Editoriale
VENTO DEL SUD
di Domenico
Mennitti
Gli istituti
specializzati disegnano unanimemente per i prossimi venticinque anni scenari
di sviluppo ai quali saranno interessati tutti i Paesi del pianeta. Milton
Friedman parla di "primo miracolo economico globale" e sostiene
che l’impetuoso sviluppo si avvarrà di due fondamentali elementi: la
rivoluzione tecnologica e la libera circolazione dei capitali e delle merci.
All’interno di
questo scenario complessivo, che gli esperti definiscono positivo più che
ottimistico, si prevede una diversa accelerazione dello sviluppo ed i Paesi
ricchi (possiamo considerare tali quelli dell’Ocse, di ormai consolidata
industrializzazione) cresceranno meno di quelli poveri. I primi, fra i quali
c’è l’Italia, potranno far conto su una crescita media annua del 2,4
per cento, un tasso non proprio entusiasmante, se si considera che è presso
a poco il livello di sviluppo previsto dalla legge finanziaria per l’anno
appena cominciato e non è sufficiente a mantenere il giusto equilibrio fra
gli interessi delle varie categorie produttive.
Inoltre, è diffusa la
convinzione che il tasso di sviluppo debba decisamente superare la soglia
del 2 per cento per procurare ricadute sull’occupazione. Sarebbe pertanto
imprudente che noi italiani traessimo da questo quadro di riferimento
auspici trionfalistici per il prossimo futuro. È vero: rispetto alla fase
espansiva degli anni Ottanta abbiamo recuperato sull’inflazione e agito
sul debito pubblico, gettando le basi per costruire un’economia sana; però
entriamo nella grande competizione europea e mondiale ancora con molto
piombo nelle ali. Soprattutto con uno stridente squilibrio territoriale fra
il Nord ed il Sud del Paese, che è causa della caduta complessiva del
livello di competitività della nostra economia. Tale fenomeno a sua volta
produce tensioni sociali e, da qualche tempo, pure spinte centrifughe che
minano l’unità nazionale.
Il problema non ha più
solo una dimensione economica; anzi, viene molto più in evidenza
l’aspetto politico, perché la soluzione della questione si sposta sulla
capacità di organizzare il territorio in modo che il Sud possa partecipare
alla rivoluzione tecnologica, che sta dimostrandosi anche veicolo adatto a
velocizzare i tempi di recupero della modernizzazione.
Insomma, se vogliamo
davvero puntare ad un nuovo Mezzogiorno aperto alla concorrenza, dobbiamo
innanzitutto liberarlo dalle esperienze del passato e dotarlo di meccanismi
decisionali in grado di valorizzare energie e potenzialità sinora
inespresse. Deve valere per il Sud dell’Italia quanto vale per i Paesi
poveri e per le aree depresse all’interno di quelli ricchi: bisogna che
superi rapidamente le differenze che sino a pochi anni fa erano ritenute
incolmabili. Ora è possibile abbreviare le distanze tra Paesi che vivono
diverse fasi di modernità: ciò può avvenire solo grazie alla rivoluzione
tecnologica, soprattutto nei settori dell’informatica e
dell’elettronica.
Poniamo perciò una
nuova "emergenza meridionale", che superi le lamentazioni del
vecchio meridionalismo sociologico e affronti i nodi economici con una
visione geopolitica; e che si proponga con forza e determinazione, senza il
complesso dei postulanti, finalmente con la dignità di chi vuole
efficacemente concorrere allo sviluppo complessivo del Paese per accrescerne
la competitività internazionale.
A partire dalla fine
degli anni Ottanta la politica italiana ha subìto una fase di
"settentrionalizzazione": dal Nord arrivò una forte domanda di
liberalizzazione, di sviluppo, di maggiore rappresentatività istituzionale.
La "rivoluzione italiana" degli anni scorsi si è realizzata anche
come riequilibrio geografico del rapporto cittadini-classe dirigente, se si
considera la forbice che si era venuta definendo tra un ceto
politico-istituzionale a maggioranza di provenienza meridionale e la società
settentrionale in forte evoluzione.
Negli anni Novanta
alla vecchia stratificazione sociale e classista della politica italiana si
è andata sostituendo una sorta di "regionalizzazione": essa prese
le mosse dagli studi della Fondazione Agnelli che posero le premesse
teoriche e culturali dell’"emergenza settentrionale". Si cominciò
allora a parlare di "profondo Nord" e di "area padana",
avviando una fase di rilancio che ha ottenuto risposte ancora parziali, ma
che ha fatto segnare importanti momenti di riequilibrio soprattutto sul
piano politico-istituzionale.
Ora è il momento di
porre l’"emergenza meridionale", inserendola nel dibattito
costituzionale per chiedere la riorganizzazione dello Stato secondo lo
schema federalista.
Uno dei paradossi più
evidenti della riscoperta del federalismo, infatti, è di presentarlo come
soluzione antimeridionale, che può penalizzare lo sviluppo del Mezzogiorno.
Si tratta di una interpretazione fuorviante, perché tradisce una tradizione
di pensiero che ha visto protagonisti figure ed autori soprattutto
meridionali: da Sturzo a Salvemini, per citare i due più noti.
Ma si tratta
soprattutto di liberare il Sud dalla vecchia mentalità
"risarcitoria" da parte dello Stato "invasore" e perciò
obbligato a dispensare assistenza, e di consentirgli la piena utilizzazione
delle risorse intellettuali oltre che di quelle economiche e finanziarie.
Come si evince dagli studi che pubblichiamo nella sezione che caratterizza
questo fascicolo sin dalla copertina, le aree meridionali dove lo sviluppo
ha raggiunto proporzioni significative sono quelle nelle quali
l’intervento centrale ha assunto dimensioni più modeste. Perciò
riteniamo che vadano fortemente contraddette le iniziative del governo e
della maggioranza, che puntano - ricorrendo a un restauro di facciata,
modificando cioè solo le sigle - alla riutilizzazione di strumenti che
hanno già fornito prove scadenti e addirittura scandalose. Il tentativo di
ricorrere all’Iri per affidargli il compito di promuovere sviluppo ed
occupazione nel Sud rievoca vecchie pratiche di sperperi e di clientele;
soprattutto riproduce la mentalità burocratica centralista contro la quale
si mobilitò sin dalle prime fasi dell’unità nazionale un filone
importante della cultura meridionale.
Quando affermiamo che
bisogna liberare il Mezzogiorno da alcune esperienze che non possiamo
neppure definire del passato, perché sono tuttora presenti, ci riferiamo
anche al diffuso fenomeno della criminalità organizzata. Nessuna
rivoluzione tecnologica potrà risolvere i problemi connessi
all’occupazione del territorio da parte di gruppi criminali che
controllano il flusso dei finanziamenti e deteriorano la qualità della
vita. La restituzione del Sud alla legalità è compito fondamentale dello
Stato, perché le organizzazioni criminali influiscono pesantemente sulla
possibilità di attuare una corretta economia di mercato, essendo per loro
natura portate ad inquinare il fondamentale principio della concorrenza.
Metaforicamente,
invochiamo perciò una "secessione" anche del Sud. Una secessione
dai luoghi comuni, dalla vecchia politica, dalle retoriche che hanno
condannato le popolazioni meridionali a "mancare" l’appuntamento
con la modernizzazione. Non ci sono ovviamente ricette pronte, ma c’è il
dibattito da riaprire, ci sono strategie da proporre, analisi da
approfondire, progetti da elaborare. E, soprattutto, c’è la dignità di
interlocutori da recuperare.
Noi cominciamo dalla
sezione dedicata a questo tema, convinti che per affrontarlo utilmente
saranno necessari buona politica, buon governo, buona classe dirigente.
Stiamo individuando i materiali di costruzione ed apriremo un arsenale, un
grande cantiere di idee e di progetti. Il Centro Ideazione, l’associazione
di cultura che opera insieme alla rivista ed alla casa editrice per tradurre
le idee in proposizioni concrete, dedicherà al Mezzogiorno il nuovo anno,
promuovendo incontri e dibattiti in vari centri del Sud, ma anche fuori dai
suoi confini, perché il problema, se si riferisce ad una parte del
territorio italiano, investe ed interessa l’intera nazione.
Partiamo con la
determinazione di non considerare questa iniziativa una episodica inchiesta
giornalistica. E con la speranza di arrivare lontano, sino al punto in cui
la denuncia potrà cedere il passo ad una concreta fase operativa.
Domenico
Mennitti |