Intervista ad Augusto Barbera
INTESA CERTISSIMA,
ANZI PROBABILE

di
Tommaso E. Frosini

"Deve assolutamente tenersi ferma la scelta uninominale-maggioritaria del sistema elettorale". Così Augusto Barbera, autorevole costituzionalista e riformista convinto, spiega il progetto per fare dell'Italia una vera democrazia maggioritaria. Ci vuole un "governo di legislatura", garantito dall'elezione diretta del primo ministro e da un sistema dei partiti autenticamente bipolare. La seconda scelta può essere il semipresidenzialismo, purché non sia "fittizio".

Domanda - Cominciamo con un'affermazione tratta dal suo libro del 1991 Una riforma per la Repubblica, laddove auspicava la nascita di una Repubblica migliore, "rifiutando i conservatorismi di chi vuole difendere le comodità della 'prima Repubblica' e gli avventurismi di chi vuole una 'seconda Repubblica'". Come giungere a questo risultato?

Risposta - Non ci è dato sapere quale "dei governi liberi convenga alla felicità dell'Italia": ma io credo che dobbiamo innanzitutto partire dai processi politici, ovvero dai processi indotti dalle riforme elettorali e da tutto ciò che le ha precedute e seguite. Se procediamo secondo questo percorso, vediamo che ci siamo mossi secondo una logica che non è conservatrice né tantomeno avventurosa. Infatti, i primi risultati del processo apertosi con i referendum elettorali sono, nel complesso, positivi. Li ricordo brevemente: la bipolarizzazione del sistema politico; la destrutturazione di un centro immobile; la rottura di una paralizzante unità politica dei cattolici; la deradicalizzazione delle forze estreme chiamate a confrontarsi con il tema del governo (sia il Msi con la svolta di Fiuggi, sia Rifondazione con il patto di desistenza elettorale); il delinearsi di due schieramenti alternativi guidati da candidati a premier. Non nascondo il fatto che alcuni problemi esistono ancora - per esempio, la contrattazione dei collegi, le alleanze fragili - ma da essi bisogna partire per risolverli e non per demolire quanto di positivo fin qui ottenuto.

Bene, allora diciamo: quali sono i problemi da cui bisogna partire al fine di risolverli e, soprattutto, quali sono i "pericoli" da evitare per non correre il rischio di tornare indietro?

Innanzitutto, deve assolutamente tenersi ferma la scelta uninominale-maggioritaria del sistema elettorale. Ritengo tale scelta il punto di partenza obbligato sul quale costruire il nuovo edificio costituzionale. Il suo sviluppo, peraltro, dovrà essere quello di assicurare l'omogeneità delle coalizioni, ovvero un bipolarismo compiuto, omogeneo e non necessariamente bipartitico: per fare questo credo che bisogni proseguire con coraggio e tenacia sulla strada della ristrutturazione del sistema partitico. Questo è possibile, insisto, con il collegio uninominale-maggioritario, meglio se a doppio turno, perché così si spingono i partiti a cercare il candidato unico nel collegio che sia in grado non di assemblare elettorati separati ma di esprimere gli elementi che più accomunano la coalizione. Certo, questo non avverrebbe se si trasferisse a livello nazionale quanto è stato fatto con la legge elettorale regionale, che ha dato luogo a una sorta di "presidenzialismo partitocratico". È un errore puntare a uno scambio fra rafforzamento dell'esecutivo e recupero di logiche proporzionalistiche: una simile combinazione, per sistemi politici non strutturati come il nostro, sarebbe una miscela esplosiva (così come lo fu per Weimar, così come è per taluni presidenzialismi sudamericani).

Ha richiamato l'uninominale-maggioritario a doppio turno: perché lo ritiene un sistema più adatto alle nostre esigenze?

Perché mette insieme spinte aggregative e legittime esigenze di identità dei partiti. Attenzione, però: affinché esso possa dare i suoi frutti, ritengo che vi debbano essere almeno quattro condizioni, e cioè: 1) che sia accompagnato dall'elezione diretta del vertice dell'esecutivo (presidente o premier), sia per potenziarne l'effetto aggregante sia per orientarlo su scale nazionali; 2) che vi sia un'adeguata clausola di sbarramento per l'accesso al secondo turno; 3) che operi in un "ambiente" in cui non siano presenti altre competizioni a logica proporzionalistica; 4) che incentivi possibilmente fin dal primo turno la formazione delle coalizioni. È opportuno accompagnare il doppio turno con una ridotta quota proporzionale, che abbia però l'unico scopo di assicurare un "diritto di tribuna" alle forze non coalizzabili e che non abbia l'effetto di diluire il principio maggioritario.

Ma se la quota proporzionale venisse riservata solo alle forze non coalizzabili che desistono in tutti (o quasi) i collegi, come riuscirebbe la coalizione che vincerà a garantire la governabilità, trovandosi di fronte a 63 parlamentari pregiudizialmente contrari a formare o sostenere maggioranze coese?

Questo è un punto da approfondire. Probabilmente bisognerebbe andare a una sorta di "premio di desistenza" per le sole forze che desistono in tutti i collegi, ma facendo sì che al "premio" possano attingere pure quelle che normalmente partecipano anche a secondi turni purché, in tal caso, abbiano superato lo sbarramento di una certa quota in seggi vinti al secondo turno dalla coalizione di cui sono componenti. I seggi in questo secondo caso verrebbero assegnati a ciascuna forza in misura inversamente proporzionale alla partecipazione al secondo turno. In breve: più un soggetto desiste, più partecipa al recupero proporzionale.

Mi sembra un po' complicato. Comunque, torniamo ai processi politici aperti ai quali faceva cenno all'inizio. E veniamo al problema del rafforzamento dell'esecutivo. Come ritiene che si possa portare avanti il disegno maggioritario anche per quanto riguarda la forma di governo?

Sulla forma di governo è preferibile la strada dell'elezione diretta del primo ministro nella sua versione classica del "governo di legislatura", peraltro in linea con più antiche elaborazioni di dottrina (in particolare, Duverger e Galeotti). Il modello è ormai abbastanza noto e non certo perché lo si è di recente introdotto in Israele (dove, però, non hanno modificato la legge elettorale proporzionale); nasce, piuttosto, all'interno del revisionismo della sinistra francese, alla fine degli anni Cinquanta, in alternativa alle fradice istituzioni assemblearistiche della IV Repubblica. Sottolineo i passaggi più significativi di tale modello: a) presentazione delle candidature a premier da parte di raggruppamenti politici che abbiano presentato candidature in almeno metà o due terzi dei collegi uninominali; b) elezione contestuale, lo stesso giorno, del Parlamento e del primo ministro; c) ricorso a nuove elezioni in caso di sfiducia del Parlamento al primo ministro o di dimissioni dello stesso; d) possibile destituzione del premier con la maggioranza dei due terzi in caso di impeachment; e) elezione del primo ministro per non più di due mandati di quattro-cinque anni ciascuno; f) un forte Statuto dell'opposizione; g) un capo dello Stato eletto dalle assemblee parlamentari e regionali con accentuate funzioni di garanzia; h) una sola Camera politica; i) mezzi parlamentari atti ad assicurare l'attuazione del programma di governo.

Questo è il modello Westminster rafforzato e collocato in un sistema a Costituzione scritta. Ma le preferenze della Bicamerale, salvo sorprese, sembrano andare verso il semipresidenzialismo francese...

Intendiamoci: con il sistema semipresidenziale non si "elegge un governo". Anzi, come dimostrano i 26 governi francesi in 38 anni, non si assicura stabilità agli esecutivi. Questo è il mio maggiore motivo di diffidenza nei confronti del sistema semipresidenziale. Invece di eleggere chi governa si elegge chi, assieme ai partiti, può influire sulla formazione dei governi. È un sistema che bipolarizza al vertice ma non costruisce direttamente alternative di governo.

Detto questo, non voglio certo chiudermi su quella che si chiama la proposta Sartori, e cioè un semipresidenzialismo alla francese per l'Italia. Salvo ad apportare alcuni correttivi: a) la sottrazione al capo dello Stato del potere di indire referendum, che ne accentua i caratteri plebiscitari; b) la sottrazione della facoltà di assumere poteri di emergenza; c) la facoltà di presiedere il Consiglio dei ministri; d) la sottrazione al governo dei poteri di ghigliottina previsti dall'art. 49 della Costituzione francese. Le altre caratteristiche tipiche del sistema semipresidenziale francese dovrebbero rimanere ben salde: come il potere di scioglimento da parte del capo dello Stato senza controfirma ministeriale.

Si deve evitare di partire per Parigi e poi ritrovarsi a Vienna, dove il presidente della Repubblica viene sì eletto a suffragio universale ma, al di là delle proclamazioni costituzionali, di fatto non ha alcun potere: pertanto, il sistema ha funzionato secondo moduli parlamentari e il capo dello Stato ha finito con l'essere il garante della consociazione fra democristiani e socialisti.

Dopo aver detto cosa riformare, passiamo ora a dire qualcosa sul come riformare. Sartori, nell'intervista che appare in questo stesso numero di Ideazione, sostiene che per raggiungere un buon accordo alla Bicamerale è bene che ci sia un'alleanza costituente tra Pds, Forza Italia e An. Qual è la sua opinione al riguardo?

Sono d'accordo. Prima però si deve fare il possibile per ottenere un consenso il più ampio possibile sulle riforme, coinvolgendo tutte le forze politiche, anche quelle più piccole; il cui apporto, peraltro, può essere rilevante. Ma se questo non dovesse accadere, se cioè alcune forze politiche decidessero comunque di assumere un atteggiamento di chiusura, allora è bene che la strada per le riforme venga spianata da un'alleanza costituente tra il Pds, Forza Italia e An. Mi chiedo, però, se un simile accordo fra questi tre partiti non possa avere una ricaduta negativa sugli equilibri dell'attuale maggioranza e dell'attuale governo.

Questo è un problema. Non può negare, però, che il centro-destra si presenta più innovatore nella materia istituzionale di quanto non lo sia il centro-sinistra, dove convivono forze politiche, come il Ppi e Rifondazione, poco inclini alle riforme costituzionali o comunque contrarie a forme di investitura diretta del titolare dell'indirizzo politico e a forme di accentuazione del sistema maggioritario.

Non lo nego. E lo spiego col fatto che all'interno del centro-sinistra ci sono forze politiche ancora legate alla prima Repubblica, come i popolari; oppure, forze politiche, come i Verdi e Rifondazione, che temono, nel caso di una vera democrazia maggioritaria, di perdere la loro identità e il loro senso di appartenenza. Mentre nel centro-destra convivono forze politiche che sono fondate sulla personalizzazione della politica, come Forza Italia; o, come nel caso di An, che hanno un'antica vocazione presidenzialista, seppure, oggi rispetto a ieri, resa più moderna anche perché integrata all'interno di un progetto politico liberal-democratico.

Proviamo a immaginare che la Bicamerale prima e il Parlamento poi presentino e approvino una riforma costituzionale assai distante da quella da lei auspicata: per esempio, un sistema simile, per certi versi, a quello regionale; oppure un sistema semipresidenziale all'austriaca, cioè di sola "facciata". Sarebbe disposto, in un simile caso, a impegnarsi all'interno di un movimento trasversale di riformatori, come fu per i referendum elettorali, in grado di condurre una campagna per respingere la nuova Costituzione tramite il referendum costituzionale?

Premetto che sono abbastanza ottimista sul risultato finale. Comunque, il giudizio non sarà facile: spero che si arrivi a produrre una vera riforma nella parte riguardante il sistema di governo, in grado di fare dell'Italia una democrazia maggioritaria. Poi c'è il tema della giustizia, che è molto importante. Io sono favorevole a costituzionalizzare il principio della separazione delle carriere fra magistratura giudicante e magistratura inquirente; allo stesso tempo, però, sono decisamente contrario ad aumentare il numero dei componenti laici nel Csm, perché potrebbero rappresentare il cavallo di Troia per minare lÕautonomia della magistratura. Certo, se proprio, alla fine, dovesse venire fuori nel complesso una finta riforma, una "controriforma", allora... Aux armes, citoyens!

Quali potrebbero essere le conseguenze di un'eventuale bocciatura del testo costituzionale? L'addio alle riforme, o la nascita di un'Assemblea costituente?

Questa domanda mi consente di dire una cosa che ritengo importante: un'eventuale bocciatura del nuovo testo costituzionale non deve fare paura, non è certo un dramma! Ricordo che anche in Francia, nel 1946, il primo progetto costituzionale venne bocciato con voto referendario; pochi mesi dopo ne venne presentato un altro, il quale fu approvato sempre con referendum, seppure con una risicata maggioranza. Riconosco che da noi sarebbe più difficile preparare un altro progetto costituzionale, specie in pochi mesi! A quel punto, allora, sarà meglio convocare un'Assemblea costituente.

Tommaso E. Frosini


Torna al sommario


Archivio
1997