Congetture
& confutazioni
LABURISMO THATCHERIANO
di Paolo Guzzanti
Un grido unanime ha
accolto nel mondo anglosassone l'elezione del giovane primo ministro Tony
Blair: ma costui è la Thatcher! Vero? Falso? Che cosa significa? Proviamo a
vedere. Al centro della questione, come sempre, sta la definizione di destra
e di sinistra nel mondo occidentale e in questo caso anglosassone. Come si
sa, Blair e Clinton si presentano oggi come gemelli politici (benché non
sia vero) e rappresentanti della nuova sinistra moderna. Ma entrambi hanno
ereditato un Paese rimesso in sesto dai loro predecessori conservatori e,
per scelta o per necessità, svolgono una funzione di governo del tutto
simile a quella delle destre che li hanno preceduti. Sia negli Stati Uniti
che nel Regno Unito si dibatte con molta acutezza il problema della destra e
della sinistra, ma usando più strumenti economici e umanistici, che non
ideologici e filosofici, come si usa ancora da noi.
E la questione della
distinzione fra i due (ex) opposti è formalmente semplice. Chiamasi destra
quella formazione politica che aspira a governare riducendo le tasse sui
produttori di ricchezza e riducendo i benefici automatici sui consumatori di
ricchezza; e chiamasi sinistra quella formazione politica che aspira a
governare aumentando le tasse sui ricchi per aumentare la spesa a favore dei
poveri.
Nelle democrazie
bipolari e dell'alternanza è normale e funzionale che lo stesso cittadino
elettore, nel corso della sua vita, cambi il suo voto affidandolo ora
all'uno, ora all'altro schieramento. Naturalmente, sia in Inghilterra che
negli Stati Uniti esistono gli zoccoli duri dei due elettorati, ma chi
decide, alla fine, è sempre lo zoccolo molle di chi cambia idea e voto.
E non si tratta di
banali incertezze di un elettorato ondivago: per Margaret Thatcher, come per
Ronald Reagan, votarono in massa grossi blocchi di colletti blu e colletti
bianchi che in genere votano a sinistra. Negli Usa il fenomeno è più
frequente, anche perché una forte fetta dell'elettorato più conservatore
milita paradossalmente nel partito più "progressista", per un
antico dispetto del Sud Dixieland contro il partito di Lincoln. In
Inghilterra è diverso: il vecchio partito laburista non aveva affatto
tenuto il passo con quella parte dei suoi elettori che aveva insistentemente
votato per la "lady di ferro" e poi per John Major, ed era rimasto
un vecchio partito socialista ancora intriso di luoghi comuni marxisti e di
un profondo e orgoglioso odio populista nei confronti dei ricchi in genere,
sia che fossero i produttori di benessere, sia che fossero vecchi nobili
latifondisti o alta borghesia burocratica.
Il motto trainante del
vecchio Labour era "Squeeze", cioè strizzateli, fate uscire la
lingua dal collo delle persone abbienti e fate sputare loro il denaro per la
povera gente. L'antica tradizione laburista era romantica, vicina non
soltanto al proletariato ma alla malavita, solidale sempre e comunque con
gli scioperanti e con chi reclama sussidi di disoccupazione. Inoltre, il
partito laburista era ancora un motore di nazionalizzazioni e istintivamente
nemico dell'iniziativa privata.
Poi, è arrivato Tony
Blair. Chi è costui? È un giovanotto di ottima famiglia conservatrice (suo
padre era un tory che poi si è fatto laburista per amore paterno),
cattolico convinto e praticante in una terra protestante con il nervo
scoperto nei confronti dei cattolici, considerati fiancheggiatori
dell'irredentismo irlandese, un giovane perbene, che non si è mai drogato,
non ha mai tradito la moglie (a differenza di Bill Clinton, che si porta
dietro la fama di liberal anche nella vita privata e sessuale), che lavora
sodo e studia molto e che ha capito, attraverso la rivoluzione liberale
della Thatcher, che la sinistra - la vecchia sinistra - nel mondo moderno
era spacciata. Priva di una sua idea della storia. Priva di un'idea di
governo. Priva della libertà mentale che permette di aggiornare le idee. Un
rottame ferroso dominato dai sindacati, il cui gruppo di comando si arrogava
il diritto di stendere le liste dei candidati da mandare in Parlamento,
esercitando così un controllo diretto e strettissimo sul partito e sul
potere legislativo.
Tony Blair ha operato
una rivoluzione radicale prendendo in prestito tutti gli elementi che
avevano portato alla vittoria la destra e li ha imposti al vecchio Labour
Party. Ha conquistato una posizione preminente con un'opera metodica, ha
cacciato i sindacati dalla loro posizione egemonica stabilendo il principio
"una testa, un voto"; ha deciso di non modificare per almeno due
anni l'assetto fiscale ereditato dai conservatori e di non aumentare la
spesa sociale per lo stesso periodo di tempo; ha trasmesso ai produttori di
ricchezza il seguente messaggio: io non sono vostro nemico e voi potrete
seguitare ad agire come stavate agendo, con le stesse regole e nello stesso
gioco.
Poi si è rivolto a
tutta la vasta popolazione garantita, che vive di sussidi, ed ha stabilito
un principio assolutamente "reazionario": avranno diritto ai
sussidi del pubblico denaro soltanto le persone deboli (come le ragazze
madri) ma a patto che non rifiutino alcuna offerta di lavoro. I sussidi
statali sono soltanto un momento di parcheggio: se un disoccupato rifiuta un
lavoro perché non gli va a genio, padronissimo, ma perde ogni contributo e,
per quanto riguarda il primo ministro Blair, può anche andare a chiedere
l'elemosina sotto i ponti.
Blair ha anche
scoperto che la spesa sociale, il denaro speso per i poveri e gli
emarginati, durante i 17 anni di governo conservatore è cresciuto e non
diminuito: la Thatcher non ha "tolto il latte dalle ciotole dei bambini
poveri", come sosteneva la propaganda del vecchio laburismo piagnone,
ma ha razionalizzato le uscite, selezionando i poveri veri e lasciando da
parte i profittatori, i nostri "falsi invalidi".
A questo punto, la
domanda che ci ponevamo all'inizio diventa importante: è di destra o di
sinistra Tony Blair? Si risponderà che è certamente di sinistra, perché
il suo partito occupa tutto lo spazio della sinistra non soltanto in
Parlamento ma anche nell'immaginario collettivo dei cittadini britannici, il
che è vero.
Ma è anche vero che
Blair è un curioso leader di sinistra, che ha vinto e si accinge a
governare copiando apertamente programmi, usi e costumi politici dei suoi
nemici vinti. Si tratta di un paradosso, ma non di un assurdo. Il paradosso
è che i cittadini di sinistra abbiano votato volentieri un leader e un
programma strutturalmente di destra, per motivi che hanno a che vedere
soltanto con il fattore umano e non con fattori ideologici o economici.
Blair è un capo; Blair è un modello di vita personale ineccepibile (sua
moglie Cherie, a differenza di Hillary Clinton, è uno dei più importanti
avvocati del suo Paese non perché sia la moglie di un politico vincente, ma
malgrado debba sopportare questa pesante situazione); Blair parla con il
cuore mentre il conservatore John Major era considerato un uomo pratico e
arido, perfino un po' dispettoso; Blair ha le caratteristiche del padre
severo ma generoso che non nasconde la verità e che lesina i premi; Blair
ha un carisma naturalmente aristocratico che esercita una naturale seduzione
sulla sinistra.
C'è di più: Blair è
portatore di una restaurazione nazionalista del ruolo internazionale della
Gran Bretagna che ha un sapore neo-vittoriano. Sia lui che i suoi ministri
hanno immediatamente fatto capire di essere europei, sì, ma a condizione
che l'europeismo si trasformi in una leadership di un gruppo di testa
formato da Inghilterra, Francia e Germania, che lasci indietro tutti gli
altri e prima di tutto l'Italia, benché il nostro Paese, economicamente
parlando, pesi di più del suo. E' molto probabile, anzi, che l'Inghilterra
di Blair appoggi la richiesta di Germania e Giappone, che vogliono entrare
nel gruppo dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite (l'unico organismo che conta, perché ha il potere di decidere la pace
e la guerra), lasciando a terra l'Italia che si oppone strenuamente in nome
di un principio di rotazione.
Dunque Blair è un
decisionista e uno che intende esercitare un'azione di comando, intelligente
e determinata. La sua natura di uomo di sinistra è generica: si parla di
bontà e altruismo, leggi liberali e tolleranti, spesa mirata per una sanità
moderna, ma più ancora - e questo è il punto più qualificante - per una
scuola all'altezza dei tempi e della nazione. Blair ha detto che il primo
punto del suo programma è la pubblica istruzione, il suo secondo punto la
pubblica istruzione e il suo terzo punto la pubblica istruzione. Tipica
enfasi anglosassone per dire che Platone aveva ragione: la nazione-Stato
esiste e si difende in quanto produce cultura e la consuma, produce
consapevolezza e conoscenza sui cui basa non soltanto il suo futuro, ma la
differenza rispetto alle altre nazioni. Naturalmente, Blair si riferisce a
una cultura da costruire e adatta al futuro, più che a un remake del
vecchio.
Ma sta di fatto che
una nuova rivoluzione sta per coinvolgere il Regno Unito. Nel 1870 furono
introdotte le scuole pubbliche per i bambini di sette anni, in un mondo che
usava cominciare l'istruzione dopo i quattordici. Da quella rivoluzione
nacque la lingua inglese moderna senza grandi influenze dialettali e adatta
a conquistare il mondo, come ha fatto.
Oggi Tony Blair ha in
mente un progetto coraggioso e grandioso per agganciare il futuro millennio
da una posizione aggressiva, ben guidata, sostanzialmente nazionalista e
basata su valori condivisi da conservatori e nuovi progressisti. Ha aggiunto
un "New" al nome del suo partito, ma di fatto lo ha liquidato,
lasciandone in piedi soltanto il ricordo di un nome amato e di una facciata
storica. Ma nient'altro.
Paolo
Guzzanti |
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