Il Pontefice più laico di questo secolo
di Franco Oliva
da Ideazione, settembre-ottobre 1998
Può un laico, non importa se credente o meno, esprimere un giudizio
positivo sul pontificato di Karol Wojtyla? Prima di azzardare una
risposta, occorre intendersi sulla premessa. “Laico” è uno di quei
termini – come “liberale” e “democratico” - che assume connotati diversi
a seconda di chi lo definisce. Più o meno volutamente, molto spesso si
fa confusione e si usa “laico”, in un contesto religioso, invece di
“anticlericale” o di “non credente” o addirittura di “ateo” e, in un
ambito politico-culturale, come l’equivalente di “sinistra” quando non
di “marxista”. Un’accezione non etichettata di “laico” sottende, invece,
concetti come tolleranza, rispetto reciproco, sincera attenzione per
l’altro, mancanza di pregiudizi ideologici o religiosi. Se questa è la
chiave di lettura, bisogna allora prendere subito le distanze da quei
“laici” che non hanno mai perdonato a Wojtyla di averli delusi, di non
essere stato cioè il “papa del socialismo dal volto umano” o del
“socialismo cristiano”, come avevano pronosticato alla nomina del
giovane cardinale polacco, che sembrava più aperto al dialogo con i
comunisti di quanto non fosse il primate di Polonia, l’intransigente
cardinale Wyszynski. Non gli hanno mai perdonato la “pretesa” di
ritenere che la Chiesa possieda una propria dottrina sulla giustizia
sociale che nulla ha da imparare da altre teorie, contrapponendosi a
quella Teologia della Liberazione, nata nel Terzo Mondo, che si serviva
degli strumenti marxisti di analisi sociale ed economiche del reale per
interpretare il Vangelo e la missione della Chiesa.
Prima della disintegrazione del muro di Berlino e del disfacimento
dell’impero sovietico, quando ancora era tutt’altro che sicuro l’esito
della sua lotta contro il comunismo, il papa polacco era stato messo
all’indice dalla cultura di matrice marxista allora dominante. Fu
accusato di ogni nefandezza teologica, di essere l’affossatore del
Concilio Vaticano II, di essere un conservatore e un integralista
teocratico. Ci fu chi arrivò a indicarlo come responsabile di
un’eventuale e possibile terza guerra mondiale, fin quasi a legittimare
il fatto che le sue posizioni avessero potuto armare la mano degli
attentatori. E, subdolamente, si cercò di smitizzare e sminuire il
personaggio insistendo, in maniera quasi irridente, sul suo passato di
attore ridicolizzando il suo carisma di Grande Comunicatore. Lo stesso
trattamento – punto per punto, con un’analogia che dovrebbe far
riflettere – fu riservato all’altro protagonista, Ronald Reagan, con il
quale Giovanni Paolo II ha condiviso il palcoscenico mondiale negli otto
anni decisivi della resa dei conti finale con l’impero sovietico. Molti
critici, da allora, sono saliti sul carro dei vincitori. E molti di loro
non disdegnerebbero un miracolo che cancellasse dalle loro pagine ormai
sbiadite affermazioni clamorosamente smentite dai fatti e giudizi che
vanno in controtendenza con la Storia. In assenza di un intervento
divino, sono costretti impegnarsi in improbe e improbabili dimostrazioni
che non sono stati loro a sbagliare.
E’ stato Giovanni Paolo II a cambiare, a ravvedersi, a scoprire con
resipiscenza senile la tolleranza, l’ecumenismo, una visione positiva e
ottimistica dell’uomo all’alba del terzo millennio. E, così, è diventato
più agevole e meno eroico per i “laici” senza etichette ulteriori
valutare la portata e il contributo di questo pontificato soprattutto in
rapporto e in prospettiva alle sfide alle quali l’uomo e l’umanità sono
chiamate a rispondere. Prima di azzardare un qualsiasi giudizio sui due
decenni di pontificato di Giovanni Paolo II, è doveroso porsi una
domanda: quale metro si può e si deve utilizzare per giudicare un uomo
che centinaia di milioni di cattolici, in tutto il mondo, considerano il
Vicario di Cristo sulla Terra e chiamano Santo Padre? Anche chi non è
disposto a riconoscere in tutto o in parte la sacralità del suo carisma,
deve comunque riconoscere che un Papa - lo si voglia o meno - non è un
uomo come tutti gli altri. E’ una verità, infatti, anche se l’immagine è
abusata, che non si può calcolare il suo peso nell’attualità e nella
storia in base alla consistenza delle divisioni che è in grado di
schierare, in risposta alla rozza e arrogante sfida di Stalin. E
bisogna, poi, concordare con lo scrittore Vittorio Messori che “la sua
testimonianza di verità, il suo servizio nella carità si estendono a
ogni uomo, come mostra anche il prestigio indiscusso che la Santa Sede
ha sempre più acquisto sulla scena mondiale”. Ma proprio perciò non ci
si può esimere dall’analizzare e valutare l’importanza e l’estensione
dell’influenza che un Papa può esercitare sulla politica, sulla cultura,
sulla società: per dirla in breve, sulle vicende dell’umanità intera.
E’ forte la tentazione di rifarsi, anche per questa Papa, a schemi come
“destra-sinistra” o come “conservatore-progressista”. Ma tali schemi –
come afferma ancora Messori – “mostrano una volta di più la loro totale
inadeguatezza, il loro aspetto fuorviante”, in quanto “le gabbie delle
sempre mutevoli ideologie mondane sono lontanissime dalla visione
‘apocalittica’ (nel senso etimologico di rivelazione, di svelamento del
piano provvidenziale) che pervade il magistero di questo Pontefice”. Un
terreno, questo del soprannaturale, che non è agevole per un laico, per
il quale non è tanto l’insegnamento religioso di un Papa ad essere
importante e significativo, quanto il “messaggio” generale che promana
dall’attività di un Pontefice nel suo complesso di azioni e parole. E’
un messaggio che ha un’interazione con il “secolo”: ne è influenzato e,
a sua volta, lo influenza. Così, Pio XII appare circonfuso di un’aura di
ieratica autorità e prestigio, nel momento in cui il mondo sbandava e si
dilaniava in guerre calde e fredde, dimenticando e calpestando regole e
valori di civiltà. Giovanni XXIII è ricordato come il campione del
dialogo e ottimismo e nell’iconografia popolare viene santificato
insieme a Kennedy e Kruscev, due santi per la verità molto improbabili
ma in qualche misura simboli del desiderio di coesistenza pacifica.
Paolo VI è l’icona del dubbio e del tormento intellettuale, con
l’immagine ferma sull’appello agli “uomini” delle BR e il “rimprovero a
Dio” ai funerali di Aldo Moro, alla fine del suo pontificato e della sua
vita.
Allora, qual è il messaggio complessivo che arriva da Giovanni Paolo II?
Va detto che suoi meriti “laici” sono riconosciuti anche dai suoi
critici più severi, come il giornalista spagnolo Juan Arias, autore di
un polemico “Giovanni Paolo II: assolutismo e misericordia”. Anzi, gli
si fa quasi una colpa di essere “accettato più fuori che dentro la
Chiesa”. Più che carismatico, è considerato un Papa atipico, poco
clericale, con una grande forza popolare, naturalissimo in tutti i suoi
gesti: “Si può dire che sia stato il Papa più laico di questo secolo,
nonostante sia al tempo stesso un papa con una forte carica mistica.
Wojtyla ha contribuito molto a desacralizzare il papato, anche se
paradossalmente ha rafforzato l’immagine del Papa in quanto tale.” Il
primo dato, quello più immediato e appariscente, ma che non è certo
indifferente per una valutazione “laica” di questo pontificato è la
rottura con il passato che esso ha realizzato. Una rottura che è
irreversibile, anche e soprattutto perché ha limitato moltissimo il
potere della Curia romana, l’unica capace in passato di condizionare la
condotta di un pontefice. Giovanni Paolo II è stato chiamato il “Papa
della prima volta”, a suggello del fatto che si è impegnato a stabilire
record e a creare precedenti che hanno stupito per la loro
eccezionalità, ma dei quali non si potrà non tenere conto in futuro.
È l’unico Papa giunto al pontificato con un’esperienza lavorativa; è
l’unico Papa di cui si dica che abbia sperimentato almeno nel cuore
l’amore profano, per una donna; è un Papa che non ha timore e pudore di
essersi occupato nelle poesie, nelle opere teatrali, negli scritti
autobiografici di sensazioni, pulsioni, storie non di carattere
strettamente religioso; è un Papa che, prima e dopo l’ascesa al soglio
di Pietro, ha visitato il mondo – dalle grandi città ai più sperduti
villaggi – cogliendone e apprezzandone i problemi, ma anche i colori, i
sapori, le palpitazioni. Inoltre, ha sciato; ha fatto il bagno in
costume nella sua piscina al Vaticano, anche in casta promiscuità con
alcune giovani amiche di famiglia, ha indossato il golf sulla tunica
papale; ha cantato e giocato con i ragazzi di tutto il mondo; si è fatto
intervistare sulla carta stampata e in televisione; si è fatto
ricoverare in un ospedale pubblico, senza nascondere la sua fragilità di
uomo come tutti gli altri. Questo suo modo d’essere è alla base del suo
grande successo popolare, che deriva anche dall’innegabile carica di
partecipazione, addirittura fisica, che riesce a trasmettere a chi lo
vede o lo ascolta. Ha detto un suo collaboratore: “Per sapere davvero
chi sia Giovani Paolo II bisogna vederlo pregare, soprattutto
nell’intimità della sua cappella privata”. Credo che sia vero, avendo
ricevuto conferme da sacerdoti che hanno avuto occasione di partecipare
a una messa mattutina da lui celebrata e sono stati testimoni diretti
della sua grande sofferenza fisica e della sua altrettanto grande e
quasi mistica partecipazione al rito della Messa.
Io stesso confesso di aver mutato, in positivo, il mio approccio a
questo Papa dopo averlo casualmente visto a breve distanza nel corso di
una cerimonia pasquale all’interno della Basilica di S. Pietro: mi
impressionò la compostezza del suo atteggiamento e l’intensità della sua
concentrazione. Ammetto che non si tratta di un argomento molto laico o
sufficientemente oggettivo di valutazione, ma in questo genere di cose
contano anche le sensazioni o i messaggi subliminali. Questo Grande
Comunicatore riesce ad arrivare dritto alla sfera emotiva della “gente”
(non solo i fedeli), anche se però non sempre ne “buca” il cuore. Sono
tanti (anche e soprattutto fra i giovani) coloro che ne subiscono il
fascino ma non ne condividono le idee e non ne seguono l’insegnamento,
soprattutto in tema di morale sessuale. Qualcuno lo ha addirittura
paragonato a Benito Mussolini, non tanto e non solo per il suo presunto
autoritarismo quanto per il suo gusto scenico e la sua magistrale
utilizzazione dei mezzi di comunicazione di massa. In effetti – come è
stato detto - è un Papa delle masse e possiede senza dubbio tutte le
doti dell’attore quando deve affrontare il suo pubblico. “Un Papa che
soggioga le masse, che attrae come una calamita, che la gente più che
ascoltare desidera toccare.” E lui agisce e parla con la consapevolezza
di essere ormai nella Storia. Le masse, non solo i credenti
cristiano-cattolici, subiscono l’attrazione del “mito”, una specie di
continuo presenzialismo per poter dire oggi e soprattutto domani –
magari a se stessi – “io c’ero” o “io l’ho visto, l’ho ascoltato, l’ho
toccato”.
Eppure non bisogna fare l’errore di considerarlo soltanto un personaggio
mediatico. Si dice che sarà ricordato per quello che ha fatto ma non per
quello che ha detto. Se è vero, è un peccato, perché non c’è stato un
Papa che abbia prodotto tante encicliche, lettere pastorali, messaggi,
discorsi, omelie, preghiere, poesie, memoriali, addirittura opere
teatrali. Una mole enorme di dottrina e letteratura, che per la prima
volta nella storia è a disposizione di tutti nelle librerie e,
gratuitamente, negli archivi informatici di Internet. Varrebbe la pena,
con laica umiltà, di leggere o rileggere qualcuno di questi documenti
firmati e quasi integralmente scritti di proprio pugno da Wojtyla, per
meglio comprendere gli atti e la “filosofia” di questo pontefice
controverso quanto si vuole, ma non certamente tutto immagine e niente
sostanza come viene spesso rappresentato da una pubblicistica
superficiale. Chi vuole, a polverone anche retorico sedimentato,
approfondire la dottrina sociale di Giovanni Paolo II, che è poi quella
ufficiale e unica della Chiesa, e insieme ripercorrere le tappe della
caduta del comunismo può affidarsi all’enciclica “Centesimus Annus”,
pubblicata nel 1991 per ricordare la “Rerurum Novarum” di cento anni
prima. E’ lì che il Papa solleva il grido di allerta sul pericolo di un
ateismo marxista soppiantato dall’ateismo materialista del consumismo
dei popoli ricchi a spese dei più poveri della terra costretti così alla
fame.
Già prima di essere Papa e prima della caduta del muro di Berlino,
Wojtyla dichiarava di non sentirsi a suo agio “né a Varsavia né a New
York”, né con il comunismo né con il capitalismo. E in seguito ha più
volte alzato la voce contro il capitalismo selvaggio che minaccia la
società contemporanea dopo la caduta del comunismo. Un altro documento
che meriterebbe di essere consultato è la lettera apostolica “Tertio
Millennio Adveniente”, con la quale nel novembre 1994 annunciò il Grande
Giubileo del 2000. Gli anticlericali da macchietta, gli affaristi senza
scrupoli, i politici e gli amministratori da strapazzo che si affannano
e si azzuffano pro e contro l’Anno Santo dovrebbero almeno cercare di
capire che cosa esso significhi per la Chiesa e per questo Papa che ha
finalizzato tutto il suo ormai lungo pontificato ad assicurare che anche
nel nuovo millennio in arrivo il cattolicesimo abbia un ruolo di guida
spirituale e morale. E’ una risposta anche a tutti gli improvvisati guru
della confusa “religione fai-da-te” che passa sotto il nome più esotico
di New Age e che tanto affascina tanti “laici” di complemento. Ed è un
segno importante per quanti pretendono che al rispetto per la Chiesa
corrisponda altrettanto rispetto da parte della Chiesa per quanti non
sono stati e non sono disposti a seguirne ciecamente le indicazioni e i
precetti.
Nel momento di promulgare il Giubileo, il Papa ha deciso che,
ripercorrendo il millennio che sta per concludersi, sia arrivata l’ora
di chiedere perdono al mondo per gli errori commessi dalla Chiesa nella
sua storia, a cominciare dagli abusi dell’Inquisizione (nella linea
della riabilitazione di Galilei). Abusi che per secoli hanno scosso la
coscienza dei veri laici e ne hanno alimentato la diffidenza, se non
spesso l’avversione, nei confronti della Chiesa Cattolica. È stato già
fissato per l’8 marzo del 2000, il mercoledì delle Ceneri, un gesto
clamoroso “di grande spessore profetico” con una richiesta di perdono da
parte del Pontefice per i torti storici commessi in nome della fede,
anche da presuli e prelati. Una decisione – ammettono anche i critici di
Wojtyla - che ha presupposto non solo un grande coraggio ma anche un
ribaltamento importante della sua rigida concezione della Chiesa come
società perfetta. Significa negare buona parte della teologia teocratica
e la sua visione della Chiesa come centro di tutte le perfezioni e di
tutti i valori religiosi e umani. La concezione totalitaria della verità
rivelata, che risiederebbe “tutta” nella Chiesa cattolica, renderebbe
impraticabile il dialogo interreligioso tra cristiani e con le altre
fedi. Così come una concezione secondo la quale non esisterebbe alcun
tipo di libertà che non abbia il suo fondamento nella libertà religiosa
per cui si potrebbe anche rinunciare a una parte della libertà puramente
umana al fine di assicurare ai cittadini quella relativa alla religione,
che è il bene supremo. Un chiaro pronunciamento in questo senso sarebbe
un buon viatico per il Terzo Millennio e un ulteriore merito storico per
questo Papa storico.
Certo, il rispetto per gli altri e il dialogo non possono e non devono
annullare le differenze e anche divergenze religiose e culturali. Le
ammucchiate sincretiche fanno parte di quelle “false interpretazioni del
Concilio”, denunciate dal cardinale Ratzinger, nel suo “Rapporto sulla
fede” stilato in collaborazione con Vittorio Messori. Spiega il teologo
preferito del Papa: “E’ arrivato il tempo di riguadagnare il coraggio
dell’anticonformismo, la capacità di opporsi, di denunciare molte delle
tendenze della cultura che ci circonda, rinunciando a una certa euforica
solidarietà postconciliare.” Era quello che il neo-eletto Giovanni Paolo
II intendeva quando, nel suo primo discorso, quasi intimò ai cattolici:
“Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!” Un invito che ha
continuato a ripetere e che è alla base dell’esplosione dei movimenti
laici e religiosi scesi in campo nella società con ardore missionario ai
limiti dell’integralismo. Ma può anche essere letto, laicamente, come un
invito a un confronto e un dialogo senza schemi precostituiti e senza,
appunto, conformismi. Una sfida che i laici non possono e non debbono
respingere, perché comunque con i cattolici si ritroveranno nei prossimi
anni ad affrontare temi come i valori della vita, la genetica, lo
sviluppo sociale ed economico. Temi ai quali non si può sfuggire e per i
quali non esiste una soluzione monopolistica, facile e scontata.
01 aprile 2005 |