Ideazione
UNA GRANDE
COALIZIONE VIRTUALE
di Mauro Mazza
Un dettaglio,
un avverbio. Come dire un nonnulla, al cospetto delle troppe cose viste e
udite nelle settimane della crisi di governo e della sua conclusione. Non le
piroette, i tradimenti, le relazioni improprie. Non l’"Ulivo di
riserva", per dire degli "straccioni" di Cossiga. Non il
paradosso di un centro e di una sinistra che si sbarazzano, d’un colpo,
del centro-sinistra. Alla fine, quel che più rimbomba nella memoria e nella
mente, è proprio un avverbio - amorevolmente - scandito da Clemente
Mastella, che era proprio lì ad un passo, quella mattina al Quirinale, per
testimoniare che il Papa si era rivolto esattamente così, amorevolmente, al
futuro capo del governo italiano, pur in quel fugace saluto inserito con
qualche forzatura nel protocollo della visita al Papa, capo di uno Stato
amico, editore di quel quotidiano che ruvidamente aveva salutato l’avvento
di D’Alema, senza manifestare alcuna corrispondenza d’amorosi sensi.
Anzi.
È tuttora difficile
pronosticare durata ed esito dell’avventura appena cominciata. La strana
creatura è costretta, fin dal concepimento, a tener conto dei diversi
cromosomi che ne hanno impresso il dna. D’Alema ha svolto il compito con
prudenza ed accortezza, ma la sua impresa non si può definire eccezionale.
Le sue doti di maestria e di scaltrezza hanno avuto, diciamo, numerosi aiuti
esterni. Il presidente incaricato non si è trovato di fronte incomponibili
visioni del mondo da conciliare, ma angoli già arrotondati da smussare
ancora un po’. Non veti contrapposti da superare, ma smanie ministeriali
da contenere. Amorevolmente gli alleati nella composita e inedita
maggioranza di governo hanno contribuito al successo, coincidente con la
loro sopravvivenza e con le residue speranze di ripresa.
Che ne sarebbe stato
del leader dei Ds (o come si chiameranno, adesso che a guidarli ci va
Veltroni) senza uno sbocco politico alla crisi del governo dell’Ulivo?
Sarebbe, adesso, alle prese con un esecutivo tecnico controllato dal
Quirinale; o con un governo istituzionale, presieduto da Mancino o da
Violante. In ogni caso, il timone non sarebbe più stato nelle sue mani,
come aveva rivendicato con orgoglio, in Parlamento, quando Bertinotti consumò
il suo strappo.
Cosa ne sarebbe,
adesso, di Cossutta e del suo partito dei comunisti, se al posto di Cossiga
fosse tornato sulla scena Bertinotti, anche soltanto per ricominciare,
dentro la maggioranza di centro-sinistra, la guerra interrotta dentro le
stanze e le sezioni del partito? Dove sarebbe, adesso, l’Udr cossighiana
senza l’azzardo di una repentina apertura alla premiership di D’Alema?
Si sarebbe infranta sugli scogli di un’improvvisa e malaugurata
consultazione elettorale, oppure si sarebbe arenata nelle sabbie di un
governo di decantazione, breve breve, giusto il tempo di far passare il
semestre bianco prima di rompere le righe.
È stata l’unione a
fare la forza: unione di debolezze e di paure per una forza di governo tutta
da dimostrare. Amorevolmente i due protagonisti incontrastati di questa
storia hanno frugato nelle rispettive soffitte, alla ricerca di altre
storie, e ricorsi, e similitudini. Sicché, nelle parole del presidente del
Consiglio, trasfiguravano le velleità ministeriali - parallele e
convergenti - di ex-democristiani e comunisti: oggi "finisce la guerra
fredda", diceva D’Alema, pensando agli aspiranti ministri e
sottosegretari, le cui ambizioni si nobilitavano nell’evocazione di
stagioni lontane: euromissili e Kgb, Breznev e Nixon, Gladio e cortina di
ferro. E contemporaneamente, le immagini evocate da Cossiga - "È
questa la "terza fase" di Moro" - lanciavano storiche e
nobili suggestioni, in soccorso alle miserie del presente, fatto di
parlamentari eletti nel centro-destra e infine accorsi in aiuto del nuovo
vincitore, felici di farsi immortalare al suo fianco: tre colonne nelle
pagine di cronaca politica, con l’illusione di finire nei libri di storia.
Amorevolmente spudorati, eppure così generosi con se stessi.
Anche il nuovo quadro
politico, che aggiorna le categorie dei vincitori e degli sconfitti, è lì
a suggerire immagini forti: vive e vince la sinistra socialdemocratica e
riformista, guidata dal suo leader Massimo D’Alema; mentre muore l’idea
dell’Ulivo, malattia infantile del bipolarismo all’italiana, relegando
ad un ruolo marginale l’ex-premier Prodi, i suoi comitati, le tessere
verdoline ed un agitatissimo senatore del Mugello.
Vive e vince il
centro, che finalmente conquista spazio, poltrone e visibilità politica. È
il centro di polisti e ulivisti pentiti che si raggruppano e si confederano
e si intruppano, che scelgono e vengono scelti. Perde e muore, invece, il
centro concepito solo in virtù dell’alleanza con la sinistra, strada
senza ritorno rivelatasi vicolo cieco.
Ma non è soltanto un
destino di vincitori ad unire questo centro e questa sinistra. La
"terza fase", nelle parole di Cossiga, sarà una stagione non
breve ma nemmeno eterna, oltre la quale centro e sinistra saranno
normalmente contrapposti. Nella strategia di D’Alema il suo governo sarà
capace di incoraggiare, accompagnare, realizzare quelle riforme
istituzionali che la Bicamerale (da lui medesimo presieduta) non riuscì a
partorire. Eccolo, allora, un nocciolo di verità finora occultata o
sottaciuta. Il capo del governo e leader di maggioranza ritiene oggi
possibile esattamente quel che il presidente della Bicamerale e leader
dell’ex-Pds riteneva impossibile: un governo per le riforme.
L’esecutivo di Prodi
e la maggioranza Ulivo-Rifondazione non aiutarono la Bicamerale, anzi.
Crearono innumerevoli ostacoli, esercitarono pesanti pressioni. A palazzo
Chigi si percepiva la Commissione come foriera di diverse e più ampie
maggioranze che, con la forza delle cose, si sarebbero trasformate in
coalizione di governo, a garanzia e fino al termine del percorso
riformatore.
Così non fu perché
D’Alema non volle. Forse, diciamo, ebbe paura. Non se la sentì di
rischiare fino in fondo un dialogo senza rete con tutto il Polo, al quale
difficilmente il leader dell’ex-Pds si sarebbe potuto presentare con tutta
la sinistra. Fu così che intraprese il tentativo di dividere le forze in
campo avverso: allontanando, ad esempio, Fini da Berlusconi. È
un’operazione che oggi viene rilanciata, con un pezzo di centro-destra
associato al governo, anche nella speranza che altri settori lo raggiungano
in fretta. La Grande Coalizione, oggi più virtuale che politicamente reale,
avrà bisogno di ben altri supporti in futuro, a legge finanziaria
approvata, quando la luna di miele sarà finita, le carte saranno sul tavolo
e le scadenze politiche più vicine.
D’Alema cerca di
realizzare con Cossiga - per mezzo di Cossiga - quel che tentò senza
successo con Fini: poter prescindere da Berlusconi, immaginare un domani
senza di lui, senza quella sua irriducibile presenza e quella sua ostinata
resistenza. Nello schema D’Alema-Cossiga c’è posto, in fondo a destra,
per un movimento (speculare a quello comunista) che potrà essere
legittimato, benedetto e cooptato in una maggioranza di governo guidata dal
centro. Ma non è previsto nessuno spazio per un centro-destra che resti lì,
col suo leader e coi suoi voti, a rappresentare un’alternativa possibile.
Il compito del Polo
sembra essere soprattutto questo: una fedeltà alla propria origine, al
tempo in cui l’Italia politica era divisa in due ma unita nella speranza
di costruire in tempi brevi, e per davvero, una nuova politica e una nuova
Repubblica.
Le molte cose cambiate
nella politica paiono allungare a dismisura il tempo trascorso da allora.
Tutto si consuma più in fretta, ora che la confusione e la commistione sono
al potere. Soltanto pochi giorni dopo aver pronunciato il più solenne dei
"no, mai", Cossutta e i suoi sono entrati nel governo con Kossiga,
quello con la kappa, quello di Gladio e del "piano per mettere in
galera ai comunisti", come tuonava Diliberto alla tv nei giorni della
crisi.
Ma la fuga dalla
politica può essere sconfitta soltanto dal ripristino della politica, che
le manifestazioni di piazza alimentano ma non possono esaurire, né
surrogare. Alla morte dell’Ulivo, dichiarata dai suoi affossatori (e da
taluni suoi fondatori), deve contrapporsi un rilancio del Polo come casa
comune di quanti si sentono esterni ed estranei allo schema
D’Alema-Cossiga. Il Polo come luogo dello sciopero generazionale. Il
centro-destra come motore della riforma della Costituzione, esempio di
bipolarismo possibile, che sappia spingersi fino a superare gli attuali
confini e sfociare nel bipartitismo, proprio mentre tutto sembra muoversi
nell’opposta direzione: neo-proporzionalismo, frammentazione, ritorno al
passato.
Del resto, la
nostalgia è un dato oggettivo, non eliminabile, in un contesto di governo
che raggruppa molti protagonisti ed alcuni riconosciuti figli di lontane,
remote stagioni. Sembra di rivedere un vecchio film, in un rifiorire di
citazioni e di allusioni, tuffi in un passato che si credeva passato per
sempre. E invece, è tutto un fiorire di "ti ricordi?" e di
"sì, mi ricordo". Anche il senatore Andreotti ha votato la
fiducia al governo D’Alema. Come poteva fare altrimenti?
La nuova maggioranza
politica è il frutto di un’ardita operazione di vertice: nata
all’interno dei palazzi, avallata da potentati economico-finanziari di
prima grandezza, benedetta dalla massoneria, perfino. Dovranno impegnarsi
molto, e tutti, perché cammin facendo l’impresa non fallisca.
Potrebbe trascorrere
non molto tempo, prima del redde rationem. Nell’epoca storica, grande e
tragica, presa a paradigma dagli attori di oggi, l’alleanza di solidarietà
nazionale tra democristiani e comunisti cadde per insormontabili contrasti
politici (sulla scelta di installare o meno gli euromissili) e sotto i colpi
inferti dal terrorismo al cuore delle istituzioni. Oggi, in una situazione
meno drammatica, e soprattutto meno seria, a spazzar via tutto quello che in
queste settimane sembra invincibile potrebbe bastare molto meno: un
referendum elettorale, ad esempio.
E poi, comunque, verrà
presto il giorno di una prima verifica di fronte al popolo sovrano, come
recita la vigente Carta costituzionale. Elezioni europee, giugno 1999.
Sistema elettorale proporzionale. Prova d’esame per tutti. Prenderà più
voti Bertinotti o Cossutta? E i Democratici di sinistra saranno ancora il
primo partito? Il centro di Cossiga, Marini e Dini, quanto consenso riuscirà
a conquistare? Meno del dieci per cento e - diciamo - tutti a casa.
Mauro
Mazza |

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