Ci
sono molti modi per festeggiare una ricorrenza prestigiosa. Uno può
essere quello di auto-celebrarsi, un altro può essere quello di prendere
il nodo centrale della politica estera americana e offrirlo come tema di
dibattito ad alcuni dei protagonisti del panorama intellettuale a stelle
e strisce. In occasione del suo sessantesimo anniversario, il mensile statunitense
Commentary, considerato la casa intellettuale del neoconservatorismo americano,
ha scelto questa seconda strada. E ha chiesto a 36 pensatori di altissimo
livello – in maggioranza appartenenti alla variegata galassia del
conservatorismo anglosassone – quale fosse la loro posizione attuale
nei confronti della cosiddetta Dottrina Bush.
La premessa che fa da sfondo al dibattito è chiara. Rispondendo ad
un quadro della situazione internazionale profondamente cambiato dopo gli
attacchi terroristici dell’11 settembre, gli Stati Uniti di George
W. Bush hanno adottato un nuovo approccio alle politiche di sicurezza nazionale.
La Dottrina Bush enfatizza la necessità della prevenzione per «affrontare
i pericoli più gravi prima che questi emergano». E sottolinea
l’esigenza di trasformare le culture che costituiscono l’humus
dell’odio e del fanatismo islamico, promuovendo democrazia e libertà
in Medio Oriente (e non solo). Per usare le parole dello stesso presidente:
«Viviamo in tempi in cui la difesa della libertà richiede l’espansione
della democrazia».
Questa radicale inversione di rotta della politica estera americana ha provocato
una serie infinita di polemiche, «specialmente, ma non soltanto, sulla
sua applicabilità in genere e specialmente, ma non soltanto, sulla
sua applicazione in Iraq». In gioco, scrive Commentary, c’è
l’identificazione della precisa natura dei pericoli che minacciano
gli Stati Uniti e l’Occidente, le particolari tattiche adottate dall’amministrazione
Bush per fronteggiare questi pericoli, la capacità dell’America
di mantenere una salda rete di relazioni con i suoi tradizionali alleati
e i dubbi sulla buona fede alla base di questa strategia globale. Le opinioni
in materia non dividono soltanto la Destra e la Sinistra, ma corrono trasversalmente
anche all’interno dello stesso movimento conservatore. Per fare chiarezza
sul punto, e registrare lo “stato dell’arte” del dibattito,
Commentary ha rivolto ai suoi interlocutori queste quattro domande:
1)
Qual era e quale è adesso la sua opinione sulla Dottrina Bush? Concorda
con la diagnosi della minaccia che stiamo affrontando e con la cura proposta?
2)
Ritiene che la Dottrina Bush stia riuscendo a rendere gli Stati Uniti e
il mondo più sicuri? Qual è la sua opinione sulle prospettive
a lungo termine di questa politica?
3)
Esistono degli aspetti particolari della politica americana, o di come l’amministrazione
la applica e la comunica, che cambierebbe senza indugio?
4)
Indipendentemente dalla sua opinione sulla definizione e l’attuazione
della Dottrina Bush, condivide la visione espansiva del presidente del ruolo
dell’America e delle sue responsabilità morali nel mondo?
Storici,
politologi, esperti di politica internazionale e strategia militare, commentatori
politici, economisti e sociologi hanno risposto alle domande preparate dal
mensile considerato la casa intellettuale del neoconservatorismo americano,
dando vita ad un “simposio” di eccezionale qualità che
Ideazione ha deciso di tradurre, almeno in parte, selezionando alcuni interventi
particolarmente significativi di pensatori con un certo grado di notorietà
anche in Italia. Le opinioni di Natan Sharansky, Victor Davis Hanson, William
F. Buckley Jr., Edward N. Luttwak, Francis Fukuyama e Norman Podhoretz,
però, non esauriscono certamente la complessità e le diverse
sfumature del dibattito in corso. Senza pretese di esaustività, che
rimandiamo ad una lettura integrale degli interventi (disponibili in inglese
all’indirizzo: www.commentarymagazine.com/article.asp?aid=12004023_1),
ci limitiamo a ricordare come le opinioni della destra statunitense sulla
Dottrina Bush non siano affatto univoche.
Se può sembrare quasi naturale che Paul Berman o Francis Fukuyama
esprimano un giudizio fortemente negativo sull’intervento militare
in Iraq, più significativo può essere considerato il parziale
ripensamento in corso nell’ala tradizionalmente più realista
del movimento conservatore. Se il fondatore della National Review, William
F. Buckley Jr., si definisce un «sostenitore del presidente Bush,
ma non della sua Dottrina», l’ex direttore di National Interest,
Owen Harries, giudica addirittura positivamente le difficoltà che
gli Stati Uniti stanno incontrando in Iraq, che hanno almeno impedito all’amministrazione
repubblicana di abbandonarsi ad altri «pericolosi eccessi».
E così, per ogni neocon entusiasta della strategia americana, anche
se magari perplesso sulla sua applicazione concreta (soprattutto in Iraq),
c’è sempre un realista pronto a sollevare dubbi e critiche
sull’eccessivo coinvolgimento statunitense o che manifesta il proprio
scetticismo sulla possibilità di esportare la democrazia in Medio
Oriente. Altri, invece, contestano il fatto stesso che la Dottrina Bush
sia una novità rilevante nella storia americana, mettendo in luce
la continuità sostanziale nelle scelte di politica estera fatte dagli
Stati Uniti nel Ventesimo secolo.
Si
tratta di posizioni molto diverse tra loro, spesso apparentemente inconciliabili,
ma che – prese nel loro insieme – contribuiscono a portare molto
in alto il livello del dibattito. Facilitando il compito di chi deve cercare
di ricavarne una sintesi politica applicabile nella realtà e dimostrando,
se ce ne fosse ancora bisogno, che nell’arena della battaglia per
le idee la destra americana, con tutte le sue sfaccettature, è sempre
un serbatoio inesauribile di stimoli e proposte innovative.
Andrea Mancia, caporedattore di Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
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