













































































 La vendetta del proporzionale
 
    La vendetta del proporzionale La politica italiana è entrata negli ultimi mesi in una condizione 
      di estrema instabilità. Corriamo il forte rischio che dopo le elezioni 
      questa condizione divenga ancora più instabile e incerta. Il perché 
      è presto detto: dopo il terremoto che all’inizio degli anni 
      ’90 ha abbattuto la prima repubblica, per ricostruirsi in forma bipolare, 
      la politica italiana ha fatto perno su un individuo: Silvio Berlusconi. 
      Il berlusconismo ha rappresentato dal 1994 ad oggi la struttura portante 
      dello spazio pubblico italiano – in positivo per il centrodestra, 
      che vi ha trovato l’elemento capace di catalizzare uno schieramento 
      debole di cultura e classe dirigente; in negativo per il centrosinistra, 
      che vi ha trovato il nemico sul quale scaricare le proprie tensioni interne.
 
      La politica italiana è entrata negli ultimi mesi in una condizione 
      di estrema instabilità. Corriamo il forte rischio che dopo le elezioni 
      questa condizione divenga ancora più instabile e incerta. Il perché 
      è presto detto: dopo il terremoto che all’inizio degli anni 
      ’90 ha abbattuto la prima repubblica, per ricostruirsi in forma bipolare, 
      la politica italiana ha fatto perno su un individuo: Silvio Berlusconi. 
      Il berlusconismo ha rappresentato dal 1994 ad oggi la struttura portante 
      dello spazio pubblico italiano – in positivo per il centrodestra, 
      che vi ha trovato l’elemento capace di catalizzare uno schieramento 
      debole di cultura e classe dirigente; in negativo per il centrosinistra, 
      che vi ha trovato il nemico sul quale scaricare le proprie tensioni interne.
      Purtroppo al di sotto di questa struttura – necessariamente caduca, 
      poiché rappresentata da un individuo e quindi non istituzionalizzata 
      – in dieci anni il paese non ha costruito nulla. Non è insomma 
      riuscito a edificare né a consolidare degli elementi culturali, ideologici, 
      politici, organizzativi, costituzionali che dessero allo spazio pubblico 
      italiano una forma stabile e definita, proiettandolo al di là dell’inevitabile 
      “uscita dal campo” del Cavaliere. Un decennio perduto, dunque? 
      Perduto del tutto forse no; però non vi è dubbio che oggi, 
      posti di fronte alla fine del berlusconismo, ci troviamo nella non invidiabile 
      condizione di dover ricominciare più o meno tutto da capo. Si riparte 
      dalla crisi del 1994, certo con dieci anni di esperienza in più, 
      ed esperienza bipolare poi; ma anche con dieci anni in più di difficoltà 
      economiche, deterioramento dei rapporti politici e culturali, incertezze 
      istituzionali. E soprattutto, senza sapere bene quanto e che cosa di questi 
      dieci anni possa e debba essere recuperato.
      Date queste circostanze, immaginare che cosa accadrà nella politica 
      italiana da qui all’estate del 2006 è virtualmente impossibile. 
      I migliori scienziati sociali riescono a intuire qualcosa del futuro quando 
      le variabili sono poche e il quadro politico e istituzionale relativamente 
      stabile; considerato il numero di variabili presente oggi in Italia, e la 
      fluidità della politica e delle istituzioni bisognerebbe avere la 
      palla di vetro. Nelle prossime pagine mi limiterò dunque a rimettere 
      un po’ in ordine il terreno politico, presentando quelle che mi paiono 
      le quattro variabili principali della vita pubblica italiana dei prossimi 
      mesi, e disegnando in forma assai ipotetica tre scenari possibili.
 Le 
      quattro variabili della vita pubblica italiana
 
      Le 
      quattro variabili della vita pubblica italiana
I 
      due rami del Parlamento hanno approvato la riforma elettorale in senso proporzionale. 
      Se, come pare, il presidente della Repubblica dovesse controfirmarla senza 
      opporre obiezioni (come appare al momento in cui scriviamo), si andrà 
      alla scadenza elettorale in condizioni radicalmente mutate rispetto a quelle 
      dell’ultima decade. Ora, i punti interrogativi principali sono due, 
      relativi a come le forze politiche interpreteranno la nuova legge prima 
      e dopo il voto.
      Prima delle elezioni, è molto probabile che la proporzionale spinga 
      ovunque possibile a moltiplicare le liste, così da intercettare il 
      maggior numero possibile di consensi. È la strategia che già 
      ha cominciato a seguire il Polo con il cosiddetto tridente – ossia 
      il passaggio dal leader uno Berlusconi al leader trino Berlusconi-Casini-Fini 
      – e che probabilmente il centrodestra seguirà nei prossimi 
      mesi in maniera ancora più esasperata. È la strategia che, 
      a quanto sembra, anche il centrosinistra adotterà per il Senato – 
      là dove invece il problema della collocazione del leader Prodi lo 
      ha costretto a ricorrere per la Camera alla lista unitaria. Quale sarà 
      la risposta dell’elettorato a questa strategia, e come cambieranno 
      i risultati a seguito della riforma elettorale e della moltiplicazione delle 
      liste, è ancora tutto da vedere.
      Così come tutta da verificare sarà la tenuta delle due coalizioni 
      dopo il voto. La riforma elettorale proporzionale ha indebolito i due poli 
      e rafforzato i singoli partiti – pure se non si può davvero 
      dire che col sistema elettorale precedente i poli fossero tanto più 
      forti e i partiti tanto più deboli, considerato quel che è 
      accaduto ai governi della legislatura 1996-2001 e come la relativa stabilità 
      della legislatura 2001-2006 debba essere ascritta alla presenza di Berlusconi 
      ben più che a qualunque meccanismo istituzionale. La nuova legge, 
      certo, prevede che i partiti si alleino prima del voto e che lo schieramento 
      di maggioranza relativa goda di un premio. In assenza di una modifica della 
      carta costituzionale che sia già in vigore, d’altra parte, 
      la presenza di alleanze pre-elettorali e di un premio di maggioranza non 
      dà garanzie certe quanto alla tenuta dello schieramento di governo. 
      Se all’indomani del voto, incassato il premio, l’alleanza maggioritaria 
      si sfascia è dubbio se si debba sciogliere le Camere e tornare alle 
      urne. In conclusione: coesistendo nella nuova legge elettorale una logica 
      proporzionale e una maggioritaria, e non essendoci regole costituzionali 
      per le quali l’una prevalga sull’altra, l’interpretazione 
      del sistema politico cui daranno vita le elezioni del 2006 sarà lasciata 
      al gioco dei partiti e al presidente della Repubblica. Conoscendo l’Italia, 
      è lecito ipotizzare che la logica proporzionale prevarrà sulla 
      maggioritaria. Ma, per l’appunto, siamo nel campo delle ipotesi.
      Il secondo elemento di incertezza è ovviamente rappresentato dai 
      risultati elettorali. Al momento l’opinione prevalente (e dei sondaggi) 
      è che vinca la coalizione di centrosinistra. Alle elezioni mancano 
      però tanti mesi, e le moltissime sorprese cui continuamente assistiamo 
      – da ultimo quella tedesca – dovrebbero insegnarci ad essere 
      prudenti. Tanto più che la convinzione diffusa che le elezioni saranno 
      certamente vinte dall’opposizione potrebbe spostare in qualche misura 
      l’onere della prova su di essa, e per paradosso sciogliere almeno 
      in parte il governo dall’obbligo di rendere conto del proprio operato 
      – come, ancora, è accaduto in Germania. Quali che saranno i 
      risultati, non bisogna dimenticare che vi è fra i due poli una forte 
      asimmetria.
      Subito dopo il voto si procederà all’elezione del successore 
      di Ciampi. E qui sorgono due interrogativi principali. Il primo, in che 
      misura lo schieramento vincitore delle elezioni (se vi sarà uno schieramento 
      vittorioso) riuscirà a utilizzare quella poltrona per scaricare le 
      proprie tensioni interne. Dove la possibilità di mandare al Quirinale 
      un personaggio altrimenti destabilizzante per la maggioranza dipenderà 
      anche dalla forza elettorale di quella maggioranza – ossia dagli equilibri 
      di potere interni al collegio elettorale presidenziale, equilibri rispetto 
      ai quali il centrosinistra, governando la maggior parte delle Regioni, appare 
      fin d’ora avvantaggiato. Il secondo interrogativo è relativo 
      agli orientamenti politici e istituzionali del nuovo presidente. In presenza 
      di una legge elettorale proporzionale e maggioritaria al contempo, e in 
      assenza di una disciplina costituzionale che stabilisca il prevalere di 
      un criterio, il futuro presidente godrà di un potere considerevole 
      nell’indirizzare il sistema politico.
      A giugno, o al più tardi in autunno, si svolgerà il referendum 
      sulla riforma costituzionale approvata dall’attuale maggioranza. La 
      parte della riforma che ci interessa ai fini di questo ragionamento, ossia 
      quella relativa ai rapporti fra governo e Parlamento, entrerà in 
      vigore, in caso di esito positivo del referendum, fra due legislature. Malgrado 
      l’applicazione delle norme sia dilazionata, è evidente che 
      l’eventuale approvazione della riforma avrà fin da subito un 
      effetto di stabilizzazione – rafforzerà insomma l’elemento 
      maggioritario della nuova legge elettorale a scapito di quello proporzionale. 
      All’inverso, qualora l’elettorato dovesse respingere la legge, 
      il tasso di incertezza e instabilità del sistema politico ne risulterà 
      accresciuto. In più i risultati delle politiche avranno un effetto 
      di trascinamento anche sul referendum.
 I 
      tre scenari possibili
 
      I 
      tre scenari possibili
È 
      evidente che qualsiasi previsione non potrà che essere altamente 
      ipotetica. Prima di immaginare i tre possibili scenari, è necessario 
      specificare quale sia l’asimmetria fra i due schieramenti. In breve: 
      lo schieramento di centrosinistra fa perno su un partito sostanzialmente 
      solido come i Ds; quello di centrodestra, invece, su un partito fortemente 
      legato alla vicenda personale di Berlusconi – e quindi poco istituzionalizzato, 
      e quindi ben più fragile – come Forza Italia.
      L’eventuale vittoria del centrosinistra avrebbe perciò un impatto 
      assai destabilizzante sul centrodestra, che si troverebbe ad affrontare 
      il problema del post-berlusconismo nelle condizioni peggiori. In primo luogo, 
      conterà in quel caso quanto cattive siano quelle condizioni: ossia, 
      quando dura sia stata la sconfitta, e come i voti si siano distribuiti fra 
      i partner dell’alleanza. In secondo luogo, bisognerà vedere 
      se e in quale modo il Cavaliere deciderà di “uscire dal campo”, 
      e che cosa ne sarà allora di Forza Italia. A seconda delle mosse 
      di Berlusconi, infine, si vedrà come si muoveranno i possibili delfini, 
      all’interno del partito e dello schieramento. Tenendo presenti tanto 
      i tatticismi, spesso esasperati, che nella politica italiana non mancano 
      mai quanto il processo di riallineamento oggi in corso nel Polo – 
      processo guidato in primis dalla ridefinizione della questione religiosa, 
      e per il quale, ad esempio, Fini non può più essere considerato 
      “a destra” di Casini.
      La destabilizzazione del centrodestra non potrà non riflettersi anche 
      sul centrosinistra – che appare tutt’altro che compatto, e in 
      termini ideologici è anzi ben più eterogeneo del suo concorrente. 
      Uno dei principali fattori di instabilità del centrosinistra è 
      l’eccesso di leader e l’impossibilità di trovare per 
      ciascuno di essi una collocazione soddisfacente. Un secondo fattore di instabilità 
      è il non facile rapporto fra il vertice della coalizione e quello 
      dei singoli partiti – rapporto che il clima pre-elettorale e le primarie 
      hanno per ora agevolato, ma che è destinato a tornare problematico 
      all’indomani del voto. Bisognerà vedere in primo luogo fino 
      a che punto la poltrona del Quirinale potrà essere utilizzata per 
      “togliere di mezzo” una pedina di rilievo – tenendo presente 
      che quella pedina non può in questo caso che essere Prodi, tutti 
      gli altri leader del centrosinistra non essendo candidati né candidabili 
      alla presidenza. E in secondo luogo se si apriranno spazi politici liberati 
      dalla crisi del centrodestra, e di quale entità, e quanto forte sarà 
      per i centristi del centrosinistra la tentazione di riempirli. Per paradosso, 
      se il centrosinistra vincesse le elezioni, a Prodi converrebbe che la riforma 
      costituzionale superasse il referendum, poiché leadership e posizione 
      al governo ne risulterebbero rafforzate.
      Un’eventuale vittoria consentirebbe al centrodestra di affrontare 
      il problema del post-berlusconismo da posizioni di forza. In secondo luogo, 
      il risultato delle elezioni avrebbe un effetto di trascinamento sul referendum 
      costituzionale, il cui successo contribuirebbe a dare equilibrio al sistema 
      politico. D’altra parte, bisogna pure tenere presente come i processi 
      di mutamento interni al Polo siano di tale profondità che nemmeno 
      una seconda vittoria elettorale garantirebbe di per sé una fuoriuscita 
      soft dal berlusconismo. E considerati i rapporti di forza nelle Regioni, 
      non è così probabile che la poltrona del Quirinale possa essere 
      utilizzata per agevolare questa fuoriuscita. Infine, se è vero che 
      il centrosinistra affronterebbe la sconfitta assai meglio del centrodestra, 
      mantenendo con ogni probabilità un assetto ragionevolmente stabile, 
      è vero pure che da un lato un secondo insuccesso aprirebbe una difficile 
      resa dei conti, dall’altro i movimenti interni allo schieramento maggioritario 
      di centrodestra si rifletterebbero senz’altro sull’opposizione 
      – tanto più che al momento il centrodestra appare in difetto, 
      il centrosinistra in eccesso di classe dirigente.
  Il 
      terzo e ultimo scenario, non così improbabile, prevede una situazione 
      di stallo, generata dalla presenza di maggioranze differenti alla Camera 
      e al Senato. Immaginare gli esiti di questo scenario è del tutto 
      impossibile. Piuttosto che avventurarmi sul terreno della profezia, preferisco 
      quindi affidarmi a un auspicio: che in quel caso si vada per un biennio 
      a un governo di Grosse Koalition, costruito su pochi punti programmatici 
      assai precisamente definiti, e all’elezione di un’assemblea 
      costituente che chiuda la lunga crisi istituzionale apertasi con Tangentopoli. 
      Ma le convergenze in Italia non sono facili. E le convergenze virtuose, 
      poi, quasi impossibili.
 
      Il 
      terzo e ultimo scenario, non così improbabile, prevede una situazione 
      di stallo, generata dalla presenza di maggioranze differenti alla Camera 
      e al Senato. Immaginare gli esiti di questo scenario è del tutto 
      impossibile. Piuttosto che avventurarmi sul terreno della profezia, preferisco 
      quindi affidarmi a un auspicio: che in quel caso si vada per un biennio 
      a un governo di Grosse Koalition, costruito su pochi punti programmatici 
      assai precisamente definiti, e all’elezione di un’assemblea 
      costituente che chiuda la lunga crisi istituzionale apertasi con Tangentopoli. 
      Ma le convergenze in Italia non sono facili. E le convergenze virtuose, 
      poi, quasi impossibili.
       
 Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea all’Università 
      La Sapienza di Roma, direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.
 
      Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea all’Università 
      La Sapienza di Roma, direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.
      
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