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		Sturzo, la modernità di un parroco sicilianodi Flavio Felice
 da Ideazione di maggio-giugno 2006
 
 «Se Sturzo fosse vivo oggi avrebbe centoventicinque anni», con queste 
		parole un noto intellettuale cattolico ed autorevole storico del 
		cattolicesimo democratico iniziò il suo intervento ad un convegno del 
		1996 che intendeva celebrare don Luigi Sturzo a centoventicinque anni 
		dalla nascita. La sentenza di morte del pensiero sturziano appare fin 
		troppo evidente dalle parole dell’autorevole studioso. Invero, una 
		simile sentenza è più che legittima e potremmo persino riconoscerle una 
		qualche utilità – quanto meno a frenare inopportuni ed opportunistici 
		apparentamenti – se non fosse altro che essa appare tutt’altro che 
		originale, ma già scritta ai tempi in cui Sturzo fondava il Partito 
		Popolare. Proprio così, sembrerebbe quasi che il messaggio sturziano sia 
		nato vecchio, o almeno tale sembrò a molti quando, nel 1919, da un 
		albergo al centro di Roma, il prete siciliano si appellò «a tutti gli 
		uomini liberi e forti», in un’epoca in cui si faceva strada l’idea che 
		tutto dovesse ridursi allo Stato onnipotente. Continuò ad apparire 
		vecchio durante gli anni del regime fascista e del suo lungo esislio, un 
		esilio che durò ben 22 anni. Ma ancor più vetuste apparvero le idee di 
		Sturzo quando, nel 1946, fece ritorno in Italia. Lui, che suo malgrado 
		aveva conosciuto una delle più grandi, antiche e – all’epoca – poche 
		democrazie della terra, torna in Italia con l’ansia tipica dell’esule e 
		rimane letteralmente atterrito dal grado di fascistizzazione di cui sono 
		stati vittima il suo paese e tanti dei suoi vecchi amici popolari.
 
 Dunque, non è una novità che a qualcuno quel pensiero sia apparso ed 
		appaia anche oggi non adatto ai tempi ed è legittimo sostenere che una 
		parte consistente della cultura politica cattolica abbia poco o nulla a 
		che fare con il popolarismo sturziano. Ad ogni modo, quali sono i punti 
		che caratterizzano il pensiero di Sturzo – il suo cattolicesimo liberale 
		– e che da sempre suonano così “fuori stagione”? Sturzo è figlio del suo 
		tempo, e del suo tempo visse le dispute più significative. Sturzo si 
		oppose decisamente tanto alla “pan-sociologia” comtiana, quanto 
		all’organicismo durkheimiano, tanto all’idealismo hegeliano quanto al 
		materialismo storico marxiano, mentre tentò di sviluppare – certo in un 
		modo originale – il principio di avalutatività rispetto ai valori di 
		matrice weberiana. I punti sensibili del suo percorso intellettuale 
		possono essere espressi nei seguenti quattro principi: la centralità 
		della persona, la libertà integrale ed indivisibile, l’antiperfettismo 
		sociale e la soggettività creativa. Rispetto alla centralità della 
		persona, Sturzo è inequivocabile sotto il profilo ontologico, 
		metodologico e politico: «L’unico vero agente della società è l’uomo 
		individuo in quanto associato con altri uomini a scopi determinati». In 
		secondo luogo, la libertà di cui gode la persona non può che essere una 
		libertà integrale ed indivisibile, in tal senso Sturzo entrò nel vivo 
		della disputa su liberismo-liberalismo: «Se la libertà è violata in 
		campo economico, è lesa anche, secondo me, in quello culturale, in 
		quello politico e sociale e viceversa. Non c’è esempio nella storia di 
		una libertà che stia insieme da sola».
 
 Riguardo all’antiperfettismo sociale, per Sturzo non esistono società 
		perfette, poiché tutte presentano i limiti che contraddistinguono la 
		costituzione fisica e morale della persona. Infine, per Sturzo la 
		soggettività creativa, in forza della quale gli individui cooperano per 
		rispondere ad una vocazione universale, li spingerà a dar vita ad 
		istituzioni politiche, economiche e culturali nelle quali potersi 
		realizzare. I quattro principi disegnano un programma intellettuale e 
		politico di matrice liberale, un liberalismo che Sturzo esprimerà in 
		ambito economico battendosi con forza contro le cosiddette tre «male 
		bestie»: la partitocrazia, lo statalismo e lo sperpero del denaro 
		pubblico: «Infatti dopo gli ammassi, i miliardi dell’inam, i deficit 
		della cinematografia, vengono pretenziose le iniziative eni, che pompano 
		il denaro pubblico […]; così noi possiamo registrare uno Stato non solo 
		“non sociale” ma “antisociale”, che disgrega, dissipa, disfa tutto 
		quello che pensa di promuovere a vantaggio del popolo».
 
		La risposta di Sturzo è incentrata sul ruolo attivo delle comunità 
		intermedie; lo statalismo si combatte facendo emergere dal basso le 
		forze vive della nazione. È questo il senso più profondo anche 
		dell’autonomismo sturziano. Il federalismo sturziano, di conseguenza, 
		non è una semplice devoluzione dei poteri dal “centro” verso altri 
		“centri” minori. Non che ciò non sia utile e, nel caso italiano, 
		evidentemente indispensabile, ma Sturzo lo giudicherebbe ancora 
		insufficiente: si corre il rischio che ad un centralismo si risponda con 
		tanti piccoli centralismi. Il suo federalismo sgorga dal principio di 
		sussidiarietà orizzontale e si propone di risolvere le difficoltà create 
		dalla centralizzazione illiberale del potere dello Stato attraverso il 
		ruolo attivo dei soggetti che compongono la società civile. Infine, il 
		federalismo di Sturzo è proiettato verso la dimensione europea senza 
		disconoscere il valore dell’identità nazionale: «Solo attraverso le 
		autonomie locali si prepara una vita nazionale sempre più viva e 
		coerente e una coesione internazionale sempre più effettiva e sentita».
 Credo che nessuno onestamente possa dire che cosa Sturzo avrebbe pensato 
		oggi della devolution, di sicuro non avrebbe urlato alla dissolution 
		nazionale, ma non avrebbe neppure brindato alla vittoria. Si sarebbe 
		battuto come un leone per migliorare la riforma, e in ogni caso non 
		l’avrebbe gettata tutta al macero. Disgraziatamente però dobbiamo 
		ammettere che Sturzo non ha eredi né nell’accademia né nella politica, 
		nella sua lunga vita ha avuto molti nemici, ha sofferto il dileggio e 
		l’emarginazione di coloro che lui chiamava i “sinistri dc” e la generale 
		indifferenza dei cattolici. Il contributo di Sturzo allo sviluppo delle 
		scienze sociali è ampio e complesso e con queste righe introduttive chi 
		scrive non pretende di aver esaurito gli elementi sensibili e gli 
		argomenti rilevanti; restano aperti altri problemi. Tuttavia, l’augurio 
		è che il sommario quadro concettuale appena esposto possa consentire al 
		lettore di assumere criticamente i contributi che seguono, con la 
		consapevolezza della immensa ricchezza scientifica e morale dalla quale 
		provengono.
 
 In conclusione, colgo l’occasione per ringraziare il Rettore della 
		Pontificia Università Lateranense, S.E. Mons. Prof. Rino Fisichella, ed 
		il Preside dell’Istituto Pastorale Redemptor Hominis della medesima 
		Università, il Prof. Denis Biju-Duval, nonché il dott. Giovanni 
		Palladino, Presidente del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo, per 
		aver reso possibile la realizzazione della serie di conferenze su 
		“L’opera di Luigi Sturzo nelle Scienze Sociali”, tenutesi presso 
		l’Istituto Redemptor Hominis durante l’Anno Accademico 2004/2005, che 
		“Ideazione” ha avuto la cortesia (e l’intelligenza) di proporre (in 
		parte) nel presente numero della rivista. Un ringraziamento speciale va 
		ai relatori (D. Antiseri, G. Morra, E. Guccione, U. Chiaramonte, S.E. 
		Mons. M. Pennini, M. Vitale, R. Pezzimenti) che hanno generosamente 
		risposto all’invito degli organizzatori ed acconsentito alla 
		pubblicazione dei loro interventi.
 
 09 maggio 2006
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