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        Esportare la democrazia, le risposte 
        dell’America 
        
        
		 di 
        Andrea 
        Mancia* 
        
		
      
              [11 gen 06] 
        
		da 
		Ideazione, gennaio-febbraio 2006 
         
        Ci sono molti modi per festeggiare una ricorrenza prestigiosa. Uno può 
        essere quello di auto-celebrarsi, un altro può essere quello di prendere 
        il nodo centrale della politica estera americana e offrirlo come tema di 
        dibattito ad alcuni dei protagonisti del panorama intellettuale a stelle 
        e strisce. In occasione del suo sessantesimo anniversario, il mensile 
        statunitense Commentary, considerato la casa intellettuale del 
        neoconservatorismo americano, ha scelto questa seconda strada. E ha 
        chiesto a 36 pensatori di altissimo livello – in maggioranza 
        appartenenti alla variegata galassia del conservatorismo anglosassone – 
        quale fosse la loro posizione attuale nei confronti della cosiddetta 
        Dottrina Bush. La premessa che fa da sfondo al dibattito è chiara. 
        Rispondendo ad un quadro della situazione internazionale profondamente 
        cambiato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, gli Stati 
        Uniti di George W. Bush hanno adottato un nuovo approccio alle politiche 
        di sicurezza nazionale. La Dottrina Bush enfatizza la necessità della 
        prevenzione per «affrontare i pericoli più gravi prima che questi 
        emergano». E sottolinea l’esigenza di trasformare le culture che 
        costituiscono l’humus dell’odio e del fanatismo islamico, promuovendo 
        democrazia e libertà in Medio Oriente (e non solo). Per usare le parole 
        dello stesso presidente: «Viviamo in tempi in cui la difesa della 
        libertà richiede l’espansione della democrazia». Questa radicale 
        inversione di rotta della politica estera americana ha provocato una 
        serie infinita di polemiche, «specialmente, ma non soltanto, sulla sua 
        applicabilità in genere e specialmente, ma non soltanto, sulla sua 
        applicazione in Iraq». 
         
        In gioco, scrive Commentary, c’è l’identificazione della precisa natura 
        dei pericoli che minacciano gli Stati Uniti e l’Occidente, le 
        particolari tattiche adottate dall’amministrazione Bush per fronteggiare 
        questi pericoli, la capacità dell’America di mantenere una salda rete di 
        relazioni con i suoi tradizionali alleati e i dubbi sulla buona fede 
        alla base di questa strategia globale. Le opinioni in materia non 
        dividono soltanto la Destra e la Sinistra, ma corrono trasversalmente 
        anche all’interno dello stesso movimento conservatore. Per fare 
        chiarezza sul punto, e registrare lo “stato dell’arte” del dibattito, 
        Commentary ha rivolto ai suoi interlocutori queste quattro domande: 1) 
        Qual era e quale è adesso la sua opinione sulla Dottrina Bush? Concorda 
        con la diagnosi della minaccia che stiamo affrontando e con la cura 
        proposta? 2) Ritiene che la Dottrina Bush stia riuscendo a rendere gli 
        Stati Uniti e il mondo più sicuri? Qual è la sua opinione sulle 
        prospettive a lungo termine di questa politica? 3) Esistono degli 
        aspetti particolari della politica americana, o di come 
        l’amministrazione la applica e la comunica, che cambierebbe senza 
        indugio? 4) Indipendentemente dalla sua opinione sulla definizione e 
        l’attuazione della Dottrina Bush, condivide la visione espansiva del 
        presidente del ruolo dell’America e delle sue responsabilità morali nel 
        mondo?  
         
        Storici, politologi, esperti di politica internazionale e strategia 
        militare, commentatori politici, economisti e sociologi hanno risposto 
        alle domande preparate dal mensile considerato la casa intellettuale del 
        neoconservatorismo americano, dando vita ad un “simposio” di eccezionale 
        qualità che Ideazione ha deciso di tradurre, almeno in parte, 
        selezionando alcuni interventi particolarmente significativi di 
        pensatori con un certo grado di notorietà anche in Italia. Le opinioni 
        di Natan Sharansky, Victor Davis Hanson, William F. Buckley Jr., Edward 
        N. Luttwak, Francis Fukuyama e Norman Podhoretz, però, non esauriscono 
        certamente la complessità e le diverse sfumature del dibattito in corso. 
        Senza pretese di esaustività, che rimandiamo ad una lettura integrale 
        degli interventi (disponibili in inglese a
        
        questo indirizzo), ci limitiamo a 
        ricordare come le opinioni della destra statunitense sulla Dottrina Bush 
        non siano affatto univoche. Se può sembrare quasi naturale che Paul 
        Berman o Francis Fukuyama esprimano un giudizio fortemente negativo 
        sull’intervento militare in Iraq, più significativo può essere 
        considerato il parziale ripensamento in corso nell’ala tradizionalmente 
        più realista del movimento conservatore. Se il fondatore della National 
        Review, William F. Buckley Jr., si definisce un «sostenitore del 
        presidente Bush, ma non della sua Dottrina», l’ex direttore di National 
        Interest, Owen Harries, giudica addirittura positivamente le difficoltà 
        che gli Stati Uniti stanno incontrando in Iraq, che hanno almeno 
        impedito all’amministrazione repubblicana di abbandonarsi ad altri 
        «pericolosi eccessi». 
         
        E così, per ogni neocon entusiasta della strategia americana, anche se 
        magari perplesso sulla sua applicazione concreta (soprattutto in Iraq), 
        c’è sempre un realista pronto a sollevare dubbi e critiche 
        sull’eccessivo coinvolgimento statunitense o che manifesta il proprio 
        scetticismo sulla possibilità di esportare la democrazia in Medio 
        Oriente. Altri, invece, contestano il fatto stesso che la Dottrina Bush 
        sia una novità rilevante nella storia americana, mettendo in luce la 
        continuità sostanziale nelle scelte di politica estera fatte dagli Stati 
        Uniti nel Ventesimo secolo. Si tratta di posizioni molto diverse tra 
        loro, spesso apparentemente inconciliabili, ma che – prese nel loro 
        insieme – contribuiscono a portare molto in alto il livello del 
        dibattito. Facilitando il compito di chi deve cercare di ricavarne una 
        sintesi politica applicabile nella realtà e dimostrando, se ce ne fosse 
        ancora bisogno, che nell’arena della battaglia per le idee la destra 
        americana, con tutte le sue sfaccettature, è sempre un serbatoio 
        inesauribile di stimoli e proposte innovative.  
         
        
		
        11 gennaio 2006 
		
        * 
        Andrea 
        Mancia, caporedattore di Ideazione 
		  
		 
         
          
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