Dalla rivoluzione dei blog nasce TocqueVille
di Andrea Mancia
da Ideazione, maggio-giugno 2005

Quando, tra qualche decennio, gli archeologi del futuro studieranno le rovine del nostro sistema dei mass media, forse scorgeranno nel 13 aprile 2005 il “punto di non-ritorno”: il giorno in cui tutto, non troppo inaspettatamente, è iniziato a crollare. E' stato proprio il 13 aprile, infatti, che il presidente di News Corporation, Rupert Murdoch, ha lanciato il suo accorato appello agli editori dei giornali, invitandoli ad abbracciare, in fretta e senza riserve, la rivoluzione digitale. Intervenendo a Washington, davanti alla platea dell’American Society of Newspaper Editors, il proprietario dell’impero editoriale su cui non tramonta mai il sole è andato dritto al punto, senza troppi giri di parole.

«Come molti di voi – ha detto Murdoch – sono un immigrante digitale. Non sono stato svezzato sul web, né coccolato da un computer. Al contrario, sono cresciuto in un mondo altamente centralizzato, in cui le notizie e le informazioni erano saldamente in mano a poche persone che si arrogavano il diritto di dirci cosa potevamo e dovevamo sapere. [...] Ma la prossima generazione che avrà accesso alle informazioni, tramite i giornali o qualsiasi altra fonte, ha aspettative diverse dalle nostre. E questo include il “quando” e il “come” ricevere le notizie, ma anche da “chi” e “dove” riceverle».

Murdoch cita i risultati di una ricerca pubblicata pochi mesi fa dalla Carnegie Corporation di New York, con l’eloquente titolo “Abandoning the News”, in cui viene dimostrato che nei prossimi anni il mondo dei mass media vedrà minacciata la propria stessa esistenza da parte dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Il rapporto Carnegie parla di una tendenza in grado di sconvolgere «i presupposti stessi del consumo di notizie e il processo di formazione delle decisioni in una società democratica». E i numeri utilizzati a sostegno di questa teoria sono impressionanti. Il 44 per cento dei giovani americani naviga su Internet almeno una volta al giorno per la ricerca di notizie, mentre soltanto il 19 per cento si affida ai giornali. Neppure la televisione (locale, nazionale o via-cavo) riesce a tenere il passo con la Rete, ma il distacco accusato dalla stampa è oggettivamente pesantissimo e destinato a crescere nei prossimi tre anni. Il web è considerato più flessibile, utile, divertente ed aggiornato della televisione, anche se leggermente meno affidabile. Mentre i giornali perdono il confronto con Internet e Tv anche nel campo dell’autorevolezza, da sempre un punto di forza della carta stampata.

Perfino nei mesi immediatamente precedenti allo scoppio della “grande bolla”, quando gli analisti, gli investitori e i millantatori di professione pronosticavano l’alba del glorioso sol dell’avvenire internettiano, il sistema dei mass media nel suo complesso non era mai stato seriamente minacciato dalla rivoluzione digitale. Ma quella era l’epoca dei “portali”, dei “canali interattivi” e delle grandi speculazioni in borsa. E da allora, con l’esplosione del fenomeno-blog, tutto è cambiato.

Un blog, contrazione dei termini “web” e “log” (diario, giornale di bordo), è in realtà un normalissimo sito Internet personale, che però non richiede alcuna specifica conoscenza tecnica per essere messo in rete. Si occupano di vari argomenti: dal gossip all’umorismo, dalle confessioni adolescenziali all’erotismo. Ma sono naturalmente i blog politici e di informazione che hanno avuto l’impatto più rilevante sui media tradizionali. Hugh Hewitt, polemista e conduttore radiofonico della destra statunitense, nel suo ultimo best-seller (ovviamente intitolato Blog) paragona l’avvento di questi “diari personali” alla sfida lanciata da Martin Lutero contro l’autorità papale. Una sfida resa possibile dalla diffusione della Bibbia con la stampa a caratteri mobili inventata da Gutenberg. Proprio come i blog sono nati grazie ad uno “strappo” tecnologico che ha reso possibile, anche per gli individui con scarse conoscenze informatiche, la pubblicazione dei propri pensieri su Internet.

Hewitt ha creato il proprio blog nel 2002. E in poco più di due anni è riuscito a guadagnarsi un seguito di lettori che sfiora le 150mila unità al giorno. Glenn Reynolds, con il suo Instapundit, è considerato una sorta di “papà della blogosfera”: professore di legge all’Università del Tennessee, repubblicano con più di una sfumatura libertarian, ha superato ormai da mesi i 300mila lettori quotidiani. Tre avvocati, due di Minneapolis (John H. Hinderaker e Scott W. Johnson) e uno di Washington (Paul Mirengoff), con il loro Powerline, sono stati un faro nella nebbia del giornalismo politically correct durante i momenti più difficili della guerra in Iraq. Charles Johnson, creatore di Little Green Footballs, ha sparato il primo colpo di cannone del blog swarming che ha affondato Dan Rather e la corazzata della Cbs nel settembre del 2004. Sia Powerline che Lgf, durante la corsa alla Casa Bianca, superavano abbondantemente i 200mila utenti giornalieri. E tutto questo mentre gli ascolti dei notiziari trasmessi sui network sono calati del 59 per cento negli ultimi vent’anni e appena la metà degli americani legge ormai i giornali.

Sono quattro esempi – non a caso tutti scelti sulla rive droite – di un fenomeno di massa che Business Week quantifica in nove milioni di blog pubblicati soltanto negli Usa. Con un ritmo di crescita vicino alle 40mila unità al giorno. In Europa il fronte dell’onda è all’orizzonte. In Italia, dove i lettori dei giornali sono già pochi, quest’onda potrebbe sommergere il sistema per sempre.

I blog della destra americana, come avevano fatto le talk-radio negli anni Ottanta, hanno avuto la forza di rimescolare gli equilibri di un sistema mediatico che si era allontanato sempre di più dal comune sentire di una larghissima parte della popolazione. I mainstream media, improvvisamente, si sono trovati con quattro milioni di occhi addosso, pronti a verificare ogni singola notizia, mettere in dubbio ogni interpretazione e smascherare ogni tentativo di manipolare la realtà. Quattro milioni di redattori ed editori, ogni giorno e a qualsiasi ora, hanno cominciato a mettere in dubbio l’autorevolezza dei media tradizionali e sono riusciti più di una volta a cambiare il corso degli eventi.

Nell’estate dello scorso anno, è stato grazie alla testardaggine di un pugno di blogger repubblicani che le bugie raccontate da John F. Kerry sul suo passato in Vietnam, denunciate dagli Swift Boat Veterans for Truth nel libro Unfit for Command, hanno superato il muro difensivo dei media tradizionali. E i network televisivi, dopo un mese di tempesta digitale nella blogosfera, sono stati praticamente costretti ad affrontare l’argomento. Dan Rather ha perso la conduzione di 60 minutes dopo che i documenti falsi che accusavano Bush di aver goduto di un trattamento di favore durante gli anni del Vietnam sono stati messi in discussione dai blog filo-repubblicani. E denunciati sulla pubblica piazza da migliaia di “esperti”, molti dei quali più affidabili di quelli interpellati dalla Cbs. L’offensiva degli Swifties e il flop della Cbs, secondo un buon numero di analisti, sono stati due dei fattori principali della sconfitta di Kerry.

Episodi simili, naturalmente, sono accaduti anche dall’altra parte della barricata. Il movimento d’opinione che ha costretto Trent Lott a rinunciare alla leadership dei repubblicani al Senato è nato nella trincea sinistra della blogosfera (anche se molti blogger di destra hanno partecipato all’offensiva), dopo che il vecchio Lott si era lasciato andare a nostalgie di sapore razzista. Ma c’è qualcosa, a parte naturalmente le rispettive idee politiche, che distingue in maniera netta i blogger della destra americana da quelli della sinistra. In uno studio scientifico condotto sul ruolo dei blog politici durante la campagna per le presidenziali del 2004 (“Divided they Blog”), Lada Adamic e Natalie Glance hanno scoperto che, malgrado ogni apparenza, i blog della sinistra sono più numerosi di quelli della Right Nation, ma che questi ultimi sono più collegati tra loro, più “ospitali” verso i nuovi arrivati, meno gelosi della notorietà raggiunta e più disponibili a cedere una parte del proprio traffico ai blog meno frequentati. In una parola, i blog di destra fanno network. E lo fanno meglio di quelli di sinistra.

Si tratta di una scoperta clamorosa, soprattutto per noi italiani, abituati ad un cronico ed elevatissimo tasso di litigiosità nella coalizione di centrodestra, quasi assuefatti da decenni in cui liberali e conservatori hanno marciato in ordine sparso, più attenti a preservare le proprie piccole nicchie di visibilità o di potere, piuttosto che lavorare per un obiettivo comune. Ma questa tendenza è forse destinata a scavalcare i confini americani. Quando, poche settimane fa, Ideazione ha deciso di tentare un esperimento di aggregazione per blog liberali, conservatori (neo, paleo, post) e riformatori, la risposta della blogosfera italiana è stata massiccia. In pochi giorni, centinaia di blog hanno aderito all’iniziativa, seppure allo stato embrionale, e hanno cominciato a fare network, a stabilire obiettivi, temi di discussione e priorità.

Hanno scelto democraticamente un nome (TocqueVille) e discusso sul simbolo. Tra qualche giorno, gli interventi più interessanti saranno pubblicati su una pagina comune (www.tocque-ville.it) e i blogger potranno iniziare a confrontarsi, anche duramente, sui temi che formeranno l’agenda politica dei prossimi anni. Qualcuno se ne andrà, naturalmente, ma qualcuno arriverà a prendere il suo posto. L’equilibrio politico dell’aggregazione è destinato a cambiare nel tempo, con i ritmi dettati dalle idee dei cittadini che compongono questa città virtuale e dagli sviluppi dell’attualità italiana ed internazionale. Altre aggregazioni si formeranno, in competizione o in opposizione a TocqueVille. Alcune, sempre allo stato embrionale, si stanno già formando. Sono i “cluster” (agglomerati, grappoli) di cui scrive Giuseppe Granieri nel suo splendido Blog Generation edito da Laterza (in cui però, curiosamente, viene citato nove volte Lott e neppure una Rather o gli Swifties), contrapponendoli alla classica distribuzione verticale delle informazioni a cui siamo abituati. Sono gli sciami di insetti di cui parla Hewitt quando descrive i blog swarming che hanno sconvolto la politica americana. Questi grumi di persone e di idee sono destinati a diffondersi, moltiplicarsi, accoppiarsi e separarsi, morire e nascere. In parte verranno assorbiti dai media tradizionali e in parte ne saranno respinti. Una sola cosa è certa: chi è convinto che la realtà (mediatica e politica) come la conosciamo oggi sia destinata a durare in eterno, si sbaglia di grosso. Perché una volta che i cittadini sono riusciti a far sentire la propria voce nella big conversation, indietro non si torna.

14 giugno 2005

mancia@ideazione.com

 


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