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		Occasione irripetibiledi Pierluigi Mennitti
 da Ideazione di maggio-giugno 2006
 
 C’è qualcosa di molto più solido nel dato elettorale che lo 
		scorso mese sembra aver consegnato l’Italia a una fase di instabilità e 
		incertezza sotto l’egida di una flebile maggioranza parlamentare 
		dell’Unione. C’è il consolidamento dell’area politica e culturale di 
		centrodestra dopo tredici anni di transizione istituzionale; un’area 
		che, presentatasi al voto nelle condizioni peggiori possibili, è emersa 
		come un incubo per gli avversari, come una sorpresa per i sostenitori, 
		dalla nebbia dei sondaggi e degli exit poll, passando indenne attraverso 
		le pagine dei grandi quotidiani nazionali, le rappresentazioni 
		cinematografiche caricaturali, gli scaffali librari di saggistica e di 
		letteratura, appesantiti da studi e racconti che non studiano e non 
		raccontano nulla se non il piccolo mondo antico di una élite 
		autoreferenziale, perduta tra malinconie esistenziali e presunzioni 
		moralistiche. Dunque, la notizia uscita dalle urne è che la Right Nation 
		italiana esiste e non è un’invenzione intellettualistica. È fatta di 
		cittadini, elettori, schede, umori, passioni, idee, interessi, 
		comportamenti. E anche di riviste, fondazioni, centri culturali, piccoli 
		editori coraggiosi.
 
 Tutti insieme fanno la metà di questo paese, e sarebbero anche 
		elettoralmente maggioranza strutturale se solo avessero avuto una 
		rappresentanza politica migliore di quella che è stata loro fornita. 
		Qualcosa di più, ad esempio, della straordinaria vitalità di un leader 
		impolitico che a quasi settant’anni (e dopo dodici anni di scena 
		politica e cinque anni di logorio governativo) non ha pensato neppure 
		per un momento, in una campagna elettorale durissima e delegittimante, 
		di cedere di un millimetro, di mostrare il benché minimo complesso di 
		inferiorità verso la sinistra, di abbassare il capo di fronte 
		all’ennesima gioiosa macchina da guerra. Eppure Berlusconi era partito 
		svantaggiato, giacché non era stato capace di dare senso politico e 
		forma comunicativa a quell’embrionale e frammentario processo di 
		modernizzazione del paese che, pur tra mille difficoltà e troppi 
		ritardi, era stato comunque avviato. Ma adesso che gli elettori possono 
		misurare ogni giorno di più l’arretratezza del programma prodiano, 
		bocciato da tutti quegli analisti internazionali – dell’Economist, della 
		Heritage Foundation, del Financial Times – che la stessa sinistra aveva 
		elevato a giudici definitivi del berlusconismo e minacciato dalle spinte 
		centrifughe dei suoi delusi alleati, siamo certi che già rimpiangono il 
		caotico riformismo del centrodestra. Figuriamoci se fosse stato un 
		riformismo declinato con maggior senso politico, perché questo, in 
		fondo, chiedeva (e chiede) anche l’elettorato della Right Nation.
 
 La Right Nation italiana, dunque. Ideazione l’aveva già cercata oltre un 
		anno fa, sulle orme di quella americana, mirabilmente descritta da due 
		giornalisti dell’Economist – Adrian Wooldridge e John Micklethwait, nel 
		frattempo divenuto direttore – in un bel libro tradotto in italiano con 
		colpevole ritardo (e con un titolo che grida ancora vendetta, La destra 
		giusta) proprio dalla berlusconiana Mondadori, che in questo modo ne ha 
		smorzato l’impatto. Misteri del conflitto d’interesse. Nel primo numero 
		del 2005 avevamo tracciato i confini intellettuali della Right Nation 
		italiana, evidenziando l’effervescenza caotica ma creativa dei suoi 
		giornali di minoranza, delle sue riviste artigianali, delle fondazioni e 
		delle associazioni che producono grandi idee ma piccoli eventi, delle 
		smilze case editrici che raggiungono a malapena gli scaffali della 
		grande distribuzione, dei siti on line: mancava solo la descrizione del 
		nascente fenomeno dei blog, che di lì a un anno sarebbe esploso nel 
		successo di TocqueVille, l’aggregatore di 800 blogger di area liberale, 
		cattolica, conservatrice e riformista che rappresenta un laboratorio di 
		idee e passioni irrinunciabile per il centrodestra del futuro.
 
 Nello speciale di apertura dedicato alle elezioni, Andrea Mancia 
		fornisce una prima analisi sociologica della nostra Right Nation: 
		un’Italia assai diversa da quella della “maggioranza silenziosa” che 
		sostanziava il moderatismo democristiano e anche da quella delle 
		“partite Iva” sulla quale Forza Italia costruì il suo iniziale successo 
		negli anni Novanta. È un’Italia più consapevole e dotata di senso 
		comune, tendenzialmente conservatrice nei costumi e nei comportamenti, 
		ferocemente riformista e liberale nel campo economico e dei servizi, 
		innovativa e determinata nel confronto con il mondo e la 
		globalizzazione, ferma nella difesa dei valori occidentali e per questo 
		pronta a gettarsi nelle sfide del domani. È, anche e soprattutto, una 
		Right Nation giovane, che sfugge ai cliché fabbricati a tavolino 
		dall’intellighenzia di sinistra, che non la frequenta, dunque non la 
		conosce e se la figura a immagine e somiglianza dei propri pregiudizi. 
		Prendete la descrizione di una coppia tipica della destra statunitense 
		con la quale Wooldridge e Micklethwait aprono il loro libro: «Seduti su 
		un divano, con in mano un bicchierino di plastica pieno di caffè, Dustin 
		e Maura sembrano una coppia di ventenni iscritti a un corso di scrittura 
		creativa. Indossano felpe leggermente stropicciate, jeans e scarpe da 
		ginnastica.
 
 Dustin ha in testa un cappellino da baseball, Maura ha i capelli biondi 
		annodati dietro la nuca con un nastro di artigianato indiano americano. 
		Entrambi sono da poco laureati in lettere in un’università della East 
		Coast e hanno viaggiato in gran parte dell’Europa […] Quali sono le loro 
		posizioni politiche? Entrambi hanno lavorato per il Partito repubblicano 
		a Colorado Springs nel 2002. Entrambi sono a favore della vita in ogni 
		circostanza. Entrambi hanno subito considerato John Ashcroft, lo 
		spietato ministro della Giustizia, una persona degna di ammirazione […] 
		Entrambi vanno in chiesa ogni settimana. Entrambi sostengono con 
		passione i buoni scuola per chi frequenta istituti privati. Entrambi 
		pensano che il governo dovrebbe essere ridotto ai minimi termini e che 
		le pene detentive dovrebbero essere più severe. Entrambi considerano le 
		Nazioni Unite un’istituzione poco seria e condividono la decisione di 
		non aderire al Protocollo di Kyoto. Non sono invece d’accordo con la 
		destra su altri temi: per esempio non sopportano l’intolleranza nei 
		confronti degli omosessuali e, all’inizio, avevano forti dubbi sulla 
		possibilità di risolvere in modo unilaterale la questione Saddam 
		Hussein, anche se alla fine hanno sostenuto l’invasione dell’Iraq […] 
		Secondo Dustin e Maura, il conservatorismo è un credo progressista. Non 
		si tratta di vecchi abbarbicati al passato, ma di giovani che cercano di 
		cambiare il presente».
 
 Nonostante le differenze fra Stati Uniti ed Europa, la descrizione dei 
		due giovani conservatori americani a noi pare rispecchi quella dei 
		giovani di centrodestra italiani che conosciamo, soprattutto di quelli 
		non distanti dall’impegno politico, che negli ultimi tempi si sono 
		iscritti alla comunità di TocqueVille o che si sono avvicinati alla 
		nostra rivista, prima come lettori, poi anche come collaboratori. 
		Persone che non si riconoscono negli schemi cinematografici di Moretti o 
		nei veleni giustizialisti di Micromega o nei romanzi ammuffiti di 
		Tabucchi o in quelli apparentemente più freschi della nouvelle vogue 
		letteraria “de sinistra”; giovani che né il moralismo di Eugenio 
		Scalfari, né l’umoralità di Furio Colombo, né lo snobismo di Antonio 
		Padellaro riescono a incasellare.È una nuova generazione composta da 
		gente che viaggia, che studia, che non soffre complessi d’inferiorità 
		verso la sinistra anzi tende a sfidarla sui terreni conformisti del 
		politicamente corretto. Crede nei valori della famiglia ma non è 
		bigotta, crede nella sacralità della vita che difende di fronte al vuoto 
		di valori e di senso ereditato dallo scientismo, crede nella proprietà 
		privata, crede nelle ragioni di un Occidente fatto di democrazia e 
		libero mercato e sicurezza e tolleranza, rifiuta il relativismo 
		culturale frutto della smemoratezza delle proprie radici. È protagonista 
		delle sfide contemporanee e reclama una società più aperta e dinamica, 
		nella quale vengano valorizzati i talenti dei giovani e non solo difesi 
		i privilegi degli anziani. Coniuga il desiderio di meritocrazia con 
		l’attenzione per i deboli in un progetto che sappia, attraverso la 
		sussidiarietà (una sorta di versione italiana del conservatorismo 
		compassionevole), tenere assieme e viva una società effervescente e 
		solidale.
 
 A questa Right Nation, Forza Italia ha dato ospitalità e voce. Non 
		sempre con l’attenzione dovuta. Ma non si spiega altrimenti la 
		centralità ritrovata dal partito di Berlusconi, sia in termini numerici 
		(primo partito italiano) che geografici (prevalenza nelle regioni 
		sviluppate del Nord come nelle più dinamiche regioni del Mezzogiorno, 
		Puglia e Sicilia) se non con la capacità di rappresentare, seppur in 
		maniera confusa, questo vasto crogiuolo di passioni e interessi. E di 
		farlo a dispetto del logoramento di cinque anni di governo. Ecco perché, 
		al di là della conta numerica, il centrodestra non ha perso queste 
		elezioni ma può, a diritto, vantare una sorta di vittoria morale. La 
		Right Nation c’è e si è consolidata. Ora bisogna fornirle una 
		rappresentanza politica più adeguata, perché possa consolidarsi anche a 
		livello politico sul territorio e rilanciare la sfida della 
		modernizzazione del paese. Rinnovando le strutture dei partiti. 
		Rinnovando la classe dirigente: non è possibile perdere la guida delle 
		grandi città solo perché sono anni che non si riescono a trovare 
		candidati adeguati per vincere in città come Roma o Napoli o Torino o 
		Palermo. Ideazione ha accompagnato in questi tredici anni di vita 
		l’affermarsi di una Right Nation elettorale. Da oggi si assume il 
		compito di collaborare per costruire anche una Right Nation politica, 
		che sia all’altezza del compito che le è richiesto.
 
 09 maggio 2006
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