muoviti con il joystick, e guarda nell’angolo dello schermo per leggere quante munizioni hai") ma in un titolo di strategia, in cui il giocatore deve poter tenere d’occhio numerosi fattori, l’interfaccia può determinare il successo o meno del gioco.

Oltre che da questi aspetti, il valore di un videogioco dipende, ovviamente, dalla struttura, cioè appunto dalle regole del gioco e, infine, dall’aspetto creativo e artistico. Il videogioco più noto, simbolo dell’universo videoludico e metro di paragone di qualsiasi altro prodotto che abbia in comune con esso qualche caratteristica, è senz’altro Quake della Id, assieme al suo predecessore Doom. Il mercato offre però un’enorme varietà di titoli, che possono appartenere ai più diversi generi. È difficile fornire una classificazione esauriente, anche perché spesso i giochi tendono a fondere insieme elementi di varie tipologie classiche. Comunque, tutti i videogiochi hanno in comune un principio di fondo: permettere al consumatore di mettersi alla prova affrontando ostacoli impersonali o nemici simulati o, in una partita a più giocatori, avversari reali. Si possono dividere i videogiochi in tre grandi categorie, a seconda del genere di capacità che richiedono al giocatore: le avventure grafiche, i giochi di strategia, i giochi d’azione. I primi due gruppi si basano entrambi sulla capacità di riflessione, ma si distinguono per la differente risposta data dai programmatori all’annoso dilemma di chiunque voglia scrivere un programma che simuli la realtà: lasciare al giocatore libertà d’azione all’interno di alcune regole, scrivendo un programma che possa calcolare le conseguenze del suo comportamento sul mondo virtuale, o istruire il computer sugli effetti di ogni azione prevedibile, impedendo al giocatore di intraprenderne altre.

Le cosiddette "avventure grafiche", che somigliano più di ogni altro videogioco a film interattivi, adottano la seconda soluzione. Nella loro formula più classica, non ammettono gli eventi che potrebbero portare alla morte del personaggio interpretato dal giocatore: questo significa che, prima o poi, verrà compiuta la sequenza di azioni che porteranno, in varie tappe, il raggiungimento dell’obiettivo del protagonista. La sfida consiste nello sciogliere gli innumerevoli problemi (o puzzle) che si frappongono tra noi e la conclusione, il che permette un’esperienza di gran lunga superiore a quella di una semplice narrazione.

Esistono due principali stereotipi di avventure grafiche. Il primo, inventato dalla Lucas Arts con giochi come The Secret of Monkey Island, ha uno stile da cartoon e una visuale in terza persona, e permette di compiere azioni attraverso associazioni tra gli oggetti presenti nell’ambiente, o tra essi e una facoltà del nostro personaggio (ad es.: "aprire" più "porta" consente di entrare in una stanza; "lente" più "sole" consente di accendere un fuoco di fortuna, risolvendo così un puzzle). L’altro modello di avventura grafica, che ha il suo prototipo in Myst, punta alla totale immedesimazione ambientale del giocatore, ha una visuale in soggettiva, fa uso di puzzle che si fondano, più che sull’associazione di idee, sulla comprensione dei meccanismi del mondo simulato e, necessariamente, ammette una minore varietà di azioni.

Si potrebbero raggruppare sotto il nome di "strategici" tutti quei videogiochi che, invece, permettono di agire all’interno di determinate regole in modo che il programma possa stabilire le conseguenze di una serie di azioni, richiedendo al giocatore l’applicazione di una buona strategia, piuttosto che della sua fantasia. Questa vasta categoria annovera, innanzitutto, i giochi di strategia militare, che siano a turni o in tempo reale, che si ambientino nel presente, in un futuro fantascientifico o in un fantastico passato medioevaleggiante. Quando alla gestione della guerra si accompagna quella degli aspetti diplomatici ed economici di uno Stato, si ha un tipo di gioco più completo. Se, poi, a tutto ciò si aggiunge un’estensione temporale su larga scala, si può controllare lo sviluppo di una civiltà nel corso dei secoli: è l’argomento dello stranoto Civilization di Sid Meier, ma anche di innumerevoli titoli di ambientazione spaziale e futuristica.

Ci sono poi i giochi di carattere più gestionale, che simulano l’amministrazione di un impero finanziario o di qualunque altra organizzazione, il più noto dei quali è Sim City della Maxis, in cui vestiamo i panni del sindaco di una cittadina: pur prevedendo anche altri aspetti amministrativi, il programma è basato sulla pianificazione urbanistica.

Infine, esistono le trasposizioni al computer dei classici giochi di ruolo come Dungeons & Dragons, in cui possiamo interpretare un personaggio di nostra creazione in un’avventura dagli sviluppi sempre diversi. Questa tipologia sembrerebbe coniugare la presenza di una trama con una maggiore elasticità ma, laddove non cede a compromessi con il genere delle avventure grafiche, tende a ridursi a un freddo esercizio tattico.

Quanto al terzo gruppo, quello dei giochi d’azione, esso include tutti quelli basati sulla prontezza di riflessi e di pensiero e sulla capacità di controllo del joystick. Possono essere giudicati in base a una scala, che ha, al suo estremo inferiore, i giochi puramente arcade, termine che in origine indicava i prodotti da sala-giochi ma ora è attribuito piuttosto a tutti i videogiochi semplici da giocare e di scarso realismo, all’opposto dei quali si trovano i titoli di maggior complessità, più vicini a una simulazione.

Nel campo dei giochi d’azione più arcade, l’avvento della tridimensionalità ha notevolmente modificato le categorie classiche, una delle quali, tuttavia, merita di essere citata: quella dei platform (la più nota è la saga di Super Mario), in cui il personaggio deve saltare su una serie di piattaforme, superando ostacoli di vario tipo grazie alla propria agilità. Variamente mescolate ad aspetti platform si trovano caratteristiche proprie di un’altra tipologia, quella dello "sparatutto", in cui un personaggio o un’astronave devono, appunto, sparare a dei nemici, cercando di sopravvivere il più a lungo possibile. Grazie alla grande novità rappresentata dai motori grafici che permettono, sfruttando la potenza dei computer dell’ultima generazione, una visuale prospettica di un ambiente realistico, lo "sparatutto" ha definitivamente trionfato sul platform nella formula di Doom e di Quake, che ha costituito il nuovo modello di arcade: visuale in soggettiva, un’inquietante arma in primo piano (quella che il giocatore "tiene in mano"), un cupo labirinto da disinfestare dai mostri, simile ai dungeons di certi giochi di ruolo. Questi giochi non sono più prodotti "usa e getta", ma qualcosa di più simile a un hobby o ad uno sport: quando il giocatore ha ripulito tutti i dungeons previsti, si può procurare le espansioni in commercio, oppure, connettendosi ad Internet, sfidare amici o sconosciuti in una battaglia simulata.

Esistono, naturalmente, molte altre tipologie di gioco d’azione. Abbiamo i giochi sportivi, che simulano, più o meno realisticamente, una partita a calcio o a tennis. Abbiamo i giochi di corsa, in cui bisogna pilotare in una gara (o attraverso un percorso a ostacoli) una vettura di F1, una motocicletta o un veicolo fantastico; esistono perfino mescolanze tra questo genere e quello degli "sparatutto", in cui è consentito di mitragliare gli avversari nel corso della gara, per non parlare di quel famoso Carmageddon, basato sull’investimento dei pedoni, che ha suscitato reazioni indignate. Ci sono poi i "picchiaduro", in cui si controlla un lottatore in un incontro di boxe o di arti marziali più o meno truculento. Ci sono le simulazioni di volo, che possono riguardare velivoli civili o militari, da cui sono derivati i giochi, di impronta più arcade, in cui si pilota un’astronave in una battaglia spaziale. Inoltre, sopravvivono ancora i platform, che si sono anch’essi convertiti alla grafica tridimensionale.

Da un’intelligente fusione, operata dalla Westwood, tra i giochi di pianificazione urbanistica tipo Sim City e quelli di strategia militare, con l’aggiunta del tempo reale, è nata la serie di Command & Conquer, che ha creato anch’essa una formula stereotipata: il giocatore deve dirigere la costruzione di fabbriche belliche, caserme e bunker, da usare per produrre macchine da guerra con cui radere al suolo le installazioni nemiche. Qualcuno ha pensato, proseguendo con la stessa logica, che la combinazione di questo nuovo genere con gli sparatutto in soggettiva come Quake avrebbe avuto successo, il che ha portato a titoli in cui il giocatore deve contemporaneamente progettare strutture, coordinare truppe e combattere in prima persona. L’incontro tra i giochi amministrativi e quelli sportivi ha portato a prodotti in cui si gestisce una squadra di calcio o una squadra di F1; l’unione, molto praticata, dei giochi d’azione con le avventure grafiche, a giochi in cui sono presenti una trama complessa, puzzle da risolvere e combattimenti in cui salvare la pelle.

A quanto pare, in un periodo di crisi di idee per le case produttrici di videogiochi, la fusione di generi tradizionalmente separati è l’unica innovazione non considerata a rischio di mercato.

Francesco Ugo Cavallari


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1999