All’inizio
ero un sostenitore entusiastico della Dottrina Bush, e lo sono ancora. Ripercorriamo
un po’ le tappe. L’11 settembre al Qaeda, l’organizzazione
di Osama bin Laden, è riuscita a fare quello che non era mai riuscito
né alla Germania di Hitler, né al Giappone di Tojo, né
all’Unione Sovietica di Stalin: un attacco agli Stati Uniti sul proprio
territorio. L’elemento più nuovo della reazione di George W.
Bush a questo attentato consisteva in una strategia pensata per “prosciugare
le paludi” del dispotismo religioso-politico in tutto il Medio Oriente,
dove, sosteneva il presidente, il nuovo nemico cresceva e prosperava.
Il primo banco di prova della strategia di Bush è stato naturalmente
l’Afghanistan, dove gli islamofascisti talebani ospitavano i terroristi
di al Qaeda che ci avevano attaccato. Dal punto di vista militare, la campagna
per rovesciare i talebani è stata un successo brillante, così
come i successivi sviluppi politici in Afghanistan. In tre soli anni sono
state indette le prime elezioni libere della storia del paese e Hamid Karzai,
giustamente definito civile, moderno e pro-americano, ha prestato giuramento
come presidente. Era ovvio anche che l’obiettivo successivo sarebbe
stato l’Iraq. Perché se i talebani rappresentavano al meglio
la faccia religiosa, o “islamo-” del mostro totalitario bicefalo
schierato contro di noi, l’Iraq di Saddam Hussein era la principale
incarnazione della sua componente secolare o “fascista”.
Anche la campagna militare contro Saddam è stata un successo brillante.
Lo sono state anche le conseguenze politiche, nonostante una “resistenza”
che utilizzava tattiche terroristiche estremamente difficili da contrastare.
Ma è opportuno notare tre cose.
Primo,
operando per mezzo di un’alleanza fra guerrieri santi islamisti e
ostinati fascisti baathisti, la “resistenza” ha dimostrato che
il nostro nemico era – confermando la diagnosi di Bush – un
mostro con due teste, una religiosa e una secolare.
Secondo,
dichiarando che il suo scopo era quello di impedire la democratizzazione
dell’Iraq, l’alleanza islamofascista ha dato ragione a Bush,
quando sosteneva che la democrazia era la ricetta giusta per uccidere le
due forze che essa incarnava e rappresentava.
Terzo,
il fatto che la coalizione islamofascista non sia riuscita a impedire gli
incredibili progressi che gli iracheni compivano (anche quando molti di
loro venivano assassinati), dimostra che Bush aveva ragione quando sosteneva
che «i popoli delle nazioni islamiche vogliono... le stesse libertà...
come i popoli di tutte le nazioni». Così, come se fossero usciti
dal nulla, circa otto milioni di iracheni si sono recati a votare ad una
libera elezione: poi, e sempre sconfiggendo il mostro bicefalo, è
stata faticosamente prodotta una Costituzione che, probabilmente in tempi
abbastanza brevi, trasformerà l’Iraq in una repubblica federale
in cui i principi islamici costituiranno formalmente «la principale
fonte legislativa» ma nella quale «non si potrà varare
alcuna legge che limiti i principi democratici».
A questi successi della Dottrina Bush in Afghanistan e Iraq si può
aggiungere l’effetto domino che essa ha avuto in tutta la regione
e che ha determinato la sospensione del programma di armi di distruzione
di massa in Libia, il ritiro delle forze siriane dal Libano e (forse la
conseguenza più diretta) l’emergere di voci riformiste sempre
più audaci all’interno dell’Islam.
Ora, non riesco in nessun modo a capire come si possa negare che tutto questo
– ottenuto con perdite americane incredibilmente basse se comparate
a quelle di qualsiasi altra guerra che abbiamo combattuto – stia “rendendo
gli Stati Uniti più sicuri”.
Ma sicurezza a parte, quello che gli Stati Uniti stanno facendo in Medio
Oriente è così impregnato di grandezza e di nobiltà
che ho perso la pazienza con i suoi oppositori. Fra questi, considero quelli
che odiano l’America moralmente disprezzabili e intellettualmente
cretini; per quanto riguarda i loro compagni più moderati, tutto
quello che hanno da proporre è o un isolazionismo ormai discreditato
da tanto tempo o la ridicola insistenza sul fatto che dovremmo farci guidare
dalla saggezza politica della Francia e dall’autorità morale
dell’Onu.
E tuttavia, devo confessare che sto esaurendo la pazienza anche con quei
sostenitori della Dottrina Bush che passano tutto il tempo a lamentarsi
perché (per usare l’inimitabile parafrasi dell’editorialista
Mark Steyn) “avremmo dovuto fare questo e avremmo dovuto fare quello”,
come se fosse lampante che “questo” e “quello” avrebbero
funzionato meglio dei rischi che si sono ragionevolmente corsi, date le
circostanze. Benedetta da critiche così sicure di sé da parte
di tanti sputasentenze, l’amministrazione Bush non ha quasi più
bisogno di me. Nonostante questo, siccome sono convinto che se alla fine
saremo sconfitti non sarà per le rivolte terroristiche lì,
ma per quelle politiche da noi, credo che sia diventato assolutamente essenziale
riconcentrare gli americani sulla minaccia che dobbiamo affrontare. Credo
anche che la cosa migliore che l’amministrazione Bush potrebbe fare
in questa direzione, sarebbe di iniziare apertamente a identificare il nemico
con l’islamofascismo e la guerra contro di esso con la quarta guerra
mondiale.
Comprendo
perché l’amministrazione cerca di evitare questa china retorica,
ma stiamo pagando un prezzo troppo alto in termini di chiarezza e concentrazione
a causa del ricorso a eufemismi e giri di parole. Più specificamente,
non aver chiamato il nemico e la battaglia con il loro nome ha permesso
all’opposizione di strappare l’Iraq al suo contesto, dove era
solo un fronte in un conflitto molto più vasto, e di descrivere la
nostra campagna come una guerra autonoma non collegata all’11 settembre.
È in gran parte grazie a questa perdita di chiarezza e di concentrazione
che il sostegno popolare per la politica del presidente ha subìto
un pericoloso declino; e questo, più di ogni altro fattore, minaccia
la “prospettiva di vasta portata” e la sua magnifica “visione
espansiva del ruolo dell’America nel mondo”. Per mettere un
freno o forse persino per invertire il declino, il presidente dovrà
iniziare e poi continuare a ricordare ai cittadini americani che quella
che stiamo combattendo è una guerra mondiale contro l’ennesimo
aggressore totalitario, e che i fattori in gioco sono importanti almeno
come quelli della seconda guerra mondiale e della terza (altrimenti nota
come guerra fredda).
Dio sa che la nostra nazione ha bisogno che le venga ricordato questo e
Dio ci aiuti se dovremo farlo a causa di un altro attacco sul suolo americano,
questa volta però con armi infinitamente più devastanti di
un paio di aerei dirottati.
(© Commentary)
(traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti)
Norman Podhoretz, direttore di Commentary.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuileton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006