Congetture & confutazioni
ADDIO PADANIA,
ADDIO FEDERALISMO
di Vittorio Feltri

La Lega Nord è morta alla fine del 1994, ma non lo sa e continua a infastidire. Ora però la tumulazione è vicina, si tratta soltanto di stabilire la data del funerale. Dipende da Umberto Bossi: non appena ha un attimo di tempo, bisogna che si dedichi ai suoi defunti. Se sono crisantemi, fioriranno. Il decesso, dicevo, risale a quattro anni fa, regnante Silvio Berlusconi. La Lega era nel Polo e godeva, almeno all’apparenza, di buona salute. Ma il suo capo, che in politica è un assassino, a forza di trascinarla di bettola in bettola e di costringerla a frequentare brutte compagnie (Buttiglione, D’Alema: per citare due nomi), la ridusse in cattivo stato: cirrosi epatica da eccesso di bevute.

Una brutta mattina lo Stato Maggiore dei padani apprese dal sciur segretario che la festa era finita. Basta libagioni, si rientrava nelle valli a zappare l’orto. I cinque ministri nordisti piansero calde lacrime perché non volevano abbandonare la partita e rinunciare all’auto blu, agli onori, ai banchetti, e solamente Irene Pivetti ebbe il permesso di trattenersi alla Camera. Poverina, con tutti i soldi che aveva speso per il guardaroba istituzionale, non poteva piantare tutto e rimettersi il vestitino da maestra.

Che cosa era successo? Durante una cena organizzata di nascosto, fra una sardina e una birra, il senatùr aveva accettato le lusinghe di Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione, alleandosi con loro per far secco il Cavaliere. Così fu. La Lega ritirò la propria delegazione e la maggioranza si sbriciolò. Una tragedia per il centro-destra che perdeva il timone, una pacchia per l’opposizione che guadagnava la speranza di afferrarlo.

Vi risparmio la cronaca dettagliata del ribaltone, immaginando che ve la ricordiate. Ma è bene sottolineare che, al termine di quei burrascosi giorni, avvenne il trapasso di Alberto da Giussano. Nessuno se ne accorse, nemmeno il de cuius. Che in effetti seguitò a sbraitare come quando era vivo, si fa per dire. Un giorno, il fantasma dell’Umberto comparve al congresso leghista, salì sul podio e recitò il de profundis di Berlusconi. Aveva sbagliato cadavere.

D’Alema, con l’ironia di cui è capace nonostante la faccia da ispettore di polizia, finse che tutto fosse in ordine e abbracciò la salma vera dicendo: bravo, hai salvato l’Italia dall’uomo di Arcore, sei un autentico democratico, meriti la gratitudine del popolo, viva la Lega. Viva un corno. Era già stecchita. Decomposta e quindi maleodorante. No, sarà forse stato un caso di suggestione collettiva, neppure gli elettori si resero conto che il movimento bossiano era andato all’altro mondo e, alle regionali di primavera, lo votarono come se fosse ancora in questo. Roba da matti. Non era mai successo che un feretro attirasse tanti consensi.

Però fu un fuoco di paglia, anzi, un fuoco fatuo. Non appena inumate nel parlamento di Mantova, esalando l’ultimo respiro le spoglie politiche di Bossi proclamarono l’indipendenza della Padania; sicché anche i ciechi e i sordi ebbero la certezza che l’ambaradan secessionista era nelle mani dei becchini. Le esequie, tuttavia, furono rimandate. Perché anche gli zombie, talvolta, servono a far numero, come bene sanno i vecchi democristiani addetti al tesseramento, i quali bazzicavano i cimiteri per reclutare nuovi adepti.

Alcune mummie indipendentiste parteciparono a gite in torpedone lungo le rive del Po, tirarono su gazebo, applaudirono l’Umberto in versione nibelungica, impegnato a riempire ampolle d’acqua fluviale, un rito oscuro ma assai gradito alle anime in pena. Poi l’annuncio: la secessione era uno scherzo da prete. Fesso chi ci aveva creduto. Adesso torniamo a Roma, disse Bossi, convinto d’essere risuscitato. E riprenderemo a tessere la tela politica per tutelare gli interessi del Nord. Quale Nord? Domanda troppo difficile perché l’Umberto possa rispondere.

Infatti il Nord-Est, mentre la Lega sbaraccava, via i gazebo, via le camicie verdi, i parlamentini e i governicchi, se n’era andato per conto suo, rimorchiato da Comencini, padre della Liga, federalista, moderato e soprattutto veneto, quindi non disponibile a reggere la coda al ducetto di Cassano Magnago. Il quale in questi giorni si aggira nei pressi di Montecitorio e palazzo Madama nella speranza di incontrare un cossighiano, un pipino o un dalemiano che gli offrano un mezzo litro. Berrà. Eccome se berrà.

Le maggioranze in Italia sono sempre in cerca di voti da pagare con una fornitura di illusioni in bottiglia. È il prezzo minimo per stare in piedi e arrancare. Il potere non guarda in faccia a nessuno, si nutre di resti umani, pur di nutrirsi. Se Oscar chiama, Bossi corre scodinzolando: ormai è un doroteo, altro che rivoluzionario. Ha imparato a danzare e nelle sarabande romane si muove a suo agio. Non disdegna i minuetti e le mazurche. I sondaggi danno la Lega in picchiata. Dimezzata. Se si andasse alle urne, essa ne uscirebbe magra come la morte improvvisa. E senza falce. Bossi ha rubato anche quella e l’ha venduta per un cicchetto.

Addio federalismo, addio Padania, addio secessione. Rimane una carcassa.

Vittorio Feltri


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1998