Editoriale
di Domenico Mennitti

La regola era la seguente: corsa contro il tempo sino a fine dicembre per approvare la legge finanziaria ed evitare il ricorso all'esercizio provvisorio; poi, con l'anno nuovo, via al programma tracciato e approvato vincendo grandi difficoltà e mille esitazioni. Non che ci sia mai stato un momento di tranquillità, perché in politica non c'è giorno che non ponga problemi, ma l'anno nuovo si apriva con lo spirito dell'impegno concreto, per verificare la validità della scommessa vinta in Parlamento. Ora le cose sono cambiate. Anche questo meccanismo semplice delle tre fasi (elaborazione - approvazione in Parlamento - trasferimento nel Paese delle linee di governo) è saltato e prevale la sensazione di vivere alla giornata, di corsa, con l'affanno. Intendiamoci, abbiamo sempre marciato col ritmo convulso imposto dalle emergenze; il fatto nuovo è che adesso tutto dura poche ore, qualunque sia l'argomento in esame, dalle riforme istituzionali alla regolamentazione delle frequenze televisive, dal finanziamento pubblico dei partiti alle invocatissime privatizzazioni. E' un grave handicap, che però alla fine si rivela una fortuna, perché la precarietà evita che si combinino guai irreparabili. E' solo la forza dei fatti a sconfiggere la diffusa tendenza nostalgica a ricostituire la Dc. Non la Dc-partito, ma la Dc-sistema, con lÕintera Italia politica che tende a identificarsi con la vecchia Balena bianca, nella cui pancia ogni partito di oggi ricoprirebbe i ruoli svolti in passato dalle correnti interne.

Non è vero che la situazione à sopraffatta dall'eccessiva litigiosità dei Poli e che è il maggioritario a non funzionare. In verità, i partiti vorrebbero mettersi d'accordo su tutto, anche quando l'intesa - per la delicata natura dei problemi in discussione - non dovrebbe neppure essere tentata, ma non ce la fanno; non riescono a portare a compimento neppure un modestissimo compromesso sull'ordine dei lavori delle due Camere.

La crisi della politica si manifesta con progressione geometrica perché le forze piu' rappresentative preferiscono giocare di rimessa piuttosto che assumere con determinazione le responsabilità connesse ai consensi ricevuti. D'Alema è considerato il dominus della situazione, ma non ne assume il ruolo. Anzi, preoccupato dell'accusa di inciucione che gli piove da molte direzioni, ha pubblicamente richiesto a Prodi di fare il leader effettivo. Ciò significa ancorare l'Italia alla sponda delle contraddizioni insuperabili, costringerla a misurare la difficile contingenza attuale con il metro della sopravvivenza, toglierle il respiro della prospettiva. Quel che appare chiaro a tutti, infatti, è che Prodi gioca la sua partita tutta nel presente e che per lui non si prospetta alcun ruolo nel futuro. Che vinca D'Alema, Berlusconi o chiunque altro dovesse apparire all'orizzonte, è certo che perderà Prodi, al quale pertanto non resta che vivere questa avventura con la speranza di durare il più a lungo possibile. Ciòsignifica che egli dovrà adoperarsi per bloccare il più a lungo possibile l'evoluzione della democrazia italiana verso le nuove forme istituzionali e politiche, impegno che la vecchia sinistra democristiana sta assolvendo con cinica determinazione, d'intesa con Rifondazione comunista, con la quale ha costituito l'accoppiata storicamente e politicamente più sconfitta nel mondo, che però furoreggia in Italia e condiziona la vita dei cittadini.

Questa anomalia sta disintegrando il Paese. Non solo i Poli vivono un rapporto difficile e inconcludente, ma pure i patti con le forze sociali si stanno rompendo uno dopo l'altro. Non era mai accaduto che industriali, commercianti e artigiani si schierassero congiuntamente contro il governo in maniera così virulenta sino ad auspicarne la caduta, denunziando l'insostenibilità della pressione fiscale e la mancanza di linee di sviluppo. Se si pensa che tutte le carte di Prodi sono puntate sull'ingresso in Europa, c'è da chiedersi quel che accadrà ove i conti di Maastricht non dovessero tornare e tra qualche mese si dovesse davvero rendere necessario un nuovo giro di vite. E' stato sottolineato che il presidente della Confindustria Fossa, il quale rappresenta la parte sociale più cauta nei rapporti con i governi, ha rivolto a Prodi accuse che sembrano tratte dai resoconti parlamentari dell'opposizione, soprattutto con l'affermazione che l'esecutivo scoraggia la voglia d'intraprendere degli operatori e perciò taglia alla radice la possibilità di creare nuova occupazione. Ma l'associazione degli industriali notoriamente non indulge mai alla tentazione di assecondare chi non aziona le leve del potere: se è giunta ad augurarsi che un governo sia spazzato via è perché ritiene la sua permanenza lesiva dei propri interessi. Che per molti aspetti, riguardando la parte produttiva del Paese, coincidono con gli interessi di tutti gli italiani.

L'atteggiamento pilatesco prescelto da D'Alema, probabilmente condizionato anche dalle vicende congressuali, accresce il disagio e alza il tasso di pericolosità della paralisi politica. Che produce effetti anche in altre direzioni, perché l'amministrazione della giustizia non è argomento settoriale, avendo ormai invaso altre sfere, dove sta producendo risultati talvolta devastanti. A questo tema Ideazione dedica la sezione portante del fascicolo, ritenendo giunto il tempo delle responsabilità. Ognuno assuma le proprie e noi qui assumiamo le nostre.

Dopo una lunga notte giustizialista, il Pds sembrava non disinteressatamente deciso ad affrontare il problema, con l'obiettivo di restituire a ogni potere dello Stato la funzione propria. Il nodo è questo: schierarsi dalla parte del diritto per garantire il cittadino. I giudici compiono meritoriamente il loro dovere quando colpiscono le azioni illecite e i loro autori. Punto e basta. Se finalizzano la proprio iniziativa a scopi politici, non solo vanno oltre la loro funzione, ma ne inquinano la natura sacrale. Perch´ l'obiettivo primario non è più la giustizia, se essa diventa il mezzo per raggiungere un altro fine.

In questo quadro è subito sembrato inquietante lÕammonimento di Caselli appena riesplose il caso Di Pietro. La connessione fra i magistrati di Mani Pulite e la classe dirigente attuale, che sarebbe stata prodotta dall'iniziativa giudiziaria, suscita sensazioni varie e tutte spiacevoli, perchá il richiamo sollecita molte sensibilità, soprattutto quelle degli scampati all'attenzione degli inquirenti. Fatto è che il Partito democratico della sinistra ha disposto subito il silenzio ai garantisti di vecchia convinzione e di recente folgorazione, riassumendo la difesa acritica di Mani Pulite.

A parte la curiosità inappagata di conoscere le ragioni che hanno determinato tanto clamorose inversioni di rotta, quel che politicamente va evidenziato è che la transizione, non trovando sbocchi, si avvolge su se stessa e rischia di esplodere.

Viviamo una fase fortemente contraddittoria, nella quale si rivela una dissociazione clamorosa nei comportamenti delle forze politiche fra strategia e tattica, la prima di fatto dettata dalla natura innovativa dei problemi, la seconda attuata dagli uomini e molto condizionata dalla suggestione dei vecchi modelli. Qui il riferimento è soprattutto alle forze di opposizione, che si dichiarano portatrici delle istanze del cambiamento e che appaiono strategicamente vincenti e tatticamente sempre molto incerte. Bisogna che acquistino consapevolezza che la spinta propulsiva del 27 marzo è tutt'altro che esaurita, tanto è vero che, appena si palesa un'occasione, la risposta dei ceti, che due anni fa determinarono la svolta, è forte e immediata. Gli elettori conoscono meglio degli eletti le ragioni del cambiamento, le ritengono valide, non pensano di doversi pentire. La democrazia competitiva è una conquista alla quale non intendono rinunciare e perciò chiedono scelte nette piuttosto che continui chiacchiericci destinati, peraltro, a restare senza seguito. Per questo il Polo, nonostante le incertezze, sul fronte strategico è in recupero di immagine e di contenuti. Lo indicano sondaggi e risultati elettorali parziali, e soprattutto il grande corteo popolare romano di novembre, ben a ragione qualificabile come la prima manifestazione di democrazia maggioritaria. Senza enfatizzazioni, l'evento può essere rapportato alla manifestazione del '58 francese, che diede la spinta decisiva all'iniziativa riformatrice di De Gaulle.

Bisogna comprendere lo spirito del tempo in cui si vive. Giuliano Ferrara, assumendo la direzione di Panorama, ha individuato nel conflitto il paradigma che meglio caratterizza e anima la fase attuale. Condividiamo l'analisi e deduciamo che sarebbe errore gravissimo puntare sul compromesso quando la partita si gioca sul campo della contrapposizione. Nei momenti difficili - e questo, in verità, è difficilissimo - non bisogna venir meno ai princ“pi, pena il prevalere della confusione che tutto travolge. Per nessuna illusoria convenienza si può derogare dalla linea maestra. La cultura maggioritaria non è uno slogan per la propaganda, ma una scelta di comportamenti irrinunciabili, uno stile. Ecco perch´, una volta constatata l'impraticabilità di un governo di salute pubblica guidato da un padre della Patria, non resta che seguire la propria strada, con determinazione e senza fretta. Neppure quella di recuperare immediatamente il governo perduto, guadagnando eletti invece di elettori. Prodi cadrà quando la sua malnata maggioranza non lo reggerà più; e allora bisognerà tornare alle urne e vincere secondo le regole. Se c'e' il timore dell'avvento di un regime, il pericolo si combatte difendendo le regole e raccogliendo il consenso.

Non chiamiamola lunga marcia, ma certo è un percorso per il quale occorre attrezzarsi. Noi lo stiamo facendo, ampliando gli orizzonti della rivista, che da questo numero contiene importanti innovazioni grafiche e di contenuto. Siamo intervenuti sulla grafica, allineandoci alla grande tradizione delle riviste di politica e di cultura anglosassoni; ma i lettori incontreranno cambiamenti anche nell'articolazione del fascicolo, che introduce nuove rubriche e offre occasioni per accogliere nuove collaborazioni. Ideazione ormai non è più solo la testata di una rivista. E' pure una casa editrice, che ha fatto felicemente irruzione nel mercato; sta promuovendo un centro culturale che si avvarrà di adeguate strutture per svolgere con efficacia la sua iniziativa. Del lavoro siamo soddisfatti, dei risultati giudichino i lettori.

Domenico Mennitti


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1997