Congetture & confutazioni
GEOPOLITICA DI FINE SECOLO
di Enzo Bettiza

Una nuova Yalta? Una rinnovata spartizione dell'Europa tra la Russia e l'Occidente americano? Dopo le grandi speranze di pace e di progresso, che avevano galvanizzato il vecchio continente con la fine dei regimi comunisti, rischiamo una ricaduta in un nuovo tipo di guerra fredda sorda, insidiosa, all'insegna del ricatto politico ed economico più che nucleare? Questi interrogativi allarmati costituiscono solo la parte saliente di una sequela di questioni e di polemiche accese, sia ad Ovest che ad Est, dalla prossima decisione che dovranno prendere al vertice di luglio di Madrid i 16 Paesi membri del Patto Atlantico: l'allargamento della Nato, nel 1999, a diversi Stati de-comunistizzati dell'Europa centro-orientale. Il che, in altre e più serie parole, significa: estensione della Nato, creata in origine quale deterrente militare contro la Russia, fino ai confini occidentali della Russia stessa.

Il problema centrale è tutto qui. Problema che subito si divide in due dilemmi subordinati e complementari: da un lato, la sicurezza della Federazione russa in un momento in cui essa attraversa una profonda crisi di successione e di identità politica; dall'altro, la sicurezza dei tre principali candidati all'ammissione della Nato, la Polonia, la Repubblica Ceca, l'Ungheria, che avvertono ancor sempre il fiato della Russia sul collo e ne temono una possibile involuzione aggressiva. L'entrata dei polacchi, dei cechi e degli ungheresi nell'Alleanza è già data per scontata dagli occidentali e dai russi stessi che, pur non desiderandolo, sembrano oramai rassegnati ad accettare l'imminente fatto compiuto.

Ma le comprensibili preoccupazioni di Mosca non si fermano qui. Per essa, infatti, sarà molto più difficile e più problematico, quasi certamente impossibile, poter consentire con la stessa arrendevole malavoglia all'ipotesi di una candidatura atlantica dell'Ucraina e dei Paesi Baltici, che fino all'altro ieri facevano parte integrante dell'impero sovietico. Né i governanti moscoviti, né l'opinione pubblica, né l'umore popolare vedrebbero di buon occhio l'infiltrazione di strutture militari straniere all'interno di territori che il Cremlino, per atavico riflesso condizionato, considera appartenenti tuttora al suolo imperiale russo. Il primo ministro Cermnomyrdin, in un'intervista inconsuetamente minacciosa e sarcastica al Washington Post, è stato assai chiaro nel merito:

Se insisterete nell'allargamento verso i confini russi, saremo costretti a far uscire nuovi carri armati ed aerei dalle nostre fabbriche belliche. Con un vantaggio: quello di risolvere il problema della disoccupazione. E uno svantaggio: quello di incrementare l'ultranazionalismo selvaggio di Zhirinovskij.

L'antifona è stata ricattatoria: un guscio atlantico troppo dilatato all'Est potrebbe generare il mostro guerrafondaio che gli occidentali paventano di più.

Gli Stati Uniti porgono in contropartita alla Russia, per placarne i malumori e le legittime apprensioni, molti piani d'intesa: consultazioni, concertazioni, compartecipazioni a latere in difesa della pace. Le offrono moltissimo, tranne due cose essenziali: l'associazione completa alla Nato (che svuoterebbe di senso la copertura militare occidentale data ai nuovi Stati membri appena usciti dal Patto di Varsavia) e il diritto di veto (che implicherebbe la possibilità del niet russo alla candidatura atlantica di tutti gli Stati un tempo incorporati nel Patto di Varsavia).

"Nessuno potrà porre il veto all'allargamento della Nato", ha detto il cancelliere Kohl, che pure fra gli statisti europei è il più sensibile alle esigenze e angosce della Russia eltsiniana. Il ministro degli Esteri moscovita, Primakov, gli ha immediatamente risposto avvertendo che ogni allargamento non concordato porterebbe a "seri cambiamenti" nella politica internazionale del Cremlino. Dunque: in assenza di un concreto diritto di veto sulle nuove scelte strategiche dei Paesi ex satelliti, tutto il resto che l'Occidente è disposto a concedere, negoziati e concertazioni, è per ora considerato irrilevante dai russi.

Come si vede, l'intera problematica dell'estensione Nato ad Oriente oscilla per adesso fra il compromesso (Polonia sì, Ucraina no) e il rischio di un ritorno ai climi da guerra fredda (o diritto di veto, o carri armati in fabbricazione). Il fatto che la Nato, frattanto, si sia profondamente modificata e snellita nelle sue strutture militari e che in Bosnia abbia svolto con agili contingenti d'intervento un ruolo di peace keeping piuttosto che di war making, non sembra aver smosso Mosca dalla sua diffidenza preconcetta. Neanche sembra averla ammorbidita la partecipazione diretta alle operazioni bosniache, che pure hanno concesso agli ufficiali russi di trovarsi al centro dei più delicati piani strategici della Nato. Nemmeno sembra aver rassicurato Mosca l'annuncio con cui l'Alleanza Atlantica si impegna a non installare basi n´ armi nucleari sui territori dei nuovi membri dell'Est europeo.

Una grande diffidenza, accompagnata dal preannuncio di più drastiche "contromisure", resta per adesso l'architrave enigmatica della chiusura russa nei confronti dell'allargamento. Parlare di ostilità aperta sarebbe forse prematuro. Però si può già parlare di sconcerto irritato, di voglia di ritorsione, o addirittura di un nuovo complesso di accerchiamento capace di compromettere, a breve termine, i negoziati con l'America sullo "Start 2" circa l'ulteriore riduzione degli arsenali atomici.

La polemica, d'altronde, non è soltanto frontale, tra americani e russi; corre anche all'interno dell'America medesima. Per esempio, è interessante notare l'atteggiamento negativo preso nei confronti dell'allargamento da un personaggio come George Kennan, che a suo tempo fu l'inventore della dottrina detta "containment", ovvero la necessità di opporre all'espansionismo sovietico una vasta alleanza militare munita di deterrente atomico. Oggi, è lo stesso Kennan che definisce l'allargamento di quell'alleanza come un "fatidico abbaglio". Egli scrive:

L'espansione della Nato ad Est potrebbe costituire l'errore più fatale della politica americana nell'era del dopo-guerra fredda. Una simile decisione potrebbe infiammare tutte le tendenze nazionaliste, militariste e antioccidentali latenti nell'opinione russa; potrebbe avere un effetto nocivo sullo sviluppo della democrazia russa; potrebbe infine restaurare l'atmosfera della guerra fredda nelle relazioni Est-Ovest, spingendo la politica estera russa in una direzione nettamente ostile ai nostri interessi e lontana dai nostri auspici.


Questo Kennan dixit è tutt'altro che da sottovalutare. E' il monito di un vecchio esperto e saggio che, conoscendo e studiando la Russia da oltre mezzo secolo, sa di quel che parla. E' doveroso ascoltarne il consiglio, anche se non vogliamo o non possiamo prenderlo alla lettera al cento per cento.

Enzo Bettiza, giornalista e scrittore


Torna al sommario


Archivio
1997