Rove, il cervello di Bush
di Simone Incontro
Ideazione di gennaio-febbraio 2006

Sun Tzu, ne L’arte della guerra, scrive che «la vittoria può essere costruita». Ed è proprio questo, secondo molti analisti, il succo del successo di George W. Bush alle elezioni presidenziali del 2004. L’artefice principale di questo successo, che non a caso è proprio un grande ammiratore dello stratega cinese, risponde al nome di Karl Christian Rove. Il giorno dopo la rielezione di Bush, New York Times e Washington Post lo hanno identificato come il nodo centrale della strategia vincente dei repubblicani. La domenica successiva il 2 novembre i talk show politici l’hanno avuto come ospite, infrangendo la regola non scritta che legava le sue rare apparizioni in pubblico alla presenza di Bush.
Lo stesso presidente americano, nel discorso di accettazione della vittoria al Ronald Reagan Building, ha chiamato Rove non con i due soliti nomignoli “privati” – Boy Genius e Turd Blossom (fior di sterco) – ma con l’appellativo The Architect. Rove, infatti, è stato il vero architetto della rielezione. E ha gestito in prima persona molti aspetti cruciali della campagna: dal programma elettorale alle politiche pubbliche, dalla strategia di fund-raising alla supervisione dell’itinerario dei viaggi del presidente.
Rove ha avuto il controllo della strategia, dell’organizzazione, del messaggio, dei sondaggi, del mercato dei media, dei temi della campagna elettorale e dei finanziamenti al partito repubblicano. Ed è stato, soprattutto, l’ossessione dei democratici. Lo stesso Tad Devine, direttore della strategia di John F. Kerry, ha confessato la sua grande ammirazione per Rove. A Washington, del resto, i vincitori piacciono sempre. E tutti, dopo la guida di due campagne presidenziali vincenti, definiscono il consigliere del presidente un grande stratega. Vittorio Zucconi lo chiama “il direttore spirituale”, Neal Gabler del Los Angeles Times perfino “il Mullah d’America” ed il suo nome viene spesso associato a Machiavelli per quanto riguarda l’astuzia, la spregiudicatezza e il cinismo a cui spesso ricorre contro gli avversari.
Tutti i presidenti americani dell’era moderna hanno avuto consiglieri importanti ed influenti: Clark Clifford per Truman, l’image maker Michael Deaver per Reagan, il pollster Dick Morris e il message man James Carville per Clinton, ma nessuno, secondo gli analisti, è paragonabile a Rove. Il Rasputin che parla con il suono nasale del Midwest vanta un’amicizia lunga (ben trentadue anni) con George W. Bush e può essere considerato il più influente consigliere che un presidente americano abbia mai avuto.
Il principale mentore di Rove è Lee Atwater del South Carolina, già adviser di Bush padre, scomparso nel 1991 per un tumore; è famoso per il suo motto «attack, attack, attack» e per il lancio d’attacchi all’avversario proprio dove è più forte e non dove è più debole come in genere si pensa. Rove ha affinato e messo a punto questi insegnamenti ed è andato ancora più lontano, portando il partito repubblicano ad un dominio schiacciante nel paese. Matt Bai del New York Times afferma che questo Bobby Fisher della politica americana ha il controllo assoluto della formazione politica di Bush.
Rove è un appassionato di storia americana, soprattutto della storiografia dei presidenti. Per lui la politica non è solo arte, ma è anche scienza (uno degli obiettivi che Machiavelli voleva evidenziare con Il Principe) e per questo si avvale dei più sofisticati strumenti di marketing e comunicazione politica, senza però dimenticare l’importanza dei volontari di partito ai quali risponde personalmente mandando centinaia di e-mail quotidianamente dal suo Blackberry. Per capire chi è Karl Rove, ripercorriamo tutte le tappe della sua vita, cominciando dalla crescita nel West del paese, passando per la trasformazione del Texas da roccaforte democratica a baluardo repubblicano, fino al rapporto speciale che lo lega al presidente Bush.
Rove nasce il 25 dicembre del 1950 a Denver, in Colorado. La sorella dice che Karl sia stato un conservatore ancora prima della maggiore età. Nel 1959, a 9 anni, ha simpatie per Nixon e nel 1964 partecipa alla “Woodstock” dei giovani conservatori a favore di Barry Goldwater. A metà degli anni Sessanta si trasferisce con la famiglia nello Utah, uno Stato molto credente, ma lui vive al di fuori del mondo religioso. Rove frequenta le scuole superiori a Salt Lake City e l’University of Utah senza però laurearsi, a causa del suo quotidiano impegno con i College Republicans. Nel 1968 i principali leader repubblicani come Rockfeller, Reagan e Nixon passano per la sua università. Nel 1970 Rove partecipa alla prima campagna elettorale, sostenendo Ralph Smith in Illinois. Ed è proprio in questa occasione che nasce la sua fama di maestro dei “colpi bassi”. Il giovane Karl entra nell’ufficio elettorale del candidato democratico, prende dei fogli intestati e stampa inviti indirizzati a giovani e senza tetto per un’improbabile festa con “donne, cibo e birra gratis” nel quartiere generale del democratico Dixon che correva per diventare tesoriere dello Stato. Un trucco sporco, ma con un fondo di genialità. A 22 anni diventa, sotto la guida di Lee Atwater, presidente dei College Republicans, ma si deve dimettere in pieno scandalo Watergate e Bush Sr. lo assume nel suo staff.

L’incontro con George W. Bush

Nel 1973, alla vigilia del giorno del Ringraziamento, avviene il primo incontro con George W. Bush che, ai tempi, studia a Harvard e torna a Washington. Rove ha il compito di portargli le chiavi della macchina a Union Station e ricorda il giovane Bush in questo modo: «Jeans, bomber d’aviatore, stivali da cowboy e carisma, tanto carisma». I due sono diversissimi, ma hanno in comune l’odio nei confronti degli hippy e dei leader senza spina dorsale.
Nella seconda metà degli anni Settanta si dedica al direct mail e alla raccolta fondi per il partito repubblicano e, nel 1978, arriva il primo grande successo: partecipa alla campagna elettorale in cui, per la prima volta dalla Ricostruzione, viene eletto un repubblicano come governatore del Texas. Si tratta di Bill Clements. Nello stesso anno Rove segue, questa volta però con esito negativo, la campagna per il Congresso di Bush Jr. contro il democratico Kent Hance. Questa sconfitta, come Molinari scrive nel suo libro George W. Bush e la missione americana, è una tappa importante della sua formazione politica: Hance continua a ripetere pochi concetti chiave (stay on the message) e attacca senza risparmiare colpi il suo avversario.
Nel 1981 Rove apre un società specializzata in direct mail di consulenza chiamata Karl Rove & Co. e tra i suoi clienti figureranno i maggiori esponenti del partito repubblicano come Bill Clements (rieletto nel 1986) e l’ex democratico Phil Gramm.
Nel 1994, anno che vede l’ascesa di Newt Gingrich e la riconquista repubblicana del Congresso, Bush si trova a sfidare la popolare governatrice democratica Ann Richards, amica dell’allora presidente Bill Clinton e acerrima nemica del clan Bush. Nel corso della campagna elettorale, Bush, secondo i consigli di Rove, si concentra su quattro temi: giustizia minorile, riforma dell’illecito civile (tort reform), riforme sul welfare e, soprattutto, istruzione. Anche in queste elezioni, come nelle future corse alla Casa Bianca di George W., il candidato repubblicano parte da una posizione di estremo svantaggio. Ma questa sottovalutazione, alla lunga, si rivelerà un fattore positivo. E Bush vince 53,5 a 46,5, smentendo ogni pronostico.
Nel 1998 Bush ottiene un risultato storico per un repubblicano in Texas (68,9 per cento), dopo aver raccolto 25 milioni di dollari (contro i 3 dell’avversario democratico Garry Mauro) e aver rispolverato la tradizione della front porch campaign2 di McKinley. Il tema principale su cui Rove imposta la campagna elettorale è la riforma sull’illecito civile. Alla seconda affermazione consecutiva in Texas, Bush non può più nascondere le sue ambizioni e diventa il miglior candidato che il partito repubblicano può presentare per la riconquista della Casa Bianca. Rove, d’ora in poi, rappresenta la punta di diamante dell’Iron Triangle composto da Karen Hughes e Joe Albaugh e guiderà la corsa per la conquista di Washington.

Dal Texas a Washington

Rove organizza la campagna come se ci fossero cinquanta consultazioni elettorali separate, studiando ogni singolo media market, Stato per Stato. Da appassionato di storia americana, trova molte analogie tra le elezioni del 2000 e quelle del 1896 con McKinley: alla fine del Diciannovesimo secolo l’economia stava cambiando radicalmente, la popolazione presentava nuove etnie, emergeva l’importanza della raccolta dei fondi (di cui Mark Hanna è stato il pionere) e un nuovo mondo richiedeva una nuova politica.
La prima tappa della corsa alla Casa Bianca sono le primarie. Rove, in un intervento all’American Enterprise Institute, illustra la sua lista di priorità: le primarie dei soldi, le primarie delle idee e le primarie della leadership del partito (senatori, deputati e governatori).
Bush apre comitati in tutti e cinquanta gli Stati, ma si trova di fronte ad uno dei personaggi politici che raccolgono maggiori consensi tra gli indipendenti, il senatore dell’Arizona, John McCain, eroe della guerra in Vietnam. Il primo febbraio, in New Hampshire, il risultato è un cattivo risveglio per Bush: McCain vince con più di 18 punti percentuali di distacco (48,53 per cento contro 30,36 per cento): un margine che avrebbe spento le ambizioni di chiunque. Rove, però, non si scoraggia. E decide di affiancare alla campagna elettorale “classica” una underground campaign che prende di mira direttamente McCain, sollevando dubbi sul suo passato in Vietnam e sulla stabilità della sua situazione familiare. Dopo diciotto giorni, in South Carolina, la situazione si capovolge e Bush ottiene il 53,39 per cento contro il 41,87 per cento di McCain. È l’ennesima vittoria dell’organizzazione-Rove. Da quel momento in poi, per Bush, le primarie diventano poco più di una formalità.
Battuto McCain, si inizia a pensare alle presidenziali. Lo sfidante è Al Gore e compito di Rove è riposizionare Bush e farlo correre da outisder, come interprete del conservatorismo compassionevole. I temi della campagna del 2000 che Rove vuole evidenziare sono tre: taglio delle tasse, istruzione e il ripristino di uno standard minimo di civiltà nel confronto politico di Washington. Tra marzo e giugno Rove ricuce i rapporti con McCain e prepara in modo accurato la convention di Philadelphia (The City of Love) per evitare quello che era successo nel 1992 con Pat Buchanan. Ogni intervento dal podio deve evidenziare il lato più morbido ed inclusivo del partito repubblicano.
A novembre, Bush batte Gore per un soffio, dopo il drammatico recount in Florida, ma Rove rimane sorpreso dal risultato complessivo e identifica la causa primaria della vittoria risicata nelle rivelazioni, uscite a due giorni dalle elezioni, dell’arresto di Bush per guida in stato d’ebbrezza del 1978. Sulla base dell’analisi dei flussi elettorali, Rove arriva alla conclusione che quattro milioni di seguaci della destra religiosa non si sono recati alle urne ed il suo obiettivo, nei quattro anni successivi, sarebbe stato quello di portarli a votare.
Nel dicembre 2000 Rove pensa già alla strategia per la rielezione di Bush alla Casa Bianca: motivare la base conservatrice; cercare gli evangelici; incrementare il consenso tra ispanici e cattolici; entrare nel territorio democratico per raggiungere gli iscritti ai sindacati, le minoranze e gli addetti del settore tecnologico. Rove assume l’incarico di senior adviser del presidente e siede, prima volta nella storia americana, nell’Ufficio delle Iniziative Strategiche presso la West Wing presidenziale. Proprio nell’esatto punto d’intersezione tra politics e policy che per otto anni ha costituito il nodo centrale dell’enorme potere esercitato da Hillary Clinton. Sono i mesi in cui, secondo Harold Meyerson dell’American Prospect, Rove è tra i consiglieri del presidente più citati su Google, secondo solo a Condoleezza Rice. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, la politica estera è contesa tra falchi e colombe, ma sul fronte interno Rove spadroneggia e prepara la strada per la rielezione di Bush.
Quattro mesi dopo l’attacco subito dagli Stati Uniti, davanti al Republican National Committee di Austin, Rove afferma che il terrorismo sarà il tema centrale sia delle elezioni di mid-term che delle presidenziali del 2004. E che il partito repubblicano ha una posizione consolidata nel proteggere e rafforzare l’immagine e il prestigio dell’esercito americano. Nell’aprile del 2002, la prestigiosa rivista National Journal gli dedica la copertina, cosa non apprezzata dal vicepresidente Dick Cheney. Mentre nel maggio del 2002 il New York Times pubblica un articolo in cui riecheggia una domanda cruciale per gli equilibri interni all’amministrazione repubblicana. Un collaboratore di Colin Powell chiede all’allora segretario di Stato: «Chi guida la politica estera? Tu o Rove?».
L’Architetto vede nelle elezioni di mid-term del 2002 un banco di prova per le successive presidenziali: mobilita la base nel cosiddetto 72-hour walk the vote – i tre giorni finali della campagna elettorale in cui si opera un massiccio porta a porta per registrare elettori repubblicani – e decide di sfruttare fino in fondo la popolarità nei sondaggi del presidente. Bush parte per una maratona di diecimila miglia che tocca quindici Stati negli ultimi cinque giorni di campagna. Il risultato è storico: il partito repubblicano guadagna seggi al Senato e alla Camera e si rafforza in North Carolina, Florida e Georgia.
Gli osservatori politici riconoscono Rove come la star politica dell’anno ed il magazine Time presenta in copertina Bush e Rove che ridono all’interno della Casa Bianca con il titolo: “Hanno stravinto e ora sono pronti per le presidenziali”. Rove, in effetti, pensa già al 2004.

Le tappe della rielezione di Bush

Il presidente, nel suo ranch a Crawford in Texas, discute con il suo consigliere nel gennaio del 2003. Insieme, disegnano la strategia delle elezioni del 2004: non si discuterà di piccole issue (mini-balls) ma di grandi temi (big issues), della leadership in tempo di guerra e della lotta al terrorismo. Questi saranno il terreno di scontro su cui gli sfidanti democratici si dovranno confrontare.
Nel luglio dello stesso anno, il presidente dei repubblicani, Ed Gillespie, chiede a Rove quale ruolo il partito deve ricoprire per sostenere Bush. Rove è chiaro: «Bisogna chiudere il gap tra registered voters repubblicani e democratici, l’obiettivo è registrare tre milioni e mezzo di nuovi repubblicani».
Ogni sabato mattina, dal 2003 al 2004, tutto lo staff per la rielezione di Bush si trova a far colazione nel cosiddetto “Breakfast Club” di casa Rove, nella zona nord ovest di Washington. Tra uova, bacon e salsicce di cervo (cucinate dallo stesso Rove), si delineano le grandi linee strategiche della campagna elettorale: si seguono i cosiddetti metrics, ovvero si effettua un controllo pressoché scientifico di sondaggi, registrazione di repubblicani, identikit della società americana, stato della raccolta di fondi e itinerario dei viaggi presidenziali. È durante queste colazioni di lavoro che Rove parla di un passaggio chiave delle elezioni del 2004: nei battleground states ci sono più potenziali repubblicani che elettori indecisi e, questi si concentrano principalmente negli exurb.
Per la guerra in Iraq, Rove fa parte del whig (White House Iraq Group) e il suo compito principale sarà quello di inserire la guerra in Iraq nel ben più ampio fronte della lotta al terrorismo. Quando si avvicinano le primarie democratiche, Rove teme più Howard Dean per la sua posizione contro la guerra in Iraq (il 4 luglio 2000 alcuni quotidiani riportano che Rove è tra la folla dei democratici per un raduno politico a favore del governatore del Vermont) e, quando Kerry risulta essere il vero sfidante di Bush, il Time scrive che il consigliere del presidente non riesce a contenere la sua gioia e recupera in tutta fretta il quaderno a ganci dal titolo “Bring it on” che contiene una sezione di undici pagine sulle posizioni di Kerry sulla guerra in Iraq. Nel discorso alla convention democratica di Boston, Kerry, accompagnato dai suoi compagni di guerra, si appella agli americani: «Giudicatemi per il mio passato». I veterani, o meglio gli Swift Boat Veterans For the Truth, lo faranno a partire dal mese d’agosto. Kerry ci metterà del suo con la famosa frase del 17 marzo 2004 al Senato: «A dire il vero prima di votare contro, ho votato a favore degli 87 miliardi di dollari». Rove ha definito la posizione di Kerry sull’Iraq una confusione, una contraddizione dei suoi stessi voti e lo spot contro Kerry termina con le parole «wrong on defense» (sbagliato sulla Sicurezza nazionale).
A maggio avviene la riappacificazione con McCain (corteggiato da Kerry per la vicepresidenza) siglata con l’incontro tra Rove e John Weaver, consigliere del senatore dell’Arizona, in un Caribou Coffee a pochi passi dalla Casa Bianca. In cambio, sembra esserci la nomination per la presidenza del senatore dell’Arizona nel 2008.
A dare un’altra mano a Bush sono da una parte Gavin Newsom, il sindaco di San Francisco, che unisce in matrimonio migliaia di coppie gay, e dall’altra i giudici della Corte Suprema del Massachusetts, che legalizzano i matrimoni omosessuali. Rove spingerà Bush, nonostante le scarse possibilità di approvazione, a proporre un emendamento alla Costituzione che definisca e protegga l’istituto del matrimonio come unione esclusiva di un uomo e una donna.
Nell’Election Day, Rove è sull’Air Force One con il presidente quando escono i primi exit poll che vedono Bush in netto svantaggio in Pennsylvania, New Hampshire, Florida e Ohio. Sembrerebbe una disfatta per i repubblicani, ma Rove è sicuro che la sua strategia porterà i repubblicani alla vittoria delle elezioni. Tornato a Pennsylvania Avenue nella family dining room, segue i dati che arrivano da alcuni exurb chiave come Warren, Carter County e Clermont. Alle 22.30 è sicuro: Florida ed Ohio sono repubblicani e Bush è rieletto, ma Rove consiglia al presidente d’aspettare prima di dichiarare vittoria.
Nella domenica seguente il 2 novembre, Rove smentisce la teoria per la quale Bush ha vinto esclusivamente per la questione dei moral values ed illustra la crescita dei repubblicani rispetto alle elezioni del 2000: 2,3 milioni di voti negli exurb e nelle piccole città, 4,4 milioni tra le donne, 1,5 milioni di latinos, 4,5 milioni d’anziani. È quello che Sun Tzu definisce Wu-hsing, la configurazione senza forma che ha permesso la rielezione di Bush e che va ben oltre l’equazione “maggiore affluenza alle urne uguale maggior probabilità di vittoria dei democratici”.
Il consigliere di Bush interviene a Meet The Press e a Fox News Sunday, affermando che il tema centrale di questa campagna elettorale è stata la guerra al terrorismo (di cui l’Iraq è una delle componenti). Poi, in ordine: la situazione dell’economia e, con percentuali analoghe a quelle del 2000, i moral values.
La vittoria di Bush assume proporzioni storiche. Ma i tre milioni e mezzo di voti di differenza con Kerry sono, per Rove, la conferma che bisognerà lavorare ancora a lungo per dare al partito repubblicano la tanto sospirata “maggioranza strutturale” nel paese. Lui giura che la campagna elettorale del 2004 è stata l’ultima, ma gli credono in pochi. Thomas Edsall del Washington Post, in uno speciale dedicato a Rove sulla pbs, ha dichiarato che «Bush e Rove non stanno affatto scherzando. Hanno in mente qualcosa di più grande del New Deal e della Great Society». Se qualcuno può riuscirci, si tratta proprio dell’Architetto.

Simone Incontro, è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna-Forlì. È stato visiting fellow al Center For Media and Public Affairs della George Washington University. Collabora con i quotidiani del gruppo Athesis (L'Arena, Bresciaoggi e Il Giornale di Vicenza), con la rivista Compol e con Ideazione.com

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