I tormenti dei cattolici adulti
di Eugenia Roccella
da Ideazione di luglio-agosto 2006
Con l’articolo del 18 giugno sul Corriere della Sera, “Il dialogo finito
con i cattolici”, Ernesto Galli della Loggia ha dichiarato morto il
cattocomunismo. È un’analisi che condividiamo pienamente. Il terreno
delle tematiche sociali, su cui sarebbe dovuto avvenire l’incontro
storico tra le due grandi culture popolari, la comunista e la cattolica,
si è progressivamente inaridito, riducendosi a una steppa disabitata in
cui vagano gruppi di superstiti confusi. Con la stessa spaventosa
velocità con cui nel dopoguerra è scomparsa la civiltà contadina,
portandosi via in un colpo la secolare questione della terra e della
“roba”, a partire dagli anni Ottanta si è andata liquefacendo la classe
operaia, e soprattutto si è conclusa l’epoca della sua centralità
politica. Il dibattito sulle possibili soluzioni per colmare le
diseguaglianze, sulla solidarietà e la concertazione, persino sulla
sopravvivenza dello Stato sociale, non impegna più gli intellettuali e
non scalda più il cuore del popolo di sinistra.
Sul numero di gennaio 2006 di Ideazione (“Radicali a sinistra e l’Unione
zapateriana”), avevamo analizzato il passaggio a sinistra del Partito
Radicale come una scelta obbligata, non più classificabile come una
delle tante fluttuazioni tra l’anima liberista (orientata a destra) e
quella libertaria (orientata a sinistra) dei pannelliani. L’ipotesi che
l’opzione prodiana fosse per loro ormai inevitabile, era collegata
proprio alla prevalenza nel dibattito politico dei temi etici, e al
destino di progressiva irrilevanza identitaria a cui sono consegnati
quelli economici e sociali. Non certo perché l’economia solleciti minore
attenzione da parte dell’elettorato, ma perché non è più possibile
avere, nei confronti delle scelte di politica economica, approcci
radicalmente diversi, che rimandino a posizioni immediatamente
riconoscibili. Nella notte della globalizzazione tutti i ministri del
Tesoro tendono ad essere grigi, e le decisioni si inseriscono in un
ordine che non è più quello nazionale, ma quello europeo, stabilito e
negoziato a Bruxelles.
Capita anche che le differenze tra i due schieramenti siano il contrario
di quelle che ci si aspetterebbe (come nel caso delle norme sul
precariato: la legge Biagi è più garantista nei confronti dei lavoratori
di quella varata dal centrosinistra). A conferma di quanto i tentativi
di trovare riconoscibilità nella politica economica siano vani
basterebbe ricordare il clamoroso fallimento di un obiettivo
qualificante come le 35 ore in Francia, così come il sollievo dimostrato
dalla gran parte della sinistra in occasione del fallimento del
referendum sull’articolo 18 promosso da Rifondazione. Persino l’antica e
solida vocazione statalista del centrosinistra fatica a trovare sbocchi
ideologici coerenti, elaborazioni nuove che convincano l’opinione
pubblica, e rischia – si è visto con chiarezza durante la campagna
elettorale – di far identificare l’Ulivo semplicemente come il partito
delle tasse.
È difficile per tutti, ma in particolare per la sinistra, trovare in un
progetto economico e sociale una identità robusta, proprio perché è lì
che la vecchia identità comunista è finita in pezzi, è lì che si possono
contemplare le rovine ideologiche e i fallimenti storici. Con la
sostituzione della sua base elettorale e sociale, la sinistra ha
sostituito anche i suoi temi forti, assumendo con rapidità sorprendente
quelli tipici dei radicali. Diritti individuali sempre più ingombranti
ed estensivi, e totale via libera all’odiato “edonismo reaganiano” (non
c’è nessuno esperto di buoni vini, buona cucina, buona qualità della
vita, come gli ex sessantottini), alla cultura della “libera scelta”,
alla distruzione della tradizione, alla manipolazione integrale del
corpo e della nascita.
Come collocare i cattolici all’interno di questo quadro? Molti
insistono, per radicata abitudine, a considerare la sinistra il proprio
luogo naturale, ma la vita per loro diventerà sempre più scomoda, come
si può intuire già dagli imbarazzati silenzi del cattolico adulto Romano
Prodi. D’altra parte è solo sui temi eticamente sensibili che si può
tenere unita l’eterogenea compagine della maggioranza, perché in questo
campo la sinistra estrema può essere accontentata senza danno per i
complicati equilibri tra poteri forti e governo. Ci sarà dunque un
interminabile balletto di dubbi e discussioni, annunci e controannunci,
avanzate e ritirate, su pacs, coppie di fatto, legge 40, eugenetica,
eutanasia, in cui verrà dato grande risalto pubblico alla presenza e ai
tormenti dei cattolici dell’Unione. Intanto, però, saranno rosicchiati
gli spazi reali di mediazione, finché la semplice linea difensiva
apparirà un compromesso accettabile, come è già accaduto per il colpo di
mano di Mussi in Europa. Le obiezioni di Binetti o Bobba non si sono
tradotte in iniziativa politica, e non hanno mai costituito il minimo
rischio per la maggioranza. Se non c’è rischio, perché ascoltare quelle
obiezioni? E perché la scelta del ministro della Ricerca non è stata
interpretata come una grave minaccia all’unità della maggioranza e alla
stabilità del governo (e quindi annullata), mentre l’opposizione dei
cattolici viene caricata di responsabilità? Il primo atto di questo
governo, una vendetta contro il voto referendario sulla procreazione
assistita, ha ben chiarito i limiti del compito che si vorrebbe affidare
ai cattolici: un ruolo del tutto inessenziale e decorativo, utile solo
per esibire un dibattito che non c’è.
Nell’articolo che abbiamo citato, Galli della Loggia conclude che quella
cattolica sui temi etici è «una battaglia disperata, ma nobile e
importante come sono spesso le battaglie delle minoranze contro le
opinioni, e l’inevitabile conformismo, delle maggioranze». Su questo
punto non siamo d’accordo: la resistenza sui temi etici non è né
disperata, né inesorabilmente minoritaria. L’irruzione della biopolitica
nella quotidianità, la pressione disgregativa a cui viene sottoposta la
famiglia, i dilemmi sulla vita e la morte posti dalla tecnoscienza,
hanno creato una inedita e vincente alleanza tra laici e cattolici, che
in Italia ha dato origine all’astensione di massa sul referendum del
giugno 2005. L’ intransigente difesa della vita umana è stata a lungo un
tratto distintivo dei cattolici, quasi un’esclusiva, e negli anni
Settanta sembrava una posizione indifendibile, una cittadella assediata
dalla rivoluzione antropologica postmoderna, destinata prima o poi a
cadere. Invece, l’area di consenso intorno al nucleo duro della tutela
della vita e della sua dignità si è allargata, superando anche la
divisione tra laici e cattolici, e non solo in Italia. In tutto il mondo
ormai nascono strane alleanze tra soggetti che hanno radici culturali e
ideologiche assai distanti (ambientalisti, cyberfemministe, movimenti
no-global), che trovano nella fermezza delle posizioni cattoliche un
punto di riferimento. Da noi, il referendum sulla procreazione assistita
ha creato uno schieramento trasversale che ha portato a casa una
vittoria di proporzioni schiaccianti e inaspettate; ma inaspettato è
stato anche il voto europeo sui limiti etici alla ricerca sugli
embrioni. Lo scarto tra maggioranza e minoranza, infatti, è stato
minimo, e tutti i gruppi parlamentari sono usciti dal voto lacerati. Sul
piano internazionale cresce la consapevolezza sull’impatto disgregativo
che alcuni “diritti” potrebbero avere sulla comunità, e cresce il
rifiuto etico nei confronti di pratiche manipolative che sfociano nella
selezione genetica e nell’indifferenza per la vita umana.
In questo nuovo panorama fitto di segnali in controtendenza, l’Italia ha
un’importanza centrale. Quella che è stata definita l’anomalia italiana,
diventa l’occasione per esercitare un ruolo di avanguardia e di traino
nei confronti della crescente ostilità all’ondata relativista che
rischia di sommergerci. Chi sembra non accorgersi della nuova situazione
è una parte del clero cattolico, tenacemente legato a vecchi moduli
interpretativi. Nell’intervista rilasciata dal cardinale Martini al
chirurgo e deputato ds Ignazio Marino sull’Espresso, per esempio, si
legge in filigrana l’idea di una Chiesa sempre in ritardo e in affanno
rispetto al progresso e alla scienza, una Chiesa a cui si chiede con
impazienza uno sforzo di aggiornamento e di apertura. C’è dietro l’idea
dello “scisma sommerso”, di una drammatica divaricazione tra i
comportamenti concreti dei fedeli e gli imperativi morali troppo rigidi
difesi dalle gerarchie ecclesiastiche. E c’è l’idea di una storia che
cammina verso una direzione di miglioramento, e di un radioso futuro a
cui l’evoluzione scientifica dà un contributo essenziale. Il cardinale
fornisce risposte prudenti, ma postula come terreno di incontro
possibile l’esistenza di una “zona grigia”, in cui le certezze etiche si
appannano, e i principi non negoziabili di Ratzinger sfumano in una
cauta negoziabilità. È questo il salvagente inadeguato a cui si
attaccano i cattolici di sinistra, accettando, consapevolmente o meno,
una posizione di subalternità culturale.
La irrinunciabilità di quei principi, l’esistenza di limiti certi e
invalicabili sono, invece, la vera forza del mondo cattolico, e il
motivo della sua rinnovata capacità di attrazione e di leadership. I
cattolici che vogliono stare a sinistra, devono verificare i margini di
compatibilità con la politica dell’Unione sui temi etici, e farlo
subito, prima di scoprire che si trovano più vicini a Fabio Mussi che al
Papa.
13 luglio 2006
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