Molti analisti
hanno messo in luce come la data del 14 dicembre 2003 abbia rappresentato
uno spartiacque nella politica internazionale. Gli Usa hanno segnato un
grosso punto a favore nella lunga guerra al terrorismo con la cattura di
Saddam Hussein, corroborando con un risultato di prestigio l’ardita
strategia di ridisegnare la geografia politica del Medio Oriente. L’Unione
europea ha invece registrato un’amara sconfitta fallendo il varo della nuova
Costituzione e mancando sul piano istituzionale l’appuntamento con la
storica riunificazione del continente: la Nuova Europa nascerà senza il
supporto di una cornice costituzionale che ne sorregga ambizioni e speranze.
Nella carta geografica del mondo, gli Stati Uniti rimarcano la propria
presenza, l’Europa la propria assenza.
L’allargamento dell’Unione andrà comunque avanti, nonostante Bruxelles. Gli
accordi di Nizza guideranno le decisioni che le istituzioni continentali
prenderanno dal 1° maggio, quando rappresenteranno venticinque paesi. Quello
che mancherà sarà il supporto istituzionale che avrebbe dovuto dotare la
Nuova Europa degli strumenti per divenire un soggetto di politica
internazionale. E avrebbe dovuto consentirle di giocare un ruolo da
protagonista tra gli Stati Uniti e i nuovi giganti asiatici, la Cina, la
Russia, l’India. Questo non è avvenuto e a Bruxelles i capi di Stato e di
governo riuniti per la Conferenza intergovernativa dello scorso dicembre
hanno semplicemente scontato le divisioni che da mesi lacerano l’Europa.
Da qualche tempo un fantasma s’aggira per il continente. Si tratta del
vecchio asse franco-tedesco, l’architrave attorno al quale s’era costruita
l’unità europea a partire dagli anni Cinquanta. Altri tempi, altri
equilibri, altre necessità storico-politiche. La caduta dei regimi comunisti
dell’Est e il processo d’allargamento ai nuovi Stati richiedevano altre
sensibilità e altri equilibri rispetto a quelli pre-ottantanove. L’Europa
aveva provato a trovarli, muovendosi attraverso gli egoismi degli Stati
aderenti, nel tentativo di quadrare un cerchio che si è dimostrato via via
sempre più sfuggente.
Le valutazioni sui rapporti con gli Stati Uniti e sulla lunga guerra al
terrorismo internazionale hanno accentuato divisioni strategiche che
pre-esistevano fra le nazioni europee, facendo emergere, grosso modo, due
gruppi contrapposti: da un lato l’asse franco-tedesco supportato dai piccoli
Stati del Benelux che devono la loro importanza soprattutto al fatto di aver
partecipato alla fondazione della Comunità; dall’altro il triangolo
Inghilterra-Spagna-Italia corroborato da piccoli paesi come Portogallo e
Danimarca e dall’apporto massiccio di tutti i paesi centro-orientali. Per
usare uno schema divenuto famoso, da un lato la Vecchia Europa, dall’altro
la Nuova Europa.
Senonché la Vecchia Europa s’è messa in testa di condizionare la Nuova.
Lungi dall’impostare un discorso di responsabilità rinnovando quanto, tra
politica ed economia, impedisce a Francia e Germania di guidare con spirito
innovativo un’Europa allargata, i due paesi hanno riproposto, nelle forme e
nei contenuti, l’egemonia continentale del passato. L’Economist ha
rappresentato questo asse redivivo come un Frankenstein a due teste, una del
presidente francese Jacques Chirac l’altra del cancelliere tedesco Gerhard
Schröder. I due leader avevano portato le relazioni fra i loro paesi ai
livelli più bassi dal dopoguerra. Il fondo era stato toccato al summit di
Nizza, fine 2000. Poi, di colpo, la rinascita. Che non coincide però con la
rinascita dei due paesi. Quello che Francia e Germania propongono all’Europa
del ventunesimo secolo non è infatti un asse solido e in buona salute. Non
ha le carte in regola sul piano economico, non ha le idee chiare su quello
geopolitico. Di declino in Francia ha parlato un intellettuale ben noto ai
lettori di Ideazione, Nicolas Bavarez, che ha agitato il panorama culturale
d’Oltralpe con la pubblicazione di un libro divenuto ben presto un successo:
La France qui tombe. In Germania il dibattito è meno esplosivo ma non per
questo meno attuale: la locomotiva d’Europa non tira più i vagoni del
continente, appesantita dalla crisi strutturale del suo modello economico.
Questo asse, che il presidente della Commissione Romano Prodi sponsorizza
con forza, può far deragliare l’Unione. E preparare quella che lo stesso
Economist chiama “un’alleanza stile-Metternich nel cuore dell’Europa”.
Un’Europa qui tombe.
Pierluigi Mennitti, giornalista, direttore di Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
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