GRAN TOUR MEZZOGIORNO
di Alessandro Napoli

L’importanza dell’industria turistica per l’economia italiana è fuori discussione. Il settore contribuisce infatti positivamente e in modo decisivo ai nostri conti con l’estero, oltre che alla creazione di valore aggiunto e occupazione. Dal primo punto di vista è emblematica la posizione del Paese nella graduatoria internazionale in base ai saldi della bilancia turistica, che vede l’Italia al secondo posto nel mondo, dietro la Spagna e davanti alla Francia. Dal secondo punto di vista, si rileva che il settore "alberghi e pubblici esercizi" contribuisce almeno per un 3,5% alla determinazione del pil, e in misura più accentuata al totale dell’occupazione (non meno del 4%). Si tratta, peraltro, di valori che non tengono conto di almeno due aspetti. Il primo è rappresentato dagli effetti indiretti e indotti. Caratteristica dell’industria turistica è infatti la rilevanza delle relazioni che intrattiene con altri settori dell’economia, fornitori di fondamentali fattori di produzione. La spesa turistica determina dunque effetti (indiretti) su reddito e occupazione anche in settori fornitori di beni e servizi che vengono poi utilizzati per la produzione di beni e servizi direttamente acquistati dai turisti. Inoltre, non va trascurato il fatto che sia i redditi che remunerano i fattori impiegati nella produzione turistica diretta, sia quelli che remunerano la produzione di input da essa utilizzati vengono spesi, contribuendo ad innescare un più ampio processo moltiplicativo di creazione di reddito e occupazione (effetti indotti). Il secondo aspetto è rappresentato dal fatto che i dati statistici ufficiali sottostimano la rilevanza della componente "sommersa" della produzione turistica, di consistenza tutt’altro che trascurabile a scala nazionale e particolarmente significativa in alcune regioni, primariamente del Sud.

A fronte di questi fatti incontrovertibilmente positivi si riscontra, però, una sostanziale indifferenza nei confronti del comparto da parte di ampi settori della scienza economica, dei policy makers, della pubblica opinione. Indifferenza che spiega la persistente marginalità dello sviluppo dell’industria turistica fra gli obiettivi della politica economica nazionale e delle regioni. Un certo risveglio di attenzione si è, in verità, manifestato nei tempi più recenti. Il dibattito mostra però alcuni limiti.

Un primo limite è rappresentato da un’inclinazione abbastanza generalizzata a concentrare l’attenzione su dati di natura congiunturale. Inclinazione oltremodo fuorviante, specie quando, a partire dall’osservazione di dinamiche di breve periodo, vengono tratte implicazioni sulle quali si pretende di fondare strategie di intervento a medio-lungo termine.

Un secondo limite è rappresentato dalla consolidata tendenza a privilegiare l’osservazione della situazione e dell’evoluzione della domanda, trascurando l’analisi di aspetti strutturali dell’offerta. Atteggiamento che tradisce la tendenza a considerare il settore come luogo eletto di attività di consumo e non di produzione.

Un terzo, infine, ha natura per così dire "ideologica". Quest’ultima considerazione vale soprattutto quando si consideri il dibattito su turismo e Mezzogiorno. Da più parti si afferma, infatti, l’opportunità di perseguire obiettivi di sviluppo dell’industria turistica come alternativa al perseguimento di strategie basate su incentivi allo sviluppo dell’industria manifatturiera. Si tratta di un approccio che guadagna proseliti soprattutto fra i delusi delle politiche industrialiste che hanno caratterizzato la lunga stagione dell’intervento straordinario. Vi è sottesa la logica del Sud inteso come puro e semplice playground d’Europa, "Florida" o bronze-dos del continente. Una logica che, però, non tiene conto del fatto che gli effetti macroeconomici del turismo sono tanto maggiori quanto più lo sviluppo del settore avviene all’interno di un’economia diversificata e integrata, come tale in grado di internalizzarli. In condizioni diverse, lo sviluppo del turismo finirebbe per accrescere la dipendenza dell’economia dell’area dall’esterno.

In sintesi, i motivi che consigliano di assegnare elevata importanza allo sviluppo del settore sono almeno quattro:

1) l’impatto della spesa turistica non è circoscritto ai soli settori produttori di beni e servizi direttamente acquistati dai turisti, ma si estende a una pluralità di settori fornitori, nonché, più in generale, all’intera economia (turismo come industria motrice);

2) gli effetti moltiplicativi della spesa turistica sono molto elevati (forte impatto macroeconomico);

3) le attività produttrici di beni e servizi direttamente acquistati dai turisti sono nella loro maggioranza caratterizzate da un impiego intensivo di manodopera: l’industria turistica può dunque giocare un ruolo di primaria importanza nella riduzione del tasso di disoccupazione;

4) nonostante l’emergere di una componente a elevato contenuto tecnico e professionale, la gran parte della domanda di lavoro espressa dal settore turistico complessivamente inteso continua a dirigersi verso basse e medie qualifiche e verso certa offerta di lavoro intellettuale, cioè verso i due segmenti in cui si concentra la gran massa degli inoccupati.

Da ciò appare evidente il contributo positivo che dallo sviluppo del settore potrebbe derivare soprattutto in aree, come il Sud Italia, caratterizzate da crescita economica lenta, marcato divario del pil per abitante rispetto a quello delle aree più ricche, accentuato squilibrio fra offerta e domanda di lavoro.

D’altra parte, nel complessivo contesto italiano e mediterraneo il Meridione rappresenta, dal punto di vista dello sviluppo turistico, una sostanziale anomalia, sia per quel che riguarda il contributo del settore alla creazione di valore aggiunto e occupazione, sia per talune caratteristiche della domanda. Da quest’ultimo punto di vista, una volta lasciate da parte le incoraggianti dinamiche recenti, non si può non notare come il contributo della componente straniera all’insieme della domanda turistica che si rivolge al Sud resti ampiamente minoritario, e decisamente marginale quando dal computo vengano esclusi i dati relativi a Campania e Sicilia.

L’industria turistica meridionale:

problemi e prospettive

Nell’analizzare la situazione dell’industria turistica nel Sud conviene concentrare l’attenzione sugli elementi di fragilità strutturale, in particolare dal punto di vista dell’offerta. Questo paragrafo si sofferma su quattro punti.

1) Il Mezzogiorno possiede risorse di tutto rispetto già parzialmente valorizzate o potenzialmente valorizzabili in chiave turistica. Un’analisi appena disincantata sulla natura delle risorse - naturali, artistiche, socio-culturali - ne rivela però il carattere di risorse non-uniche, eccezion fatta, probabilmente, per la costiera amalfitana, le isole campane, Taormina, la Valle dei Templi e poche altre. Ciò da un lato riduce oggettivamente la lunghezza del raggio entro cui le località turistiche dell’area manifestano un’elevata capacità di attrazione di flussi, dall’altro le espone alla concorrenza di altre destinazioni. Così, sul versante del turismo culturale le località del Sud si misurano a fatica con la concorrenza delle località dell’Italia centro-settentrionale (le "irripetibili" città d’arte, il cui sistema di offerta si trova nel segmento considerato ed a scala di mercato internazionale in una posizione quasi-monopolistica), mentre su quello del turismo balneare le mete meridionali si rivelano sostituibili con isole, coste e "riviere" mediterranee in cui il sistema di offerta può praticare prezzi competitivi soprattutto in forza di un minor costo di alcuni input (ad esempio, lavoro). Sul turismo balneare, è particolarmente temibile la concorrenza sul prezzo (a sostanziale o almeno parziale omogeneità di prodotto) da parte di Croazia e Turchia.

2) L’industria turistica meridionale è costretta a fare i conti con una distanza rispetto ai poli di massima generazione di domanda (aree ad alto reddito, localizzate in prevalenza nell’Europa centrale e settentrionale) maggiore rispetto a quella di altre aree mediterranee (alto Adriatico: italiano, sloveno e croato; coste spagnole...). Ne derivano diverse conseguenze negative, tanto sul piano del differenziale dei costi per gli spostamenti quanto sulla quantità e la qualità (affidabilità) delle informazioni disponibili da parte dei turisti potenziali. Il superamento di questo gap richiede investimenti per il miglioramento dei places e dei promotion factors più elevati di quelli che devono sostenere aree meglio posizionate dal punto di vista geografico. Peraltro, se è vero che il miglioramento dell’accessibilità può di certo essere conseguito con investimenti sulle reti e sulle infrastrutture di trasporto (in particolare aereo), è anche vero che tutto ciò non è di per sé sufficiente a colmare il gap. La maggiore distanza geografica e funzionale si traduce infatti in distorsione delle informazioni, incremento di pregiudizi, debolezza degli image factors che rendono l’offerta meridionale meno facilmente collocabile sui mercati ricchi e comunque relativamente lontani. Solo un’intensa e "costosa" collaborazione fra le imprese e il sistema pubblico-privato di promozione turistica locale e i grandi intermediari che orientano una quota più che rilevante e soprattutto crescente del turismo "in uscita" dalle aree a alto reddito possono, gradualmente, attenuare le conseguenze negative della distanza dai più importanti bacini di domanda.

3) La quota di turisti stranieri sul totale, sia essa misurata in termini di arrivi o in termini di presenze, è nettamente minoritaria. Se poi dal computo si escludono Campania e Sicilia, diventa addirittura marginale. Se si considera che la spesa turistica degli stranieri è quella che manifesta i più elevati effetti moltiplicativi su reddito e occupazione, si può capire come l’industria turistica meridionale, oltre che meno sviluppata di quella di altre regioni italiane e mediterranee, produca un impatto in termini di reddito e di occupazione sull’intera economia regionale più contenuto di quanto non lo sia in aree in cui il settore turistico propriamente detto ha dimensioni analoghe.

4) Con poche eccezioni, nessuna località del Sud presenta una tale concentrazione di attività turistiche da potersi propriamente definire stazione turistica o distretto turistico. Le principali conseguenze di questo dato di fatto si possono riassumere in: a) debolezza delle economie da agglomerazione; b) assenza di "saperi diffusi" applicabili al settore; c) sottosviluppo dei settori fornitori di beni e servizi utilizzati dalla produzione turistica, nonché di attività complementari, ad esempio di entertainment; d) disincentivo allo sviluppo di relazioni collaborative orizzontali fra le imprese; e) bassa visibilità dell’offerta, particolarmente sui mercati internazionali.

Il gioco combinato di questi fattori determina costi elevati di alcuni input, condizionando la possibilità di praticare politiche di prezzo che consentano di reggere la concorrenza, e ipotecando la stessa redditività delle imprese.

Inoltre, il sottosviluppo delle attività complementari continua a caratterizzare l’insieme dell’offerta turistica meridionale come accomodation based, secondo un profilo non in linea con le tendenze che si manifestano in tutti i diversi segmenti di domanda. Infine, l’assenza di "saperi diffusi" rende più elevati costi e tempi di addestramento del personale, mentre la bassa visibilità impone investimenti particolarmente impegnativi sul fronte della distribuzione e su quello della promozione.

Una strategia di sviluppo possibile

Le politiche attuate dalle regioni si sono basate a lungo su analisi piuttosto sommarie e "ideologiche" della realtà, non collocando lo sviluppo del settore in un quadro più ampiamente economico. Da ciò è derivata una limitata capacità di identificare e selezionare obiettivi, in modo da massimizzare l’utilità delle risorse disponibili per investimenti. È stata, al contrario, privilegiata una logica di redistribuzione territoriale, che non ha accresciuto la capacità complessiva di attrazione di flussi turistici, soprattutto internazionali. L’esempio delle politiche per lo sviluppo della ricettività nautico-diportistica è emblematico, in controtendenza con la concentrazione territoriale degli investimenti che ha consentito ad altri Paesi mediterranei (Croazia, ad esempio) di mobilitare sul settore capitali stranieri, di accrescere la capacità attrattiva e di assicurare elevata redditività agli investimenti intrapresi.

Il superamento di una logica ridistributiva si impone, secondo princìpi di concentrazione delle risorse finanziarie disponibili o mobilitabili attorno ad obiettivi che assicurino le più forti ricadute macroeconomiche. Il superamento della persistente marginalità e fragilità del settore e il miglioramento della capacità attrattiva dell’area sono dunque affidati a politiche mirate a: a) incrementare gli effetti macroeconomici della spesa turistica; b) adeguare l’offerta alla domanda, caratterizzata da mutamenti rapidi e continui; c) migliorare la posizione competitiva dell’industria turistica dell’area.

Tre finalità che chiamano in causa in modo combinato tutti i fattori che concorrono a definire il marketing mix del prodotto turistico meridionale: non solo la promotion, la cui importanza, alla luce degli effetti negativi sul piano dell’informazione e dell’immagine originati dalla distanza rispetto ai principali poli di generazione di domanda, è innegabile, ma anche il place (distribuzione del prodotto), il product (e qui la questione investe il problema di nuovi criteri per la classificazione delle strutture ricettive e quello della certificazione di qualità) e il price: quest’ultimo assume una rilevanza cruciale, se è vero che le risorse paesaggistiche e artistiche meridionali non hanno, in genere, caratteristiche di unicità.

Dalle finalità discendono gli obiettivi su cui la politica di sviluppo del settore dovrebbe concentrarsi, e che possono essere qui di seguito sintetizzati.

1) Certamente di fondamentale importanza è accrescere la capacità di attrarre turismo internazionale. Non si tratta meramente e semplicemente di perseguire la chiusura di un divario che separa l’industria turistica meridionale da quella di altre regioni mediterranee. La capacità di attrarre domanda internazionale è infatti indicativa della capacità competitiva dell’industria dell’ospitalità in un mercato sempre più globale, e dunque delle sue potenzialità di rafforzamento o anche solo di tenuta nel medio e lungo termine. Ma soprattutto il perseguimento di questo obiettivo è motivato dal fatto che quella estera è la componente di domanda che mette in moto i più rilevanti effetti moltiplicativi.

2) Un secondo obiettivo sta nell’incoraggiare i processi di concentrazione. L’industria turistica meridionale (e il ricettivo in primo luogo) ha infatti una struttura molto polverizzata (anche se meno che nella media nazionale, per la verità), con una netta prevalenza di imprese medio-piccole che sopportano elevati costi unitari di acquisto dei principali fattori di produzione e non possono che avere una limitata capacità di conseguire economie di gestione, nonché di svolgere attività di marketing e promozione. È indispensabile intervenire per incentivare - su quale debba essere la leva, la discussione è da aprire - integrazioni orizzontali e verticali nel settore, fusioni, acquisizioni, diffusione di rapporti di affiliazione con le grandi catene internazionali.

3) Finalità simili a quelle del precedente obiettivo le ha l’avvio di incentivi (più reali che finanziari) alla formazione di distretti turistici. Si tratta di incentivi non tanto alla costituzione di intese informali o di consorzi, quanto piuttosto all’espansione dell’offerta di posti-letto in aree già a significativa specializzazione turistica che renda chiaramente percepibile da parte delle imprese l’utilità di avviare e intensificare relazioni non competitive con altre imprese.

4) Last but not least è l’obiettivo di attirare investimenti diretti esteri nel settore.

Le motivazioni che militano a favore del perseguimento di questo obiettivo sono varie, e in parte coincidono con quelle indicate ai due punti precedenti. Ma soprattutto stanno nella capacità di imprese estere - e in primo luogo delle imprese multilocalizzate che animano il segmento dell’International Standard Hospitality -, che potranno insediarsi nell’area con impianti in proprietà o più realisticamente in franchising, di raggiungere direttamente una domanda internazionale, aggirando orientamenti e scelte dei tour operators e della distribuzione straniera al dettaglio di viaggi e vacanze.

Ma la presenza di esercizi facenti comunque capo al capitale internazionale può avere un ruolo fondamentale anche nel potenziare quel segmento dell’offerta ricettiva che, in forza di standard di qualità universali, predefiniti e da tutti i consumatori riconoscibili, gioca un ruolo decisivo nel rassicurare e orientare la domanda.

Alessandro Napoli


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1999