Ucraina, un anno dopo
di Olena Ponomareva
Ideazione di gennaio-febbraio 2006


Il clima nel quale l’Ucraina ha vissuto il primo anniversario della vittoria arancione si riassume in una parola: delusione. Nil novi sub sole, la delusione è una conseguenza naturale di qualsiasi rivoluzione quando dal culmine storico si ritorna alla normalità. Il fattore soggettivo è determinante: non sempre i capi rivoluzionari sono destinati a diventare i veri leader politici che gestiscono i processi evolutivi del paese. E anche in questo l’Ucraina non è stata affatto originale. In questo caso però il sodalizio dei protagonisti arancioni, l’attuale presidente Viktor Yuschenko e l’ormai ex primo ministro Julia Tymoshenko, in un anno è degenerato in una vera e propria guerra a oltranza alla vigilia delle nuove elezioni legislative del marzo 2006.
Il governo nominato dal presidente Yuschenko dopo il suo insediamento nel gennaio 2005 è stato il frutto di una eterogenea coalizione, nata con l’obiettivo di rovesciare il vecchio regime. Una volta arrivati al potere, i protagonisti arancioni, ormai in veste istituzionale, si sono divisi in vari poli di attrazione politica, motivati spesso da interessi corporativi se non personali, giacché non è stata mantenuta la promessa-chiave, da parte del nuovo presidente, di separare il potere istituzionale dagli oligarchi e dal grande capitale. Un altro fattore determinante è stato il contrasto personale tra Yuschenko e Tymoshenko, dovuto alle rivalità politiche, che si sono accentuate alla vigilia delle elezioni politiche del 2006 e nel contesto della riforma costituzionale in corso, che rafforza il Parlamento ed il premierato, limitando il potere presidenziale.
In questo scenario, otto mesi dopo l’insediamento del presidente e la nomina del nuovo governo, è scoppiato uno scandalo in cui sono rimasti coinvolti i più stretti collaboratori di Yuschenko. La reazione del presidente è stata quella di sciogliere tutto il governo, anche se nessuno dei suoi membri era coinvolto nello scandalo. Successivamente il presidente Yuschenko ha firmato il cosiddetto Memorandum di comprensione reciproca (che tra l’altro garantisce l’amnistia ai falsificatori delle elezioni presidenziali del 2004) con Viktor Yanukovich, colui che era stato il suo contendente nelle tempestose elezioni dell’anno prima. Obiettivo piuttosto banale: ottenere dal partito di Yanukovich – forte di 50 seggi parlamentari – i voti necessari all’elezione del nuovo premier Jurij Jekhanurov. Il siluramento del governo Tymoshenko e gli accordi di Yuschenko con il suo avversario hanno generato una crisi politica in Ucraina la cui soluzione appare ancora lontana. La situazione è particolarmente delicata, giacché la crisi si è sovrapposta alla campagna elettorale del 2006. Da un lato, il popolo si sente tradito e non ha più fiducia negli attuali leader politici; nello stesso tempo la società civile, costituitasi proprio nel corso della rivoluzione arancione e temprata dalle successive vicissitudini istituzionali, sta acquisendo la sensibilità politica per fare valere i propri diritti e difendere, se necessario, la sua scelta democratica. Così l’immaturità della classe dirigente è contrastata da uno straordinario sviluppo della società civile. Il divario tra le istituzioni e la società sarà determinante non solo per l’esito delle prossime elezioni, ma anche per i processi politici generali nei prossimi anni. Un’analisi di questa dicotomia ci riporta al fenomeno della rivoluzione arancione. Che cosa è realmente accaduto? Che cosa è realmente cambiato? Che cosa può realmente avvenire in Ucraina nei prossimi mesi e anni?

Dallo Stato sultanico alla rivolta della società civile

Nel senso più ampio, la rivoluzione arancione è stata una mobilitazione civile generale provocata dall’effetto cumulativo delle deformità politico-istituzionali, economiche, ideologiche e morali del regime post-comunista. Il sistema che esisteva in Ucraina fino ad un anno fa poteva essere definito nei termini di una quasi-democrazia: le istituzioni democratiche, anche se esistevano formalmente, venivano manipolate dal partito del potere saldatosi con gli oligarchi per garantire interessi economici privati. Così la politica veniva commercializzata mentre i partiti erano prevalentemente creazioni dei clan oligarchici. Le elezioni servivano da strumento per garantire la continuità del regime e la successione del potere a un candidato opportuno e all’occorrenza venivano falsificate. La menzogna era alla base della vita politica e sociale, le libertà erano oppresse, a cominciare dalla libertà d’informazione. Le redazioni dei giornali e dei canali televisivi dovevano adeguarsi ai cosiddetti copioni emessi giornalmente dalla Cancelleria del presidente, una specie di compendio su come mettere i fatti e le notizie nella giusta luce. I giornalisti che non si adeguavano e, quindi, rappresentavano un pericolo per il regime dovevano essere neutralizzati, fino al punto di prevedere l’eliminazione fisica come ultima soluzione. L’autoritarismo del potere si è rafforzato sempre di più, la corruzione nelle istituzioni è divenuta totale. L’economia, che serviva prevalentemente gli interessi del partito di potere, assumeva una struttura sempre più deformata: i due terzi di essa erano alimentati dal mercato nero, giacché l’impresa subiva un vero e proprio racket dallo Stato. In queste condizioni lo sviluppo della classe media era soffocato, l’impoverimento della popolazione e la stratificazione sociale avevano raggiunto livelli senza precedenti. Nello stesso tempo, l’Ucraina stava per esaurire le possibilità del regime oligarchico – entropico per definizione – e al momento delle elezioni presidenziali nel 2004 era oggettivamente pronta per i cambiamenti sistemici. Ma, come è noto, le elezioni furono truccate, scatenando una forte reazione sociale e azionando i fattori di ordine soggettivo: il popolo, considerato dal potere politicamente apatico e non reattivo, è sceso in piazza per difendere il proprio diritto a scegliere. È quella che è passata alla storia come rivoluzione arancione. Gli ucraini hanno scelto i cambiamenti puntando su una nuova squadra politica nella speranza che non fosse corrotta, che avesse una visione strategica dello sviluppo del paese e una forte volontà politica di riformarlo.
Un anno dopo la rivoluzione il popolo si è sentito ingannato nelle sue speranze scoprendo che i nuovi governanti in sostanza non erano molto diversi da quelli vecchi: non meno corrotti, senza visione strategica e senza coerenza politica. I dirigenti effettivi sono cambiati, ma il sistema post-comunista si è rivelato molto più persistente. Una delle sue caratteristiche è appunto la carenza istituzionale, assenza di una élite politica capace di gestire il paese nelle nuove condizioni storiche. Così l’Ucraina, all’indomani della sua indipendenza nel 1991, si è ritrovata con governanti che erano ex funzionari del partito comunista ed esponenti della vecchia nomenklatura convertiti non tanto alla democrazia quanto ad una nuova congiuntura politica. È sintomatico che il partito comunista, che nel 1991 in Ucraina fu proibito per un breve periodo, successivamente venne riabilitato: il partito del potere lo utilizzava come uno spauracchio elettorale offrendo agli elettori una deplorevole alternativa, scegliere tra due mali il male minore, i “non” comunisti. La novità delle presidenziali del 2004 consisteva nel fatto che quelle fossero le prime elezioni in cui un esponente del partito di governo, Viktor Yanukovich, il primo ministro in carica, veniva sfidato da un candidato dell’opposizione non comunista, Viktor Yuschenko. Questi ha vinto anche perché era stato meno coinvolto nel regime e aveva seguito una carriera più economica che politica fino al 1999, quando fu nominato premier nel primo governo del secondo mandato del presidente Kuchma. Fu il governo più democratico e più efficace dell’Ucraina post-comunista, ma questo non ne impedì il siluramento nell’aprile del 2000. Da lì nasce la leggenda di Yuschenko oppositore del regime, che culminò con la tempestosa campagna elettorale del 2004, quando Yuschenko subì un attentato (l’avvelenamento) ma sopravvisse e vinse le elezioni.

La fuoriuscita dal post-comunismo e la metamorfosi di Yuschenko

Il problema di fondo è che Yuschenko-eroe popolare non è riuscito a diventare un presidente dello Stato: un anno dopo la rivoluzione il risultato è che lo Yuschenko combattente contro il regime e contro il suo autoritario predecessore ha assimilato alcune delle sue peggiori caratteristiche. La più grave e esasperante per i suoi sostenitori è di non dire tutta la verità: sugli scandali di corruzione nel suo entourage e persino nella sua famiglia; sugli accordi segreti o separati a volte con gli alleati, a volte con l’opposizione; persino sui suoi redditi personali. Gli ucraini sensibilizzati dalla rivoluzione l’hanno recepito come un vero campanello d’allarme: vuol dire che la menzogna, anche se una mezza verità, non è stata eliminata dalle istituzioni e continua ad essere un metodo politico. È un problema di ordine ideologico: la menzogna accompagna spesso la politica, ma nei paesi democratici di solito emerge e viene corretta, mentre nei paesi non-democratici va nascosta e tollerata. Nel caso ucraino non è solamente il problema personale di Yuschenko o di qualsiasi altro politico; sono in gioco i fattori di inerzia dei vecchi meccanismi del regime precedente ancora molto attivi nella politica del paese. Così il paradigma elettorale sembra essere immutabile, si sceglie sempre il male minore. La svolta del 2006 si traduce nel cambiamento della ripartizione delle forze politiche e, quindi, delle preferenze elettorali: si sceglierà in base all’appartenenza e al coinvolgimento politico nel sistema precedente. I meno coinvolti hanno più probabilità di vincere. Una tale tendenza si era d’altronde già delineata ai tempi della rivoluzione arancione.
Il “no” al regime nel 2004 non era altro che il “no” al post-comunismo. Va ricordato che i primi a scendere allora in Piazza sono stati i giovani, la generazione fra i diciotto e i trent’anni, cresciuta o addirittura nata nel periodo post-comunista e, quindi, più sensibile alle incongruenze di una stagione di transizione. I giovani sono stati seguiti dai loro nonni fra i sessanta e gli ottant’anni, testimoni diretti della drammatica ascesa del comunismo al potere. Per ultimi sono arrivati i genitori dei giovani, ovvero quella generazione dei quaranta-cinquantacinquenni prodotta dal comunismo e, quindi, meglio predisposta ad assimilare il sistema post-comunista. Comunque sia, la rivoluzione arancione non è stata un Ottantanove giunto in Ucraina con quindici anni di ritardo, come è stata spesso interpretata, soprattutto in Occidente. A distanza di un anno la natura della rivoluzione arancione è chiara e univoca: si tratta dell’abbandono del post-comunismo nella coscienza collettiva ucraina. E per questo suo aspetto specifico le elezioni in Ucraina nel 2004 vanno piuttosto paragonate alle elezioni in Polonia nel settembre-ottobre 2005, quando una doppia vittoria dei conservatori e dei liberali alle politiche e alle presidenziali ha significato rinunciare definitivamente al post-comunismo come processo politico della transizione.
Questo anche tenendo presenti le sostanziali differenze fra il post-comunismo ucraino e quello polacco. La Polonia ha vissuto pienamente il suo Ottantanove al tempo giusto e aveva un retroterra politico adeguato per compiere la transizione verso la democrazia. In Ucraina, dove l’Ottantanove era stato parziale, i ritardi andavano recuperati in un modo molto più spontaneo e le trasformazioni politico-sociali si sono prolungate nel tempo causando una forte dicotomia tra una società civile, costituitasi in un nuovo contesto storico, e una vecchia élite politica incapace di cambiare lo stile di governo. La rivoluzione arancione è stato il primo tentativo di rimediare a questo andamento dicotomico, ancora un volta riuscito solo parzialmente. In questo senso le elezioni parlamentari del 2006 rappresentano una tappa successiva del cambiamento, il principio, oramai insoddisfacente, della distribuzione del potere politico.
Il maggior difetto del sistema consiste in uno scarso rinnovamento del campo politico e dei suoi attori. Di conseguenza, l’offerta elettorale si limita ai soliti protagonisti, anche se alcuni di loro sono stati politicamente screditati: il partito di Yuschenko (Unione popolare nostra Ucraina), il blocco elettorale di Tymoshenko (bjut) ed il partito di Yanukovich (Partito delle Regioni). Benché queste siano le elezioni legislative, si sfideranno non tanto i partiti quanto i loro leader, poiché la politica ucraina è assai personalizzata.
Ma bisogna distinguere tra la personificazione della politica nei paesi occidentali e quella nei paesi post-totalitari: si tratta di due fenomeni di origine diversa. In Occidente la personificazione politica significa il superamento della fase del bipolarismo ideologico, mentre nei sistemi post-comunisti, dove il bipolarismo di fatto deve ancora nascere, un tale fenomeno può generare tendenze negative come l’autoritatismo dei leader, l’assenza di programmi ben definiti, un grande numero di “ribaltoni” in una continua ricerca delle migliori congiunture politiche.

Ai nastri di partenza per la sfida elettorale di marzo 2006

L’ex primo ministro del governo arancione, Julia Tymoshenko, è tentata da due opzioni. La prima è pragmatica: unirsi con il blocco elettorale di Yuschenko, visto che un tale accordo esisteva molto prima del suo siluramento. La seconda è emotiva: andare alle elezioni per proprio conto posizionandosi contro il partito del potere di Yuschenko. Prevarrà comunque un semplice calcolo aritmetico: quale delle due opzioni offre più voti. Va sottolineato che Tymoshenko rappresenta una grande sfida politica per Yuschenko: lo contrasta traendone i vantaggi. Più decisa, più coerente e carismatica, la passionale Julia potrebbe diventare una nuova forza nella politica ucraina se non avesse due gravi difetti: lo stile di governare troppo eclettico, specialmente per quanto riguarda le materie economiche, e un eccesso di ambizione che sfiora l’autoritarismo. Ai tempi della rivoluzione, Tymoshenko fu consacrata dalla Piazza come la Giovanna d’Arco ucraina e Julia si identifica sin troppo con questo personaggio: il suo habitat naturale è la lotta per il potere, mentre il suo stile politico spesso risulta poco idoneo a gestire dei processi evolutivi. In ogni caso, le forze politiche sia di Yuschenko che di Tymoshenko rappresentano lo schieramento arancione, per riprendere il termine popolare divenuto internazionale.
Viktor Yanukovich, l’avversario delle ultime elezioni presidenziali, è a capo dell’opposizione ufficiale che raggruppa i politici anti-arancioni, coloro che difendevano il vecchio regime durante la rivoluzione e vorrebbero restaurarlo oggi. Si tratta prevalentemente degli esponenti delle business-élites dell’Est guadagnatisi la fama con gli slogan secessionisti ai tempi di rivoluzione. Il loro elettorato è ben circoscritto, sia geograficamente che ideologicamente. Si colloca prevalentemente a Est dove il territorio è sotto il controllo dei clan oligarchici e rappresenta la parte più inerte e conservatrice della società che teme di affrontare i cambiamenti sistemici. Proprio le reazioni sociali di questa categoria serviranno da cartina di tornasole per valutare l’operato del nuovo presidente e del suo governo: la quantità dei voti per il partito di Yanukovich rispecchierà la qualità della democrazia ucraina, le cui basi sono state gettate dalla rivoluzione arancione.
La cronistoria ucraina dell’ultimo anno – dalle speranze e gli entusiasmi iniziali alle profonde delusioni per i leader e la loro politica – si spiega alla luce di una logica oggettiva comune a qualsiasi rivoluzione: poco dopo c’è sempre un certo riflusso, ma ritornare al punto di partenza non è mai possibile. Il risultato effettivo di una rivoluzione equivale alla distanza tra il punto estremo del riflusso e la situazione precedente alla rivoluzione. In Ucraina questa distanza va equiparata innanzitutto alla libertà di espressione e alla libertà di stampa acquisite con la rivoluzione. I cittadini hanno ormai accesso ad una informazione oggettiva senza copioni e senza censura. Di conseguenza, il processo politico, anche se è ancora lontano dall’essere trasparente, è divenuto pubblico. È impossibile non valutare l’importanza di questo fattore giacché i mass-media rappresentano il quarto potere in ogni società. E in una società che si è da troppo poco tempo aperta alle trasformazioni democratiche, nella quale l’opinione pubblica deve ancora acquisire un valore sociale, il ruolo di mass-media diventa determinante.
La situazione creatasi in Ucraina in seguito alla rivoluzione ha accentuato la dicotomia tra la società civile sempre crescente e una élite politica ancora in fase di formazione. Di conseguenza, il tempo politico non coincide con il tempo reale in cui vive la società. Questa dicotomia, così come la carenza istituzionale, costituisce una difficoltà maggiore per la democrazia ucraina nascente. In questo senso, la rivoluzione arancione rappresenta il punto di biforcazione nel passaggio, che l’Ucraina oramai ha superato, dal regime post-comunista ad uno Stato democratico. Il processo, però, può durare da dieci a vent’anni, il tempo necessario per un cambio generazionale anche politico: il post-comunismo verrà definitivamente seppellito quando il paese sarà governato dai giovani che nel novembre 2004 per primi sono scesi in piazza a difendere i loro diritti civili.
Nel 2006, con l’approssimarsi delle elezioni legislative, il malcontento e la delusione cederanno il passo alla riflessione. Gli ucraini hanno compreso i meccanismi per influire sulla politica e per cambiare in meglio la loro vita. Hanno sentito sotto i piedi un terreno politicamente più stabile dove mai nessuno potrà più privarli dei loro voti. Si sono resi conto di trovarsi su un cammino lungo ma diretto verso la democrazia.

Olena Ponomareva, esperta di geopolitica, lettrice di lingua e letteratura ucraina all’Università La Sapienza di Roma, si occupa di storia e politica dei paesi dell’Europa centro-orientale.

(c) Ideazione.com (2006)
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