Germania, ombelico d'Europa
L'ERA DELLA
BERLINER REPUBLIK
di Pierluigi Mennitti

Il dado è tratto e gli amanti degli appuntamenti storici hanno una nuova data da annotare. Berlino, metà aprile 1999: il vecchio Reichstag tedesco, completamente ristrutturato dall’architetto inglese Norman Foster e sovrastato da una cupola di vetro degna di un’astronave spaziale, inaugurerà la sua sala plenaria con la cerimonia di insediamento del Bundestag, la Camera alta della Germania. In quel momento, al cospetto del presidente federale e del nuovo cancelliere, nascerà quella che già tutti chiamano la Berliner Republik, la terza Repubblica tedesca dopo quella turbolenta di Weimar (1919-1933) e quella già oggi rimpianta di Bonn (1949-1990). Di lì a qualche settimana, il 23 maggio 1999, il primo atto ufficiale nel nuovo Parlamento: l’elezione del successore di Roman Herzog alla carica di presidente federale.

Il calendario degli avvenimenti è sul tavolo di Joachim Künzel, responsabile per gli affari della nuova capitale, da anni in prima linea tra coloro che sovraintendono al gigantesco progetto di preparare Berlino al nuovo ruolo istituzionale. Ci riceve nel suo ufficio al secondo piano del Rotes Rathaus, il palazzo comunale in mattoni rossi all’ombra della torre televisiva di Alexanderplatz dove il Senato della città unificata si è ritrasferito dopo il crollo del Muro. Negli anni della Ddr era stato il centro amministrativo di Berlino Est. "Abbiamo fissato con precisione queste date", spiega Künzel, "che segneranno ufficialmente l’avvio dello spostamento delle funzioni politiche dalla vecchia capitale Bonn alla nuova capitale Berlino. Anche se non tutto sarà pronto allo stesso tempo, è importante che per questo laborioso trasloco siano state fissate delle tappe. Sarà dunque la Camera alta a inaugurare la nuova stagione politica, le altre istituzioni seguiranno a ruota".

Il programma è fitto di ulteriori appuntamenti. Nella pausa estiva del 1999 sarà completato il trasloco di tutti i parlamentari e di 860 addetti del Bundestag, cui la nuova capitale riserverà uffici e appartamenti distribuiti in edifici appositamente costruiti o ristrutturati. Alcuni di loro andranno a occupare anche gli alloggi lasciati liberi dalle truppe alleate (americane, inglesi, francesi, ma anche russe) che nel lungo periodo della guerra fredda e della città divisa erano rimaste di stanza a Berlino. Ma non tutti i nuovi alloggi saranno immediatamente disponibili e per gli ordinatissimi deputati e funzionari di Bonn si tratterà di adattarsi per un po’ ad alloggi provvisori. In due anni, però, tutto dovrebbe essere pronto: tra il 2000 e il 2001 saranno completati gli ultimi uffici del Bundestag tedesco - sale conferenze, gruppi parlamentari, locali per l’amministrazione e per i singoli deputati - alle spalle del Reichstag (i Dorotheenblock, Alsenblock e Luisenblock).

Questo per quel che riguarda il Bundestag, l’istituzione sovrana della Germania post-bellica. Ma il progetto che stravolgerà il mondo politico tedesco è molto più vasto e comprende il trasferimento della cancelleria, dei ministeri principali, di una serie di istituzioni governative, delle ambasciate dei Paesi stranieri e degli uffici rappresentativi dei Länder tedeschi. In più, delle sedi centrali dei partiti e di quelle dei mass media (televisioni, giornali, radio). Tutti alla ricerca di un posto al sole nel grande esagono della politica berlinese che si estende dal Mitte ad Alexanderplatz, dall’ex Checkpoint Charlie alla Potsdamerplatz, dal Tiergarten fino alla sponda nord del fiume Sprea, dove la vecchia stazione metropolitana di Lehrter Bahnhof si sta trasformando nel più grande snodo ferroviario d’Europa.

A lungo si è discusso anche in Italia delle prospettive legate alla ricostruzione di intere aree urbane di Berlino (cfr. Ideazione 3/96) e tanto è stato raccontato dei progetti degli architetti per la Potsdamerplatz, delle difficoltà di riunire due pezzi di città separati per oltre quarant’anni, di quel particolarissimo esperimento sociale di amalgamare berlinesi dell’Ovest e berlinesi dell’Est, Wessis e Ossis, le diverse abitudini, mentalità e speranze. Per nulla ci si è invece soffermati sull’impatto che il trasferimento del centro politico da Bonn a Berlino avrà sulla nuova capitale, sulla Germania e sull’intera Europa.

Berlino è in realtà alla vigilia di una nuova grande svolta destinata a segnarne i destini nel prossimo secolo. L’ennesimo cambiamento nei 760 anni della sua esistenza: nessuna città tedesca ha vissuto tanto intensamente e tanto drammaticamente la propria storia, riuscendo sempre a scrollarsi di dosso le macerie del passato e ad adattarsi con straordinaria caparbietà alle nuove situazioni, anche le più tragiche. Il Ventesimo secolo, poi, è stato particolarmente turbolento sulle rive della Sprea: da austera capitale di un impero destinato a un’irresistibile ascesa, ad epicentro della disfatta bellica e di una lunga serie di rivolte e ribellioni, culminate nel 1919 nell’abortita rivoluzione spartachista. Berlino la rossa (sempre le forze di sinistra hanno avuto grande seguito in questa città) ha quindi attraversato gli splendori artistici e le turbolenze politiche della fase weimariana sino a diventare, suo malgrado, simbolo dell’esperienza hitleriana. Nel breve volgere di qualche anno essa vide tramontare le eccentricità e le sperimentazioni del periodo precedente per incanalarsi nei rigidi schemi dell’era nazista, ritrovando un’insospettata vitalità nell’anno delle Olimpiadi del 1936, magistralmente riprese dalla camera di Leni Riefenstahl. Quindi la guerra, l’esaltazione della volontà di potenza e di conquista di Hitler (che per l’odiata Berlino aveva in mente progetti architettonici monumentali e pure il cambio del nome in Germania) e le distruzioni dei bombardamenti. Quella che si risvegliò all’alba del 1945 era una città stremata dalla fame, in preda alle violenze delle truppe sovietiche, sommersa da rovine che rappresentarono ancora per anni il panorama cittadino. Da capitale di un regno, Berlino divenne oggetto del confronto politico tra l’Occidente democratico e l’Oriente comunista, simbolo essa stessa della divisione dell’Europa, con quella ignobile cicatrice del Muro che dal 1961 divise i quartieri, le strade e la vita dei suoi abitanti. Luccicante isola dell’Ovest da un lato, grigia e triste capitale della nuova Germania comunista dall’altro, Berlino sopportò la sua doppia esistenza fino al collasso dei sistemi socialisti dell’Est, per riappropriarsi gioiosamente del suo eterno ruolo simbolico: la riunificazione della Germania in primo luogo e dell’Europa intera poi.

Oggi, attorno al nuovo esagono della politica berlinese si addensano le speranze della Germania unita, fortificata da cinquant’anni di solida democrazia e di straordinaria crescita economica, di affrontare le sfide del secolo che si apre. Capitale non più di uno Stato nazionale, per quanto forte e importante esso sia diventato, ma di un intero continente destinato a confrontarsi con maggiore slancio e coraggio su uno scacchiere planetario. Nell’era della globalizzazione, la scelta di Berlino diventa quella di un ponte tra Est e Ovest, la ricerca ostinata di un legame con quei Paesi usciti dalla lunga notte del comunismo, legame necessario per restituire all’Europa il senso della sua azione politica. La decisione, presa dal Parlamento tedesco il 20 giugno 1991, di trasferire a Berlino le funzioni di capitale politica del Paese assume in tal senso un valore lungimirante. Spostare il baricentro delle decisioni nel cuore dei nuovi Länder dell’Est, a 70 chilometri dal confine con la Polonia, ha significato, da un lato, offrire ai cittadini orientali il segnale tangibile che la riunificazione non resterà per molto un fatto interno alle oligarchie di Bonn o di Francoforte; dall’altro, che la spinta verso Est, il Drang nach Osten, è un’opzione geopolitica inarrestabile sulla quale la Germania vuole impegnare l’intera Unione Europea.

Per Berlino è l’occasione di riprendere fino in fondo il suo ruolo internazionale, preservando la grande eredità in termini di affidabilità democratica che la Repubblica di Bonn le affida, ma allargando gli orizzonti e le prospettive assai meglio di quanto potesse fare la piccola città della Renania. "Per Berlino si aprivano due strade", conferma Künzel: "assolvere al compito di capitale nominale, tipo Amsterdam, con la sua storia, le sue memorie, i suoi drammi ma rimanendo una grande e insignificante città del Brandeburgo ai margini delle vicende europee; o assumere il grado di capitale reale, diventando il centro decisionale della politica, pur all’interno di una struttura di Stato federale". Nei lunghi anni di guerra fredda Berlino, almeno nel suo settore occidentale, ha cercato di mantenere viva la propria vocazione cosmopolita. Soprattutto sul versante artistico la città ha vissuto esperienze di primo piano, dotandosi di biblioteche, teatri, filarmoniche, gallerie e musei che nulla hanno da invidiare alle altre capitali d’Europa. La vivacità della vita notturna, la forte presenza di avanguardie culturali, la grande attenzione per le nuove soluzioni dell’architettura e, al fondo, la necessità di spezzare l’isolamento geografico hanno contribuito ad alimentare quell’ansia di continuo rinnovamento, di cambiamento perpetuo, che resta il segno più caratteristico e vitale di Berlino. La massiccia immigrazione subìta (lavoratori stranieri ma anche studenti, esuli politici, intellettuali, professori universitari) ne ha stravolto il tessuto sociale, preparandola ad un futuro multiculturale che rappresenta la risorsa e la preoccupazione di ogni metropoli moderna. Con la caduta del Muro il vortice dei cambiamenti è diventato ossessivo. Sul piano urbanistico, innanzitutto, ma anche su quello sociale, economico e intellettuale: la città è stata investita da un mare di progetti e iniziative, di cui le grandi costruzioni che ne stanno ridisegnando per l’ennesima volta la faccia sono solo l’aspetto più evidente.

Anche il trasferimento della politica è solo uno dei tanti cambiamenti in vista. Ma forse è quello che inciderà più di ogni altro. Oltre al Bundestag si muoverà verso Berlino anche la seconda camera tedesca, il Bundesrat, che in un primo momento doveva rimanere a Bonn. Ma a qualcuno è parso più saggio che la camera dei Länder controllasse da vicino i lavori e le proposte di quella federale. Dieci ministeri occuperanno altrettanti palazzi storici nel cuore della cittadella politica. Si tratta dei ministeri principali: Affari esteri, Interno, Giustizia, Finanza, Economia, Lavoro e affari sociali, Famiglia, Trasporti, Pianificazione regionale e sviluppo urbano, più il ministero della Difesa, che manterrà un primo ufficio a Bonn. Il compromesso raggiunto nel 1991 prevede che per ogni ministero che si trasferisce a Berlino un secondo ufficio rimanga a Bonn e che per ogni ministero che rimane in Renania sia costituito un secondo ufficio a Berlino. Una complicazione che testimonia quanto sofferta sia stata la scelta di abbandonare la vecchia capitale e quanto forti siano state le resistenze della cosiddetta lobby di Bonn. Quello che invece non verrà sdoppiato e che rappresenterà il centro decisionale della Berliner Republik è il palazzo della Cancelleria, i cui lavori procedono con ritardo rispetto alla ristrutturazione del Reichstag e degli altri ministeri (questo costringerà il cancelliere e il suo staff a occupare in un primo momento, ironia della storia, gli uffici che furono di Honecker nello Staatsratsgebäude, l’edificio presidenziale della Ddr). Entriamo nel dettaglio del progetto architettonico della nuova Cancelleria, localizzata ai margini del Tiergarten, su un’ansa della Sprea, tra il Reichstag e lo Schloss Bellevue, già da qualche anno residenza ufficiale del presidente federale. La simbologia della nuova costruzione è evidente: assieme ad alcuni uffici del Parlamento, essa si allunga come una graffetta metallica (qui la chiamano "fermacapelli"), scavalcando il fiume Sprea nel tentativo di tenere insieme, idealmente, un pezzo di Est e un pezzo di Ovest. Si dice che Kohl abbia seguito personalmente, passo dopo passo, i lavori di progettazione, nella convinzione di poter occupare ancora lui quel posto dopo le elezioni del prossimo autunno. E d’altronde sarebbe un amaro scherzo della storia se proprio il più strenuo sostenitore di Berlino capitale, colui che più di ogni altro ha indirizzato, premuto, lottato per superare remore e resistenze, non potesse essere protagonista della nuova scena politica. Non sarebbe certo la prima volta, anzi: la storia è piena di queste beffe. Eppure, al di là del difficile momento politico che Kohl sta vivendo, non c’è niente che avvicini il cancelliere alla città predestinata. Nell’immaginario collettivo dei berlinesi nulla è più lontano dal loro modo di essere quanto la paciosa ordinarietà di Kohl, emblema stesso del benessere renano. E anche a noi risulta difficile immaginare il cancelliere, grande mangiatore di Haxen (una specialità della sua terra, lo zampone di maiale), addentare velocemente un kebab in uno dei mille Imbiss turchi di Berlino. Questione di feeling. Anche nei suoi momenti migliori, Kohl non ha mai avuto una felice accoglienza sulle rive della Sprea, scontrandosi con le contestazioni più rabbiose e anche più ingiuste verso la sua persona.

Riuscirà la vecchia, cara Germania a trasformare ancora una volta Berlino in una diligente capitale della nuova Repubblica? O non sarà piuttosto Berlino a dare una scrollata all’intera impalcatura repubblicana, così faticosamente costruita in quarant’anni di prudenza, solidità e tenacia?

Il capo del locale distretto di polizia mette le mani avanti e, in una intervista sul quotidiano locale Tagesspiegel, si lamenta del fatto che "i berlinesi proprio non ne vogliono sapere di comportarsi come i cittadini di una capitale cui compete, ormai, un ruolo autorevole". Argomento del contendere è l’imbarazzo provato nelle prime visite di Stato dei presidenti stranieri: "Insofferenti ai lunghi cortei delle auto di rappresentanza e di scorta, gli automobilisti bloccati ai semafori non ci pensano su due volte a suonare spazientiti i clacson". All’ingresso di un bar frequentato dagli autonomi a Kreuzberg fa bella mostra di sé un cartello che raffigura un grigio impiegato della burocrazia di Bonn con cappello e valigetta ventiquattr’ore. L’avvertimento è scritto in caratteri cubitali: "Noi non possiamo entrare". Ma non è soltanto tra i ristretti gruppi alternativi che questa insofferenza strisciante prende corpo, quasi una forma di razzismo alla rovescia. È sentimento comune di un’intera città, da sempre scettica su tutto, e oggi sostanzialmente indifferente rispetto alla nuova sfida, nonostante l’unanimismo degli opinion leaders che su stampa e televisione hanno appoggiato, con dotte dissertazioni e compunte analisi storiche, ogni passaggio legislativo che sanciva il trasferimento della capitale.

Un sentimento di scetticismo alimentato anche dalle prime "prove tecniche". Prendiamo il nuovo centro dello shopping sulla Friedrichstrasse, l’antica arteria commerciale riportata ai fasti prebellici e rimodellata a immagine e somiglianza della Fifth Avenue newyorkese: nuovi edifici tirati su dagli architetti più in voga hanno sostituito i tristi e cadenti palazzi degli anni della Ddr. Oggi vi si respira un’aria di modernità e di razionalità con i portici ben rifiniti, le grandi vetrate delle librerie da cui traboccano volumi e bestsellers, le insegne di ottone lucido, i segnali della metropolitana rinnovata: tutto sembra uscito da una perfetta simulazione al computer. Vi sono accorse le firme più note della moda internazionale, da Benetton a Lafayette, ma nel fine settimana i lussuosi negozi restano desolatamente vuoti e sembra più di passeggiare in uno di quei distretti finanziari che si svuotano alla fine del turno di lavoro. Con lo stesso interrogativo si osserva l’immenso complesso della Potsdamerplatz - il progetto architettonico più famoso d’Europa - che, mese dopo mese, prende la sua forma colmando il grande vuoto lasciato dal crollo del Muro: una volta che tutto sarà finito e che altre migliaia di uffici, qualche centinaio di negozi, più cinema, teatri e caffè saranno consegnati alla città, tutto questo prenderà vita? Le strade, gli sfavillanti passage interni, i nuovi bistrot illuminati dalle fontane virtuali al neon riusciranno ad attirare l’interesse dei berlinesi o resteranno solitari monumenti di una presuntuosa Blade Runner postmoderna? E le migliaia di uffici costruiti nel distretto del Mitte, quasi a voler replicare l’immagine di una Manhattan in miniatura, risulteranno funzionali ad una capitale del Ventunesimo secolo nella quale è probabile che le nuove tecnologie favoriranno forme di telelavoro, riducendo le esigenze di grandi uffici da parte delle aziende?

Molti titolari di ristoranti e alberghi, di esercizi commerciali di ogni genere attirati nell’esagono della politica dalle prospettive di sviluppo dell’area, attendono con ansia lo sbarco dei burocrati di Bonn, sperando che almeno l’affollamento dei palazzi governativi rivitalizzi il Mitte. Ma anche su questo punto le cifre vanno rettificate. Berlino sarà sì la sede principale dei ministeri più importanti, ma la maggioranza degli impiegati rimarrà nelle sedi secondarie di Bonn; in più, tutta una serie di agenzie governative che oggi hanno sede a Berlino verranno a loro volta trasferite a Bonn o dislocate in altri Länder, specialmente ad Est. Dell’intera macchina amministrativa federale, solo 8100 uomini si muoveranno effettivamente dalla vecchia alla nuova capitale, e il numero potrebbe ancora diminuire, dal momento che tra i ministeri renani e le rispettive agenzie berlinesi è iniziato il cosiddetto mercato dei posti. In tedesco questa specie di gigantesca partita di giro si chiama Tauschenborse e permette agli impiegati di livello inferiore di evitare il trasferimento scambiandosi posto e ruolo con un collega corrispondente.

Quella che si inaugurerà nell’aprile 1999 sarà dunque solo la prima tappa di una complessa partita nella quale Berlino e l’intera Germania si giocano il proprio destino. Programmi, progetti e discussioni che per quasi un decennio hanno alimentato il dibattito politico tedesco affronteranno l’imbuto della prova dei fatti. Ma che la Berliner Republik non nasca all’insegna di una regia che ha già tutto previsto è di per sé una stimolante novità.

Pierluigi Mennitti


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1998