Le mistificazioni di Mozart
di Giuseppe Pennisi
Ideazione di gennaio-febbraio 2006

Il 27 gennaio del 1756 in quel di Salisburgo nasceva Wolfgang Gottlieb Mozart. Il suo secondo nome di battesimo venne solo successivamente latinizzato in Amadeus per ragioni più commerciali che artistiche; alle corti europee non di lingua tedesca, Gottlieb comportava una pronuncia gutturale, piuttosto cacofonica dopo il già aspro Wolfgang. Nonostante ciò, per gran parte del pubblico Mozart è associato ad Amadeus, commedia di gran successo di Peter Schaffer della seconda metà degli anni Settanta ed al film di ancora maggior successo di Milos Forman della metà degli anni Ottanta, lanciato quasi in preparazione del duecentenario della morte del compositore nel 1991. Con il cambiamento di nome, operazione consueta adesso nel mondo dello spettacolo (dove molti artisti non portano come nome d’arte quello loro dato al battesimo o all’anagrafe) ma piuttosto rara nell’Impero asburgico alla metà del Settecento, iniziò un processo di mistificazione che accompagnò Mozart per tutta la sua vita e lo perseguita anche postumo. Trovato come suo librettista un mistificatore per eccellenza, come Lorenzo da Ponte (abate, biscazziere e soprattutto puttaniere), i due dedicarono alla mistificazione un trittico in cui la terza parte (Così fan tutte) è ancora oggi l’espressione teatrale e musicale più alta delle gioie della mistificazione e delle sue sofferenze.
Dato che sovrintendenti, direttori artistici e critici musicali sono spesso poveri di idee e si aggrappano, quindi, alle occasioni celebrative, il 2006 appena iniziato rischia di diventare l’anno mozartiano da per tutto, sia nei teatri sia nelle sale da concerto. È un rischio che ha i tratti di una minaccia: una scorpacciata di Mozart da non farcelo sopportare più, o da richiedere un lungo maggese prima che il pubblico ne voglia un’altra dose. Trascurando la sinfonica e la cameristica nei 600 lavori (di cui soltanto 22 per il palcoscenico) lasciati in un’avventura umana durata meno di trentasei anni e soffermandoci esclusivamente sul teatro in musica, basti pensare che l’estate 2006 al Festival di Salisburgo verranno allestite, nell’arco di sei settimane, tutte le 22 opere (alcune in più di una edizione) prodotte dal compositore. Anche quelle da considerare meri esercizi o esibizioni di bravura di un enfant prodige portato in giro per l’Europa da un padre, poco mistificatorio ma piuttosto venale, che nel genio del ragazzino aveva trovato come riempire le tasche, solitamente vuote, di un violinista impiegato dall’Arcivescovo di Salisburgo.

Mozart-mania all’italiana

Quasi tutti i maggiori teatri lirici europei (e non solo) aprono le loro stagioni con lavori di Wolfgang Gottlieb/Amadeus. Limitiamoci all’Italia. Nella Mozart-mania 2006, c’è chi fa l’eccentrico come il Teatro Lirico di Cagliari: pesca nei dintorni, con la prima italiana di Chérubin, lavoro peraltro noiosetto di Jules Massenet, proposto nel 1905 all’Opéra de Montecarlo (quando le opere di Mozart stavano ricominciando ad apparire sui palcoscenici dei teatri non tedeschi) come continuazione de Le nozze di Figaro – in breve un’altra mistificazione. Si va però soprattutto sul tradizionale. Nell’Italia dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (fus) si è giocato d’anticipo; a Roma l’Accademia di Santa Cecilia ha tenuto un festival dedicato al Salisburghese dal 5 al 29 settembre e nel bel mezzo del festival, il Teatro dell’Opera ha alzato il sipario, con una Le nozze di Figaro di classe: regia di Gigi Proietti (il quale 20 anni fa ne fece una strepitosa al Teatro Nuovo di Spoleto), scene e costumi dello stilista Quirino Conti, un cast giovane (e con alcune cantanti molto avvenenti). Per Sant’Ambrogio, La Scala apre con Idomeneo (Daniel Harding nel podio, regia di Luc Bondy, noto per messe in scene innovative, ove non trasgressive), un lavoro che in Italia non è stato rappresentato sino a dopo la fine della seconda guerra mondiale ed affermatosi grazie alla tenacia di Peter Maag.
La vera e propria Mozart-mania all’italiana si annuncia all’insegna di scarso coordinamento: solamente a Roma sono stati annunciati un Don Giovanni in grande spolvero per inaugurare il 17 gennaio la stagione del Teatro dell’Opera ed un altro, anch’esso con grande cast, in maggio, all’Accademia di Santa Cecilia, nonché altri tre o sei (le stime variano) in teatri minori. Il Teatro dell’Opera, poi, osa due progetti da fare intimidire: le tre opere romane (Ascanio in Alba, Lucio Silla, La clemenza di Tito) nei luoghi dove avvenne l’azione (il Foro Traiano, la Curia ed il Colosseo), nonché un’intera giornata in cui Le nozze, Don Giovanni e Così verrebbero eseguite una dopo l’altra (con interruzioni per i pasti e le esigenze vitali) nell’impianto scenico di Conti, con la regia di Proietti e con Gelmetti nel podio. Il Carlo Felice di Genova ha sfoggiato il palcoscenico più moderno e più tecnologico su piazza (con quelli dell’Opéra Bastille ed ora della Scala): a fine 2005 (giocando ancora una volta d’anticipo) nel corso di due week-end mozartiani si è gustato il trittico delle tre opere su libretto di Da Ponte (Le nozze, Don Giovanni e Così) con regie sia nuove sia “storiche”. Anche il San Carlo propone il trittico Da Ponte-Mozart ma, dato che il suo palcoscenico è un intoccabile monumento storico, lo realizzerà nell’arco di tre mesi, un’opera alla volta – elemento unificante: la regia di Mario Martone. Verona ed i Teatri di Reggio Emilia co-producono il trittico con regia di Daniele Abbado e concertazione di Jonathan Web. Il circuito lombardo sfoggia Le nozze. Il Massimo di Palermo e le Muse di Ancona optano per una rilettura de Il ratto dal serraglio. Il Comunale di Bologna presenta Ascanio in Alba, a mezzadria con Roma. Tra i maggiori teatri italiani unicamente il Comunale di Firenze sembra snobbare l’occasione (nella lirica ma si rifà con la sinfonica). Alla Scala, infine, dopo l’inaugurale Idomeneo avremo la ripresa di Le nozze in un allestimento concepito da Strehler all’inizio degli anni ’70 (originariamente per il teatro dell’opera della Reggia di Versailles), ed un’edizione nuova di zecca (regia di Peter Mussbach) di Don Giovanni co-prodotta con la Staatsoper under Den Linden di Berlino, nonché un assaggio della produzione Mozart giovanile (Ascanio in Alba) a fine di stagione. Si potrebbero riempire le pagine di un elenco telefonico: una vera e propria inflazione.

Mistificazione di un libero professionista

Andiamo con ordine. Dopo l’exploit da bambino prodigio (ma allora era il padre Leopold a passare all’incasso) Mozart ha avuto un successo relativamente modesto in vita. Ha tentato di diventare un musicista “salariato” in corti importanti ma, in parte per il carattere davvero innovativo della sua musica, un po’ per la sua notoria poca disciplina, un po’ per la sua complessa (ove non contorta) personalità, non è mai riuscito a tenere un impiego soddisfacente per più di qualche mese. Ha intrapreso, quindi, la carriera di musicista libero professionista in una Vienna dove il mercato era fortemente competitivo. Pure le opere oggi considerate più “popolari” ebbero inizi duri e stentati. Ad esempio, Le nozze furono arrise da buone critiche ma portarono poca cassetta, Don Giovanni venne considerato immorale, Così fa tutte amorale, Idomeneo e La clemenza di Tito meri esercizi di stile rivolti al passato (La clemenza composta in 17 giorni nella speranza di essere assunto a corte fu un vero e proprio fiasco); Il flauto magico andò bene (come commedia musicale, in un teatro di periferia), ma ebbe la “prima” appena due mesi prima della morte dell’autore. In vita a Mozart non mancarono estimatori, specialmente nella sua professione, ma in cerchio ristretto anche se autorevole (soprattutto Haydn e Beethoven). Anche nell’Ottocento, Weber, Chopin, Schuman, Gounod e Wagner spesero, spesso, nei loro scritti ottime parole in suo favore. Ma il pubblico gli voltò spesso le spalle non solo nei teatri ma anche nelle sale da concerto. Alcuni esempi: la “prima” parigina del Requiem avvenne nel 1932; sino all’inizio del Festival di Glyndebourne (nel 1935), in Gran Bretagna Le nozze (ridotta ad uno solo atto) veniva rappresentata come completamento di serata in coppia con Il barbiere di Siviglia di Rossini (anch’esso scorciato); in Germania, si eseguivano con frequenza i due Singspiel (Il ratto dal serraglio e Il flauto magico), ma per di più in teatri secondari, erano sparite del tutto opere “serie” come Idomeneo e La clemenza (per non parlare di Mitridate, re del Ponto ripescato dalla Rai italiana attorno al 1955) ed il trittico (Le nozze, Don Giovanni e Così) veniva rappresentato non solo in tedesco, invece che in italiano, con i recitativi trasformati in dialoghi in prosa (a volte corredati da battutacce da avanspettacolo quali quelle, escatologiche e volgari, in una recente edizione porno de Il ratto a Berlino); infine tanto le arie quanto soprattutto gli insiemi venivano drasticamente mutilati. In effetti, il melodramma ed il verismo italiano, il grand-opéra e l’opéra lyrique francese e tutto il percorso del teatro in musica tedesco tanto prima quanto dopo Wagner (per non parlare delle “opere nazionali” che nascevano in Europa centrale ed orientale) erano distanti veri e propri anni luce dalla musica di Mozart (specialmente dal teatro in musica ed in particolare dal trittico composto su testi di Lorenzo Da Ponte).
Sino agli anni successivi alla prima guerra mondiale, la mistificazione di Mozart consisteva nell’ignorare i suoi lavori più apertamente drammatici e nel ridurre gli altri in commedie di mero intrattenimento (falsandone sovente le tonalità). Naturalmente non mancavano specialisti che riuscivano ad entrare nel mondo e nella poetica di Gottlieb/Amadeus; ad esempio, l’epistolario tra Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal rivela come avessero compreso le grandi sottigliezze de Le nozze ed intendessero riproporne il complesso tema al pubblico dell’inizio del Novecento con il loro Il cavaliere della rosa. Inoltre, sempre in quegli anni fiorirono gli studi mozartiani (Wyzewa, Saint-Fox, Dent) alcuni dei quali (Ghéon) affrontavano non solo gli aspetti musicologici ma anche la filosofia politica e letteraria e la religione del compositore. Tuttavia, solamente negli anni ’30 con il Festival di Salisburgo, prima, quello di Glyndebourne, poi e infine (dopo la seconda guerra mondiale) quello di Aix-en-Provence, Mozart cominciò a diventare moneta quasi corrente. Pur se autore da Festival, piuttosto che da repertorio o da cartellone di “stagione”.
Seguì un’altra, e più sottile, mistificazione. Mozart venne presentato come un angioletto, ultimo cantore di un Settecento delicato, lezioso e raffinato; se ne possono vedere esempi in alcuni dvd basati su filmati d’epoca. Se ne tocca con mano l’immagine guardando all’iconografia dei cioccolatini prodotti a Salisburgo, nulla di più distante dal volto malaticcio, gonfio e coperto di brufoli (e né elegante né di bello aspetto) del solo ritratto autentico tramandatoci, quello fattogli, quando aveva 26 anni, dal cognato Joseph Lange. Il Gottlieb/Amadeus roseo ed incipriato ritrattista, a sua volta, di un mondo gioioso ed a tempo di minuetto (presente nelle sinfonie ma quasi mai nelle opere del Salisburghese) strideva marcatamente con la crudezza del suo epistolario (allora pubblicato) specialmente con quella delle lettere alla sua cuginetta Maria-Anna Thékla (che doveva avere sui 18-19 anni) cariche di oscenità della più aperta volgarità e colme di riferimenti specialmente a quella parte del bassoschiena su cui di norma non batte il sole, nonché alle sue funzioni sia fisiche sia erotiche. Una vera e propria ossessione che spiega le difficoltà del giovanotto (pur totalmente eterosessuale) con le donne; queste difficoltà, di cui ci sono riferimenti in quasi tutte le opere, sono altra indicazione della mistificazione da lui vissuta nel quotidiano.
Accanto al Mozart serafino, la cui musica sarebbe, secondo François Mauriac (sì proprio quello che metteva l’acqua benedetta nel bidet!), una prova ineluttabile di trascendenza, cominciava a prendere corpo la mistificazione del Mozart sanculotto (a cui Jean e Brigitte Massin hanno dedicato un libro davvero enorme nel 1970), distaccato dal cattolicesimo, ove non apertamente anti-clericale, avversario degli aristocratici, precursore della rivoluzione francese e simpatizzante dei moti rivoluzionari (che avevano luogo proprio negli ultimi anni della sua vita). In breve, un giacobino il cui Flauto magico sarebbe stato pensato e composto per celebrare il nuovo culto della libertà, fratellanza ed uguaglianza. Ancora una volta, difficile coniugare il razionalismo illuminista alla base della lettura di Jean e Brigitte Massin con i pochi documenti di Mozart che ci sono rimasti – essenzialmente il suo epistolario ed i racconti di contemporanei, secondo cui anche mentre componeva (spesso in carrozza nei lunghi viaggi attraverso l’Europa) si lasciava andare alle peggiori trivialità quali quella di contrappuntare con rumorosi peti le musica celestiale che scriveva. Pur se pronto a “comporsi” per presentarsi a potenziali clienti e soprattutto a chi gli avrebbe potuto offrire un lavoro dipendente. Ancora mistificazione giornaliera e sulla propria pelle.

Massone per convenienza e rivoluzionario

In Italia, più ancora che in Francia, il teatro in musica del Mozart sanculotto ha avuto una lettura scenica particolare dagli anni ’70 agli anni ’90; ha assunto una colorazione marxisteggiante. Fin troppo semplice dare un’interpretazione quasi brechtiana a La clemenza (ricordo una regia di Ruth Berghaus): una rivolta contro il tiranno, il quale (non si capisce bene perché) alla fine perdona tutti, anche il suo amico più caro che stava per pugnalarlo. Financo banale vedere in Don Giovanni (come nelle letture di De Simone e di Savary) la borghesia macera e corrotta, nelle donne da lui abbandonate (ed al suo inseguimento) delle protofemministe in fregola e nel buon Masetto (cornuto a metà perché il tradimento è rato ma non consumato) il proletariato in cerca di riscatto. Eccessivo trasformare Così fan tutte (nell’interpretazione di Cobelli a Bologna nel 1979, sulla scia dei moti studenteschi del 1977) in una parabola sado-masochista in cui ad ogni cantante corrispondeva un mimo nudo (allora causavano shock, mentre adesso la diffusione è tale, pure nella calvinista Ginevra, che non fanno alcun effetto). Più elaborato e più sottile lo strisciante marxismo de Le nozze nella edizione Strehler che dal 1972 ha girato mezzo mondo (è spettacolo elegante e sontuoso) e sarà di nuovo alla Scala la primavera prossima oppure in quella di Visconti pensata per l’Opera di Roma nel 1974 e riproposta a metà degli anni ’80: si contrappongono due mondi (quello della nuova borghesia emergente e quello di un’aristocrazia che, costretta a cedere i propri privilegi, vuole riappropriarsene di soppiatto) e due generi (con le donne che beffano gli uomini grazie alla loro astuzia ed alla loro capacità di combinare il meglio delle differenti classi).
Finita l’epoca delle regie marxiste, la mistificazione continua, almeno nella musicologia. Uno dei successi editoriali dell’autunno 2005 è Mozart massone e rivoluzionario di Lidia Bramani; oltre 500 pagine a stampa fitta, esaurito in pochi mesi. È un libro a tesi: Mozart viene presentato come un massone pre-rivoluzionario. Lidia Bramani è studiosa seria; nonostante non si basi su tutti i riferimenti essenziali (come notato da Quirino Principe in una sua puntuta recensione), non cade nelle trappole in cui si sono un po’ rotti le gambe Jean e Brigitte Massin. Nelle 80 dense pagine iniziali, vengono analizzate con grande acume e ricca documentazione la complessità della massoneria in aree cattoliche come la Baviera e l’Austria negli anni della formazione e della maturità di Mozart, un contributo di valore, alla comprensione dell’ambiguità stessa di Gottlieb/Amadeus. Meno pertinente, e molto tirato per i capelli, cercare assonanze massoniche quasi in ogni nota delle sue opere. Ne risulta un quadro interessante: «Mozart non era svampito, svagato, disimpegnato, ingenuo. Aveva una morale salda, ma odiava i moralismi, era sinceramente religioso benché anticlericale, preso dalla sua arte eppure tutt’altro che assente dal mondo» – dunque, contraddizioni che inducevano all’esigenza di mistificazione nella vita e nella professione. Ne risulta soprattutto un affresco della massoneria in un mondo (l’Austria e la Baviera) profondamente cattolico e molto lontano dalle pulsioni rivoluzionarie della non lontana Francia – anzi molto avverso a queste ultime.
Per Mozart (ed in ciò differisco dalla interpretazione di Lidia Bramani) l’adesione ad una massoneria che reclutava con l’incoraggiamento aperto dell’Imperatore Giuseppe II era, in parte, convinzione di andare verso un mondo migliore (rispetto a quello poverissimo in cui viveva) ed in parte una strada per trovare una sistemazione, essere “assunto” almeno da qualche principotto e di venire, quindi, abbigliato con la marsina, all’epoca d’obbligo per tutto il personale di Palazzo (musicisti compresi, come capitò per lustri a Haydn prima di sbarcare a Londra). Per ottenere “un posto fisso”, si era iscritto alla loggia massonica organizzata da Emanuel Schikanader – loggia che, nella capitale dell’Impero nell’ultimo scorcio del Settecento, doveva essere una sorta di “P2 dei poveri” in cerca di collocamento. Dato che neanche quella strada gli aveva portato gli esiti agognati, prese in mano un libretto vetusto per comporre un’opera celebrativa (per l’appunto il suo ultimo lavoro La clemenza) per il nuovo imperatore, Leopoldo II; nonostante il supporto solidale della loggia, non riuscì a farla rappresentare nell’ambito delle Feste con la maiuscola – quelle della capitale – e si dovette accontentare di vederla andare in scena “in provincia”, dove, per di più, fece un tonfo. Era un massone per convenienza (come molti altri nell’Austria e nella Baviera di quegli anni). E non gli andò affatto bene.
Ciò nonostante, Mozart era “rivoluzionario”. Non teorizzò un nuovo modo di scrivere musica o di pensare il teatro in musica, ma cambiò il modo di farlo (ed in una misura così drastica che si dovette attendere oltre un secolo per comprenderlo). Prendiamo Le nozze – con i wagneriani Maestri cantori di Norimberga e con lo straussiano Cavaliere della rosa – tra le più grandi commedie in musica di tutti i tempi. Al centro de Le nozze c’è una rivoluzione del ruolo della donna nella società che precede di cento anni Casa di bambola di Ibsen e Candida di Shaw. All’epicentro c’è una fanciulla-cameriera, Susanna, la quale ordisce, in combutta con la Contessa di cui è al servizio, una rete di intrighi in modo che, al termine, della “folle giornata” (è il sottotitolo dell’opera) ciascuno finisca sotto le lenzuola giuste, mentre all’inizio almeno due dei protagonisti maschili ambivano ad andare sotto le lenzuola di donna d’altri. Siamo alla fine del Settecento: chi può immaginare una rivoluzione più copernicana di quella pensata da Da Ponte e Mozart prendendo spunto da una commedia (peraltro didascalica e lunga: cinque atti e 16 personaggi) dell’aristocratico, ed illuminista, Beaumarchais? Ponendo al centro della vicenda le due donne, la rivoluzione diventa universale. Il punto centrale, però, è che Gottlieb/Amadeus rivoluziona la musica: abolisce “cavatine” (così care a Rossini, a Donizetti ed anche a Verdi) ed altre convenzioni. Scrive una partitura dal ritmo incalzante in cui 14 arie si incastrano in ben 14 pezzi d’insieme. Sono più di tre ore di musica (senza tenere conto degli intervalli). Ho visto almeno cinquanta volte Le nozze in tutte le salse ed in tutte le regie; ad ogni buona esecuzione scenica e musicale; quando l’opera termina vorrei che ricominciasse per potere passare altre quattro ora circa a teatro. Se questo non è rivoluzionario… L’esaltazione delle mistificazione, però, è nell’amoralissima Così dove il gioco erotico implica tradimenti e gelosia (anche rispetto ai tradimenti che si progettano ed attuano) e, sotto il profilo musicale, i recitativi scivolano in numeri musicali e da essi emergono con una concezione che anticipa di circa un secolo il musikdrama. Per toccarlo con mano si veda la magnifica edizione con regia di Patrice Chéreau e concertazione di Harding: ha debuttato, con dieci repliche, a Aix-en-Provence l’estate 2005, ne ha avuto 18 all’Opéra di Parigi in autunno, è in programma a Vienna ed altri teatri (non solo europei) nel 2006 ed approderà alla Scala nel 2007. Come beffarda mistificazione, l’opera sulla mistificazione del musicista più mistificatorio arriverà a quello che vuole essere il Sancta Sanctorum della lirica soltanto dopo che l’anno della mistificazione sarà bello e terminato.

Giuseppe Pennisi, economista, collabora in materia di musica lirica a varie testate tra cui Milano Finanza, il Domenicale e Musica.

(c) Ideazione.com (2006)
Home Page
Rivista | In edicola | Arretrati | Editoriali | Feuileton | La biblioteca di Babele | Ideazione Daily
Emporion | Ultimo numero | Arretrati
Fondazione | Home Page | Osservatorio sul Mezzogiorno | Osservatorio sull'Energia | Convegni | Libri
Network | Italiano | Internazionale
Redazione | Chi siamo | Contatti | Abbonamenti| L'archivio di Ideazione.com 2001-2006