Internet,la ragnatela della libertà
L'INQUISITORE DIGITALE
di Giuseppe Mancini

Internet è un mezzo di comunicazione rivoluzionario, in grado di provocare un mutamento radicale, in senso universale e libertario, delle modalità comunicative e di aggregazione sociale. In virtù delle sue caratteristiche di interattività e bidirezionalità, unite alla sua struttura transnazionale e flessibilmente espandibile, ogni utente può trasformarsi in produttore e distributore di informazioni, che viaggiano in tempo reale, ad ampio raggio e in profondità, penetrando ogni frontiera. La Rete mette perciò in discussione la credibilità dei monopoli comunicativi costruiti da Stati autoritari e totalitari, capaci di assoggettare i pochi centri del media-system tradizionale e di creare spazi ermeticamente chiusi, fondati sull’eliminazione selettiva e la manipolazione delle informazioni. Gruppi politici alternativi, come i guerriglieri peruviani dei Tupac Amaru e di Sendero Luminoso, l’esercito zapatista di liberazione nazionale, il partito rivoluzionario del Kurdistan (DHKC), i Taliban afgani, gli indipendentisti del Kosovo, ma anche gruppi del Ku Klux Klan, revisionisti-negazionisti dell’Olocausto e propugnatori della supremazia della razza bianca (White Supremacists), i cui messaggi vengono spesso distorti - per conformismo o interesse - dai mezzi di comunicazione tradizionali o soppressi su iniziativa governativa, dispongono infatti di uno strumento insostituibile per raggiungere direttamente e mobilitare l’opinione pubblica o per interagire tra di loro. Tuttavia, soprattutto a partire dal 1996 (l’anno del boom di Internet), il libero flusso comunicativo e informativo della Rete è sempre più ostacolato da interventi censori, che hanno come obiettivo il controllo dei contenuti delle comunicazioni digitali.

Una prima minaccia alla libertà di Internet viene da tutti quegli Stati, soprattutto islamici e del Sud-Est asiatico, oltre alla Cina, che pongono limiti rigorosi alla capacità di accedere alle libere energie della Rete dal loro territorio. Non potendo agire direttamente sulle risorse on line al di fuori della loro giurisdizione - i gruppi politici alternativi spesso utilizzano servers all’estero - essi hanno due possibilità. Alcuni impongono restrizioni all’uso individuale degli strumenti connettivi, subordinandolo al rilascio di licenze d’acquisto ed utilizzazione (è il caso dell’Arabia Saudita, del Sudan, di Burma, di Cuba), e tengono perciò artificialmente basso e più facilmente controllabile il numero degli utenti. Altri realizzano barriere informatiche per filtrare le informazioni diffuse tramite Web o newsgroups: il traffico digitale viene convogliato attraverso servers governativi, che bloccano l’accesso ai siti contenuti in una "lista nera" costantemente aggiornata (è il caso della Cina, di Singapore, del Vietnam, della Malaysia, degli Emirati Arabi Uniti).

Motivo ispiratore di questi interventi - a detta degli Stati interessati - è la preservazione dei propri modelli culturali da influssi corrosivi: i valori degenerati di matrice occidentale prevalenti sulla Rete (iperindividualismo, libertà sessuale), definiti infopollution, inquinamento (spirituale) da informazioni (indesiderate). In effetti, le motivazioni ufficiali nascondono un interesse prioritariamente politico. L’Arabia Saudita, Cuba e Burma, ad esempio, tengono la maggior parte della popolazione al di fuori dei flussi comunicativi della Rete per evitare contatti con i dissidenti in esilio e col materiale "sovversivo" che essi diffondono nel cyberspazio. La Cina, inoltre, impedisce l’accesso in prevalenza ai siti di organizzazioni informative statunitensi (ad esempio, The Voice of America, The Washington Post, The Boston Globe) che promuovono la democrazia e la libertà d’espressione, e alle pagine create dai dissidenti per inneggiare all’indipendenza di Taiwan, del Tibet e dello Xinjiang.

Resta poi da chiedersi quale sia l’efficacia delle misure adottate. È massima nel caso dell’autoesclusione, anche parziale, che è però praticabile solo da Stati di ispirazione militare e dittatoriale (Sudan, Cuba e Burma), mentre l’Arabia Saudita già si sta muovendo verso una liberalizzazione temperata da filtri. È invece molto limitata nel caso dei sistemi di bloccaggio. Innanzitutto, perché esistono meccanismi che consentono di cambiare continuamente l’indirizzo telematico dei siti proibiti (i mirrors, di cui dirò meglio più avanti), e perché è possibile trasmettere informazioni tramite posta elettronica, anonimamente e in forma criptata. La posta elettronica, ad esempio, è il metodo recentemente scelto da The Voice of America per diffondere i propri bollettini informativi in Cina, nonostante la censura. Inoltre, un’adeguata ricerca di nuovi siti, o di siti dal nuovo indirizzo - ritenuti "dannosi" o "inquinanti" - da aggiungere alla lista di quelli vietati, è resa praticamente impossibile dallo sterminato volume e dalla rapidissima trasformazione del materiale presente sulla Rete (si parla di più di 1 miliardo di pagine web, oltre a decine di migliaia di newsgroups), il cui screening richiederebbe un nutritissimo dispiego di uomini per una durata temporale imprecisabile ed assolutamente senza pause.

Una seconda minaccia, sicuramente più inflessibile nei toni ed ostinata nelle iniziative, ha come artefici gruppi di pressione, spesso a carattere transnazionale, che pattugliano la Rete alla ricerca di contenuti sgraditi da eliminare con iniziative legali o con vere e proprie operazioni di guerriglia informatica. Le finalità e i metodi di questi "cybervigilanti" sono condivisi da agenzie governative di Paesi occidentali che, pur non adottando politiche di sistematico controllo, si attivano per contrastare le attività on line di gruppi estremisti e terroristici.

Le azioni di cybervigilanza più note ed insistite riguardano i gruppi di estrema destra, neonazisti e razzisti, che si avvalgono degli strumenti connettivi di Internet per diffondere le proprie idee, per coordinare iniziative e manifestazioni, per raccogliere fondi e reclutare nuovi membri. Questi gruppi sono il bersaglio delle aggressive campagne del Simon Wiesenthal Center o dell’Anti-Defamation League, che hanno lanciato una meticolosa crociata per depurare la Rete da ogni pericolosa infiltrazione sopprimendo le voci dissenzienti. Promuovendo costose - anche in termini d’immagine - azioni legali, preannunziando forme di boicottaggio o di protesta informatica, i cybervigilanti hanno spinto alcuni providers statunitensi e canadesi a cancellare numerosi siti web controversi, come quello del canadese Ernst Zündel, revisionista dell’Olocausto dalla discussa fama digitale.

Anche alcune agenzie governative hanno alimentato l’ondata dilagante di cyberintolleranza. Innanzitutto attraverso la campagna di mailbombing, orchestrata dal governo spagnolo dopo l’assassinio di Miguel Angel Blanco per mano dell’Eta nello scorso luglio, che ha bloccato il sistema informatico dell’Institute of Global Communication, costretto ad escludere dai propri intasatissimi servers l’edizione elettronica della rivista indipendentista basca Euskal Herria. Il governo di Madrid ha poi cercato di completare il suo disegno censorio con una formale richiesta alla Cnn affinché eliminasse dal proprio sito un link all’Euskal Herria, ma in questo caso con esito negativo. Agli sforzi dei cybervigilanti spagnoli si è prontamente unito l’ufficio antiterrorismo della polizia londinese, invitando con successo il fornitore d’accesso Easynet alla chiusura del sito di Internet Freedom, la nuova dimora elettronica dell’Euskal Herria censurata. Un secondo interessante esempio di cybervigilanza governativa ha visto come protagoniste le autorità giudiziarie tedesche, che hanno ordinato ai providers in Germania di bloccare l’accesso alla rivista di estrema sinistra Radikal, fuorilegge in Germania, perché accusata di incitare ad azioni terroristiche, ma libera in Olanda, da dove l’organizzazione XS4ALL la diffonde nel cyberspazio.

Grazie alla natura proteiforme di Internet, alla sensibilità e allo spirito battagliero dei cyberattivisti libertari, alla possibilità di clonazione digitale offerta dai mirrors, che consentono di riprodurre fedelmente un sito web censurato trasferendolo elettronicamente in qualsiasi altro server della Rete, queste misure si sono rivelate largamente inadeguate ed in effetti controproducenti. Lo Zündelsite, l’Heuskal Herria, il Radikal, Internet Freedom, attaccati dai cybervigilanti ed oscurati, sono infatti ricomparsi prontamente nel cyberspazio, per di più moltiplicati in numero e in visibilità dallo sforzo di chi considera la libertà d’espressione un bene collettivo da tutelare con ogni mezzo a disposizione.

La terza minaccia, dipinta negli Stati Uniti come morbido argine che impedirebbe il dilagare su Internet di attività illecite e riprovevoli soprattutto a sfondo sessuale, è in realtà la più pervasiva e pericolosa forma di censura digitale fin qui ideata. Rischia infatti di essere ridotta al silenzio, o comunque marginalizzata, un’esuberante varietà di voci ed idee politiche alternative e spesso controverse, la vera ricchezza di Internet, probabilmente sostituite da un insieme ordinato ed omologato di risorse informative prive di slanci critici. Dopo il fallimento del Communication Decency Act (giudicato dalla Corte Suprema contrario al Primo Emendamento che protegge la libertà d’espressione), che prevedeva pene severe per chi diffonde o permette la diffusione elettronica di testi ed immagini considerati "indecenti" o "manifestamente offensivi" consultabili anche da minori, il governo degli Stati Uniti ha messo a punto una strategia d’azione piuttosto articolata. In base a questa strategia, da una parte viene incentivato l’uso di sistemi di bloccaggio tradizionali da parte degli utenti privati; dall’altra viene programmata la sistematica ed obbligatoria classificazione di tutte le risorse di Internet, che verrebbero poi filtrate grazie ad un software molto sofisticato da usare nelle scuole e in tutti gli altri punti d’accesso pubblici alla Rete, biblioteche comprese.

I programmi di bloccaggio tradizionale, come SurfWatch, CyberPatrol, NetNanny, CyberSitter, X-Stop e molti altri, funzionano in base a due diversi princìpi. Un primo sistema, rudimentale ed aspramente criticato, vieta l’accesso a tutte quelle risorse digitali individuate per mezzo di una ricerca per parole-chiave, col rischio documentato di privare l’utente di informazioni spesso preziose, come quelle relative alla prevenzione dell’Aids o persino di testi letterari e di riproduzioni digitali di opere d’arte. Un secondo sistema, più evoluto, impedisce di collegarsi con una serie di siti considerati poco adatti per i minori in base a categorie stabilite dalle aziende produttrici del software. Anche questo sistema è oggetto di numerose critiche: primo, perché le scelte vengono effettuate spesso da personale poco qualificato; secondo, perché queste scelte rispondono in ogni caso a criteri del tutto soggettivi; terzo, perché ad una impossibile operazione di screening completa si sostituisce un’analisi superficiale e grossolana; quarto e ancora più importante, perché i siti effettivamente bloccati sono spesso di contenuto politico. Ad esempio, CyberPatrol blocca l’accesso a numerosi siti di gruppi estremisti e radicali e di associazioni femministe e di omosessuali; X-Stop persino a quelli del think tank conservatore Heritage Foundation o a quello della setta religiosa dei Quaccheri.

Il sistema di classificazione universale, da più parti invocato ed ancora in fase di sperimentazione, grazie ad una tecnologia standard (PICS, Platform for Internet Content Selections), consente di associare ad ogni risorsa digitale uno o più giudizi sintetici, direttamente e volontariamente da parte dell’ideatore o gestore della risorsa o grazie all’intermediazione di apposite agenzie private (aziende, gruppi religiosi, associazioni culturali), che sono invitate dal governo statunitense ad attivarsi quanto prima. Questi giudizi terrebbero conto di alcuni elementi stabiliti dai diversi schemi di classificazione - violenza, nudità, sesso, linguaggio offensivo sono quelli del Recreational Software Advisory Council on the Internet (RSACI) - e dall’intensità della loro presenza nelle risorse esaminate. I filtri consentirebbero ad ogni utente di utilizzare lo schema di classificazione a lui più congeniale, in base ai limiti di intensità da lui fissati.

Anche questo sistema, a prima vista apprezzabile perché favorirebbe la libera scelta dell’utente, presenta carenze e controindicazioni. In primo luogo, tutto il materiale non classificato verrebbe in ogni caso bloccato ed ignorato dai motori di ricerca, rendendo il reperimento di nuove informazioni un’impresa disperata. In secondo luogo, nascerebbe la necessità di una continua e dispendiosa opera di classificazione, destinata a rimanere perennemente incompleta e superficiale: numerose risorse rimarrebbero per lunghi periodi inaccessibili perché in attesa di classificazione. Terzo, questo sistema spingerebbe all’occultamento di chi, per ragioni ideologiche o politiche, non accetterebbe di autoclassificarsi o di essere classificato in base a parametri arbitrari (basta pensare agli attivisti che si occupano di tortura o di abusi sessuali: quale il grado di violenza?). Quarto, sarebbe impossibile classificare risorse in perenne evoluzione, come i newsgroups, le aree di discussione, le mailing-lists, che sfuggirebbero ai controlli o verrebbero inesorabilmente messe a tacere. Da ultimo, i siti di organizzazioni informative (giornali, agenzie di stampa, radio, televisioni presenti su Internet), sarebbero esentati da ogni classificazione, perché praticamente impossibile e politicamente improponibile. Tuttavia, sarebbero esentate solo quelle organizzazioni riconosciute come "legittime" da un apposito comitato di importanti operatori del settore: quale la sorte delle pubblicazioni alternative ed estremiste, delle newsletters individuali, dei bollettini dei movimenti di liberazione nazionale?

Segnaliamo di seguito alcuni indirizzi dei siti web citati:

MRTA: www.cybercity.dk/users/ccc17427

Sendero Luminoso: www.csrp.org

EZLN: www.ezln.org

DHKC: www.ozgurluk.org/dhkc

Taliban: www.taliban.com

Indipendentisti del Kosovo: www.kosova.com

Gruppi di estrema destra: www.stormfront.org

The Voice of America: www.voa.org

The Washington Post: www.washingtonpost.com

The Boston Globe: www.boston.com/globe

Taiwan: www.taip.org.tw/index

Free Tibet: www.manymedia.com/tibet

World Uyghur Network News (Xinjiang): www.uyghur.com/en/wunn/wunn.html

Simon Wiesenthal Center: www.wiesenthal.com

Anti-Defamation League: www.adl.org

Zündelsite: www.webcom.com/ezundel/index.html

Euskal Herria Journal (IGC): www.igc.org/ehj

Mirrors dell’Euskal Herria Journal: osis.ucsd.edu

www.easynet.co.uk/cam/censorship/ehj (non più attivo)

samsara.law.cwru.edu/complaw/ehj

zthomas.digiweb.com

www.contrast.org/mirrors/ehj

CNN: www.cnn.org

Internet Freedom: www.netfreedom.org

Radikal: www.xs4all.nl~tank/radikal

Heritage Foundation: www.heritage.org

The Religious Society of Friends (Quaccheri): www.quaker.org

 

Giuseppe Mancini


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1998