Formigoni ricomincia da tre
di Adalberto Signore
da Ideazione, marzo-aprile 2005

Il bel mondo ambrosiano, capofila di ceti intellettuali, nuovi mestieri e associazionismo diffuso ci credeva. Credeva all’idea di una lista Formigoni, un progetto riformista capace di andare oltre le consolidate mura della Casa delle Libertà e ampliare le prospettive del centrodestra in vista di un futuro in cui i leader della maggioranza di governo si troveranno seduti a un tavolo per decidere chi di loro avrà l’onore e l’onere di prendere il posto di Silvio Berlusconi. Perché che sia domani o fra cento anni, non c’è dubbio che nella Casa delle Libertà l’argomento è ormai da qualche tempo all’ordine del giorno. Grazie pure a quella battuta che del presidente del Consiglio nella conferenza stampa che ha chiuso l’anno appena passato. «La presidenza della Repubblica? Io sono a disposizione», ha detto il premier lo scorso 30 dicembre consegnando ai giornalisti il primo titolo di giornali e telegiornali.

Così, quello che Roberto Formigoni ha cercato di concretizzare in questi ultimi mesi, mettendo sul piatto i suoi dieci anni alla guida della regione Lombardia, era un progetto che guardava al futuro anche in quest’ottica. La scomposizione del quadro, magari il terzo polo di cui tanto si è vagheggiato. Una spinta decisa alla variegata galassia del terzismo milanese destinata – nell’idea del suo fautore – a diventare laboratorio politico del paese. Un progetto che, almeno per il momento, si è arenato sugli scogli di un asse che dal 2001 pare davvero d’acciaio. E cioè quell’incredibile intesa tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi che ormai da qualche anno ha portato la quasi totalità dei notisti politici a parlare del Senatùr e della Lega come del «migliore e più fedele alleato del Cavaliere».

È in questa breccia, che sta tra il presente e il futuro della politica italiana, che Formigoni ha tentato di inserirsi. Nel suo ufficio al trentesimo piano del grattacielo Pirelli, dal maggio del 1995 è il presidente della Lombardia, una regione ricca e popolosa come l’Austria che vale un terzo dell’interscambio italiano e che ha un Prodotto interno lordo di circa 260 miliardi di euro, superiore a quello di nazioni come Belgio e Portogallo. Un ente regionale, ma anche una potenza economico-politica che intrattiene rapporti diplomatici con tutto il mondo. Il tutto con circa duemila dipendenti, un numero che se fosse un’azienda privata metterebbe la Regione tra le prime imprese del paese. Formigoni, che si prepara a essere rieletto governatore per la terza volta consecutiva, è un po’ il simbolo di questa regione e dei suoi molti primati. Cinquantotto anni, una gioventù trascorsa a Lecco e un’educazione fatta di valori e di una certa severità («non avevamo la televisione, potevamo andarla a vedere dai vicini solo una volta a settimana»), dopo il liceo Formigoni frequenta ingegneria per due anni per accontentare il padre (che lo vuole ingegnere) e la madre (che lo vuole professionista). Poi capisce che non fa per lui e passa a filosofia, alla Cattolica. È lì che il giovane Roberto incontra la politica e Comunione e liberazione («fu un’apertura a un cristianesimo straordinariamente ricco e vivace»). E così dopo la laurea, un corso di studi di economia alla Sorbona e due anni di insegnamento nella sua Lecco, a metà degli anni Settanta fonda il Movimento popolare. Negli anni del terrorismo, della grande avanzata del Pci e della crisi della Democrazia cristiana, il suo obiettivo è quello di «rilanciare il cattolicesimo nella società». Il suo primo vero successo arriva otto anni dopo, alle Europee del 1984. Candidato all’Europarlamento, Formigoni sconfigge per 64mila voti Oscar Luigi Scalfaro, avversario nel suo stesso collegio nonché ministro degli Interni in carica. Ancora oggi confida compiaciuto: «Non me l’ha mai perdonata».

Poi, nel ’95 è arrivata la presidenza della Regione. Con un successo dietro l’altro, dovuto pure a un’instancabile voglia di essere sempre in prima fila e a un’ottima strategia comunicativa. Con lui, la Lombardia ha realizzato l’aeroporto di Malpensa («nella data in cui ci eravamo prefissati, il 25 ottobre 1998»), il tunnel di Lecco («aperto il 25 ottobre 1999»), la quarta corsia dell’autostrada Milano-Malpensa e si potrebbe andare avanti. Una delle riforme di cui va più fiero è quella sanitaria. «Ha dato al cittadino – non si stancherà mai di ripetere – la libertà di scegliere il medico di fiducia, il laboratorio nel quale fare le analisi, l’ospedale in cui farsi ricoverare. Ieri chi voleva avere le cure gratis poteva andare solo negli ospedali pubblici, oggi ha la possibilità di andare anche in alcuni ospedali privati di grandissimo nome dove può farsi curare o operare gratuitamente. Paga il servizio sanitario regionale». Eppoi la guerra alla burocrazia, con progetti di e-government (la pubblica amministrazione su Internet) per un valore di cento milioni di euro coordinati insieme al ministero per l’Innovazione e le tecnologie guidato da Lucio Stanca, i buoni scuola per le famiglie meno abbienti, la comunicazione ai cittadini dell’operato della Regione (in tutte le province lombarde è stato aperto uno sportello “Spazio Regione” dove si possono chiedere informazioni e nel 2004 sono stati spesi 20 milioni di euro per la comunicazione istituzionale). Ma, soprattutto, c’è il grande sforzo per aprire l’imprenditoria lombarda ai nuovi mercati. Da qui, le decine e decine di viaggi di un presidente di Regione che in alcuni periodi ha girato il mondo, quasi fosse un ministro degli Esteri. Portandosi sempre dietro il fior fiore dell’imprenditoria lombarda. Formigoni ha aperto “ambasciate” a Bruxelles, ma pure a New York, Canton e Shangai. E anche questo fa parte di quel progetto “terzista” a cui il governatore ha a lungo lavorato. Ma non c’è dubbio che, al di là del ritorno politico e d’immagine, Formigoni abbia pure dato una grossa spinta alle imprese della Regione. «Quanto più esportiamo – ha detto in tante occasioni – tanto più siamo chiamati a produrre, tanto più cresce l’occupazione». E i numeri gli danno ragione: quando si è insediato, nel 1995, la disoccupazione era al 7,1 per cento, oggi si aggira intorno al 3,7.

Insomma, Formigoni è questo e altro. Perché non si può non ricordare il rilancio dell’area ex Alfa Romeo ad Arese e il salvataggio del centro di ricerca Pfizer di Nervino (tenuto conto che in gioco c’era la salvaguardia del lavoro di mille persone e delle loro famiglie), ma pure perché oggi quello che resta del governatore lombardo è un terzo mandato praticamente scontato (il suo avversario Riccardo Sarfatti non è nemmeno vagamente in grado di impensierirlo) e un dilemma. Cosa da fare da grande. Restare un ottimo amministratore locale senza, però, troppo peso sui Palazzi della politica di Roma o tentare il grande salto, magari come ministro se la Casa delle Libertà dovesse vincere le elezioni politiche del 2006. La domanda, è ovvio, non ha ancora una soluzione. Perché di tempo ne manca molto, certo, ma pure perché dopo aver perso la battaglia sul listino del governatore Formigoni pare un po’ ridimensionato. «Se Berlusconi si dovesse ritirare, credo di potermi sedere al tavolo con Fini, Casini, Pisanu e Tremonti per la successione», ha detto qualche giono fa su RaiTre. Viva la sincerità. E apriti cielo. Perché parole come queste non possono che confortare i sostenitori del riformismo lombardo. E, allo stesso tempo, mettere in allarme quella parte consistente di Forza Italia che non gradisce le “manovre terziste” del governatore. E pure Berlusconi – che di cose di cui occuparsi ne ha molte – non poteva certo legittimare uno strappo in Lombardia, che aveva l’obiettivo dichiarato di trasformare la Casa delle Libertà in qualcosa di diverso da quello che è ora («andare oltre il patto fondante della CdL firmato nel 2000», ha fatto notare qualche alleato). E così il presidente del Consiglio ha messo il governatore alle strette e lo ha costretto a recedere dall’idea del listino. Già, perché è proprio in quei quindici nomi che Formigoni avrebbe inserito tutti i suoi uomini, portandoli prima in Consiglio regionale e poi, almeno molti di loro, in giunta come assessori.

Ora, invece, bisognerà vedere come reagiranno gli amici “delusi”: da Giancarlo Cesana a Giorgio Vittadini, da Luigi Amicone a Roberto Fontolan. E poi i riformisti come l’ex sindaco Piero Borghini (prima Pci e poi craxiano, oggi assessore), Sergio Scalpelli, Carlo Fontana (sovrintendente della Scala), Salvatore Carruba (assessore alla Cultura) e l’associazione Milano 06 (animata dall’ex rettore del Politecnico Adriano De Maio, oggi rettore alla Luiss). Bisognerà vedere quale sarà la loro risposta al fatto che il progetto è come minimo rinviato e che, di certo, ha subito una forte frenata. Formigoni ha cercato in tutti modi di girare intorno alla questione e, almeno a parole, ribadisce in ogni occasione che il suo disegno politico non è affatto fallito. La verità è che il listino con il suo nome non ci sarà (e a parte i 15 nomi, sarebbe stato quello il vero termometro di quanto valeva Formigoni rispetto ai partiti) e il governatore dovrà accontentarsi di quattro-sei nomi da inserire nel listino del presidente (che, però, si dividono tutti i partiti della Casa delle Libertà). Insomma, il braccio di ferro di gennaio ci riconsegna un Roberto Formigoni certamente destinato al terzo mandato alla guida della Regione Lombardia. Ma pure un governatore che voleva togliersi le mezze maniche e infilarsi il doppio petto della politica romana e non ce l’ha fatta. Perché Roma è stata più forte di Milano, di Formigoni e del tanto celebrato laboratorio riformista.

22 marzo 2005

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