1948. Il 18 aprile delle libertà
E LE VECCHIETTE SCONFISSERO
GLI INTELLETTUALI

di Dario Antiseri

Il 1947 è stato un anno cupo, amaro. Il Paese è tutto un bacino di crisi. Quello alla guerra è un lento addio. L’Italia ne è uscita da due anni ma ne porta ancora i lividi addosso. La guerra ha ferito uomini e cose e la sua scia non si consuma ancora. Il suo ricordo è una presenza fisica, un incubo difficile da dimenticare. Sei milioni di vani abbattuti - dicono le statistiche, crude come solo i numeri sanno essere -, settemila ponti a pezzi, un quarto della rete ferroviaria distrutta, le macerie, le case diroccate, gente che è morta lontano, gente che è morta in casa sotto le bombe, gente ammazzata dalla guerra civile, gente straziata, torturata, ferita dalla guerra. Ferita fuori o dentro, che è ancora peggio. E la povertà è dilagante.

Il Paese è stretto nella morsa di un’economia di sussistenza. Nelle liste dei comuni si trovano iscritti 3.700.000 poveri. La disoccupazione raggiunge il 20 per cento della forza lavoro. I braccianti, al Centro e al Sud, lavorano da mane a sera per 200 lire al giorno. Esistono, inoltre, squilibri impressionanti: 6,5 milioni di piccoli proprietari posseggono appena 10 milioni di ettari di terreno, mentre 8mila grandi proprietari sono padroni di 4 milioni di ettari di terreno. Circa 6 milioni di persone che lavorano la terra vivono da indigenti. E, intanto, privi della speranza di trovare un lavoro, moltissimi giovani, soprattutto dal Veneto, dall’Umbria, dalle Marche e da tutto il Sud emigrano prendendo la via preferenziale verso la Francia, la Germania, il Belgio. Nelle miniere del Belgio lavorano 40mila italiani.

In una situazione del genere, il Pci - guidato da Togliatti e con uomini come Luigi Longo, Pietro Secchia e Giuseppe Di Vittorio - il 28 dicembre del 1947 crea, insieme ai socialisti di Pietro Nenni, il Fronte popolare: una gigantesca massa d’urto che, tramite scioperi a ripetizione, manifestazioni e scontri di piazza, avrebbe dovuto infrangere la diga democristiana di De Gasperi, vincere le elezioni e così conquistare il potere democraticamente e non "sulla punta delle baionette".

Il 9 febbraio del 1948 vengono indette le elezioni per il giorno 18 aprile. Il Fronte popolare ottiene nel frattempo - il 15 marzo - una schiacciante vittoria nelle elezioni comunali di Pescara, dove i "rossi" conquistano un numero doppio di seggi di quelli presi dai "bianchi". La situazione pare davvero precipitare a favore del Fronte. Presentatosi ufficialmente il 1 febbraio 1948, il 20 dello stesso mese il Fronte lancia l’Alleanza per la difesa della cultura, alla quale aderiscono frotte di intellettuali. Attori, poeti, professori non si sentirebbero intellettuali se non si schierassero a sinistra: solo a sinistra c’è la verità; solo a sinistra si può trovare la via del riscatto. E questa connivenza - fatta di presunzione e, non di rado, di opportunismo - tra intellettuali e sinistra politica è durata ufficialmente sino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino; di fatto, è fiorente ancor oggi. Tra tanti altri si schierano con il Fronte: Sem Benelli, Salvatore Quasimodo, Vittorio De Sica, Elio Vittorini, Corrado Alvaro, Cesare Zavattini, Silvio D’Amico, Anna Magnani, Umberto Saba, Luchino Visconti, Giuseppe Marotta, eccetera. E non furono pochi gli intellettuali che si misero a sventolare le bandiere del materialismo storico-dialettico, mentre qualche anno prima avevano entusiasticamente giurato sull’eterna verità della dottrina fascista.

L’appoggio degli intellettuali al Fronte popolare fu massiccio (un appoggio, peraltro, in seguito ben ricambiato!). La campagna elettorale si svolse in un clima di grande tensione, di autentica guerra fredda. I risultati definitivi delle elezioni dettero quasi 13 milioni di voti alla Dc, e cioè il 48,5 per cento dei suffragi, mentre al Fronte andò il 31,6 per cento. Attilio Piccioni, allora numero due della Dc, commentò il risultato delle elezioni con una frase che doveva in seguito rimanere famosa: "Credevo che piovesse, non che grandinasse".

Dove sono da trovare le cause della sconfitta del Fronte popolare alle elezioni del 18 aprile 1948? Perché il Pci, con più di 2 milioni di iscritti e 36mila cellule, non ottenne il consenso sperato e all’apparenza a portata di mano? Giancarlo Pajetta aveva parlato di "un movimento di massa tanto esteso che anche le vecchiette settantenni avrebbero gettato i loro pitali sulla testa di De Gasperi". Ebbene, come mai questo movimento di massa venne sconfitto, e tanto pesantemente, da un movimento di massa più grande e più travolgente e che pensò bene di porre il destino del Paese nelle mani di Alcide De Gasperi?

Certamente, una delle cause della sconfitta del Fronte popolare è da ravvisare nella levatura politica e morale di uomini come De Gasperi ed Einaudi. Un’altra non indifferente causa della vittoria del centro fu, fuor d’ogni dubbio, il coraggio di Saragat, il quale si staccò da un partito socialista ormai succube del Pci, e costituì quello che poi si chiamerà Psdi. Notevole peso sulla vittoria di De Gasperi alle elezioni del ’48 lo ebbe di certo il piano Marshall. Presentato il 5 giugno 1947, il piano Marshall cominciò a funzionare nel 1948 per concludersi nel 1952. All’Italia, in denaro e aiuti alimentari, toccarono 1.515 milioni di dollari, e cioè 684 miliardi di lire di allora. E c’è, inoltre, da considerare che dal settembre 1943 all’aprile 1948 l’Italia ricevette dall’America sovvenzioni a fondo perduto per un valore di 1.419 milioni di dollari.

Le ragioni della sconfitta del Fronte popolare non si riducono, tuttavia, a quelle ora esposte. Né penso si possa asserire - come di recente è stato fatto - che il rifiuto del piano Marshall da parte del Pci fornisca "il nodo centrale di riferimento per capire la storia della sorprendente sconfitta elettorale" del Pci. Tale rifiuto fu uno e non il nodo centrale di riferimento per la comprensione della sconfitta del Pci.

In ogni caso, c’è ben altro da prendere in considerazione. Pietro Nenni, qualche giorno dopo il 18 aprile, annota nel suo Diario: "Abbiamo sottovalutato tre fattori: la Chiesa, l’America e Saragat". Già, la Chiesa! La Dc, infatti, per la campagna elettorale del 1948 potè contare su 300mila volontari inquadrati nei Comitati civici di Luigi Gedda, Comitati che costituirono una capillare e onnipresente macchina elettorale cattolica. Un appoggio di rilievo la Dc lo ebbe dal gesuita padre Riccardo Lombardi, detto "il microfono di Dio", grande trascinatore di folle. Le parole di Pio XII furono alla base della mobilitazione dei 600mila iscritti all’Azione cattolica, oltre che degli aderenti ad associazioni importanti come la Giac, le Acli e, soprattutto, la Coldiretti.

Qua giunti, tuttavia, non dobbiamo dimenticare i parroci. Allora ce n’erano 22mila, presenti e influenti in tutti i paesi - grandi e piccoli -, anche nei più sperduti. E furono proprio i parroci, quotidianamente a contatto con le gioie e le sofferenze della gente, a convincere tante persone - e tra costoro anche tante vecchiette, magari analfabete - a votare per la Dc.

Fu così che gli "oscurantisti" - affidatisi alla tradizione più alta della Chiesa cattolica - contribuirono a salvare la democrazia e la civiltà del nostro Paese; e ciò mentre presuntuosi intellettuali di sinistra predicavano la via della caverna e, ciechi di fronte ai crimini di stampo leninista-stalinista, iniziavano la loro triste marcia dentro il comunismo.

Dario Antiseri


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1998