Fitto, le riforme prima di tutto
di Pierluigi Mennitti
da Ideazione, marzo-aprile 2005

Non è facile carpire il segreto di Raffaele Fitto, neppure se sei pugliese come lui e hai su per giù la stessa età. Comunanze che dovrebbero aiutarti. E invece torni qui in Puglia, a Bari, per buttare giù un articolo che lo descriva nel pieno della campagna elettorale regionale, che ne racconti cinque anni di presidenza, il primo vero banco di prova per una leadership che tutti immaginano destinata a traguardi ancora più grandi, e ti ritrovi ad ascoltare un signore pacato e tranquillo, che non alza mai la voce e rifugge dai consueti passaggi retorici che punteggiano i comizi dei politici di professione, quelli che siamo tutti tornati ad ammirare dopo il deludente bagno di nuovismo dell’ultimo decennio. Parla piano, Fitto, una cantilena uguale e continua, che non annoia ma non scalda, non trascina. Fa riflettere, questo sì. Infatti, finito l’intervento, guardi sul taccuino e ti ritrovi le pagine piene di appunti. Pagine su pagine, chilometri d’inchiostro che descrivono cinque anni d’attività trascorsi con tenacia e orgoglio, densi di iniziative, riforme, finanziamenti erogati: cifre, dati, percentuali. Numeri, insomma, sui quali misurare i fatti che sostanziano una campagna elettorale condensata nello slogan “La Puglia prima di tutto”.

Forse è qui il segreto di Raffaele Fitto, quello di sfuggire ai luoghi comuni che gli sono stati cuciti addosso e che lo hanno dipinto come un enfant prodige sul quale erano marchiate sin da piccolo le stimmate dello statista politico. È passato alle cronache come un figlio d’arte, uno cresciuto a pane e politica, uno che aveva ereditato per via familiare tutti i trucchi di una professione vissuta come mestiere. Poi vai a frugare nel passato e lo scopri sempre da tutt’altra parte. Non è vero che a quindici anni passava le giornate nella sezione della Dc di Maglie. Certo, accompagnava il padre nei giri elettorali, ma il pomeriggio lo ritrovavi più facilmente sui campetti in terra battuta del Salento a inseguire coi coetanei un pallone di cuoio, almeno fino a quando lo tradirono i legamenti del ginocchio. C’è da scommettere che se le vicende familiari non lo avessero messo di fronte a scelte obbligate, Raffaele Fitto avrebbe fatto un altro lavoro. Così oggi, mentre lo osservi in piedi, composto e timido, di fronte al microfono, nulla di lui rimanda al politico esperto della prima repubblica costruito dalla letteratura mediatica, e tanto meno al giovane rampante berlusconiano dipinto dai suoi avversari della sinistra. Sembra semmai un politico moderno, come dovrebbero essere e come vorremmo che fossero i nuovi politici di questa benedetta seconda repubblica. Fatti e non retorica. Tanti fatti, da riempire pagine di taccuino.

Vediamoli, allora, questi fatti, perché alla fine è su questi che si giocherà la campagna elettorale ed è qui che dovrà misurarsi l’agguerrito sfidante della sinistra, Nichi Vendola. I cinque anni della presidenza Fitto si sono caratterizzati per un’enorme produzione legislativa. Poche altre Regioni hanno legiferato quanto la Puglia, a testimonianza di un’abilità nel far funzionare la macchina amministrativa, dato rilevante specie nel Mezzogiorno. La Puglia è stata la prima Regione a dotarsi di un nuovo Statuto, a conclusione di un elaborato ma rapido lavoro che ha coinvolto molte istituzioni culturali e accademiche. Fitto aveva avviato la sua esperienza raccogliendo il guanto di sfida del federalismo: da meridionale, aveva rilanciato la prospettiva di una maggiore autonomia dal centro nella quale la Puglia potesse disegnare uno sviluppo più vicino alle reali esigenze dei suoi cittadini. E la classe politica pugliese ha saputo attingere alla propria tradizione di modernizzazione per sfruttare con coraggio le opportunità dell’innovazione istituzionale.

Al nuovo Statuto, sempre sul piano delle riforme politiche, si accompagna la revisione della legge elettorale. I pugliesi andranno a votare per il rinnovo della rappresentanza regionale con la nuova legge che prevede uno sbarramento di coalizione al 5 per cento per semplificare il panorama politico e abolisce il listino bloccato, quella riserva di candidati imposti dai partiti che scattava automaticamente: di fatto, meno potere alle segreterie di partito e più scelta per i cittadini. Dunque, una buona riforma. Così come è avvenuto nel campo della formazione professionale, dove il governo del centrodestra ha portato a termine una complessa modifica del settore che ha tenuto conto delle direttive in materia dell’Unione Europea, lavorando di concerto con i sindacati che in parte l’hanno appoggiata e realizzando alleanze nuove che hanno stretto all’angolo un’opposizione divisa e in sostanza priva di proposte alternative. Altro settore messo sotto torchio è stato quello del trasporto: la Regione ha completato il riordino del traffico aeroportuale, coordinando e potenziando le ricettività degli scali di Bari e Brindisi e ha lavorato allo sviluppo delle infrastrutture primarie e di quelle portuali, da sempre ricchezza inespressa di una regione bagnata per tre quarti dal mare.

La riforma più importante, ma anche la più contestata, resta tuttavia quella della sanità, che ha suscitato preoccupazioni e polemiche, non sempre disinteressate. Accade spesso quando si mette mano a interessi costituiti e cristallizzati nel tempo. Varato il nuovo ordinamento, il presidente ha girato in lungo e in largo la regione, per illustrare ai cittadini le novità della riforma, le conseguenze positive che essa avrebbe determinato nel corso degli anni. E bisogna dire che ebbe molto coraggio, giacché l’opposizione, specie quella più estremista che oggi esprime la candidatura alla presidenza di Nichi Vendola, inscenò una gazzarra degna di miglior causa orchestrando manifestazioni politiche in ogni paese visitato da Fitto. In qualche caso quelle manifestazioni degenerarono in scontri, alimentati dal clima di folle girotondismo qualunquista.

Ma la riforma i suoi primi frutti li ha dati, e sono frutti succosi. Ha creato le premesse per la specializzazione degli ospedali, con la realizzazione di settori di eccellenza in sostituzione dei tradizionali presidi di base che realizzavano sul territorio inutili doppioni e fornivano prestazioni mediocri. Ha ridotto il potere dei primari, da cui è venuta una mobilitazione conservatrice senza precedenti. Ha rimesso in sesto il bilancio finanziario del settore, recuperando lo spaventoso deficit ereditato da decenni di malasanità e di sprechi. Oggi la sanità pugliese ha i conti in regola per affrontare la fase di rilancio con il potenziamento dei posti di cardiochirurgia e rianimazione e la nascita di centri specializzati in diverse zone della regione. è stato attivato il 118 e sono stati spesi 430 milioni di euro per ammodernare tutto il sistema. A febbraio è stato inaugurato a Tricase, nel sud del Salento, un centro di neonatologia e sono in fase di progettazione le residenze sanitarie assistite per gli anziani e gli ospedali di comunità gestiti dai medici di medicina generale. Ogni cambiamento produce proteste in una prima fase e consenso solo quando i benefici cominciano a farsi sentire: e da questo punto di vista la riforma è proprio in mezzo al guado, avendo scontato il disappunto di chi è stato colpito nei privilegi senza ancora beneficiare degli effetti positivi che verranno nei prossimi anni. Il pareggio del bilancio, indispensabile per il rilancio, è cosa che scalda il cuore degli amministratori, meno quello dei cittadini. Curioso, tuttavia, che proprio questo obiettivo, raggiunto in Puglia da Fitto con la contestata riforma, sia al primo punto del programma elettorale del centrosinistra nel Lazio.

Altro fiore all’occhiello di Raffaele Fitto è quello dei finanziamenti europei, da sempre spina nel fianco delle amministrazioni meridionali, tradizionalmente incapaci di sfruttare questa grande risorsa comunitaria che ha fatto la fortuna di tante aree depresse del Continente. Bene, nel 2004 la Puglia ha impiegato tutti i fondi erogati dall’Unione Europea, ottenendo anche un ulteriore contributo di 300 milioni di euro concessi dal ministero dell’Economia grazie a un meccanismo che premia le regioni virtuose. Finanziamenti che hanno modernizzato, tra le altre cose, le strutture turistiche che hanno compiuto un vero e proprio salto di qualità nell’offerta, facendo della Puglia uno degli angoli più alla moda d’Europa. Quanto allo slogan elettorale, più che un proposito per il futuro si tratta anche qui di un dato acquisito nel corso del primo mandato, quando il presidente della Regione non esitò a contrapporsi al governo nazionale sul famigerato decreto legislativo 56, il piano di riparto dei fondi strutturali regionali che avrebbe penalizzato la Puglia. La raccolta di firme fra i cittadini in opposizione alle scelte governative finì con il condizionare Berlusconi e Fini, costringendoli alla retromarcia: la Puglia prima di tutto.

Adesso che la campagna elettorale entra nella sua fase decisiva, Fitto ha deciso di rimanere fedele al suo temperamento di moderato tranquillo e operoso. Gli contende la poltrona di presidente un avversario insidioso, Nichi Vendola, politico giovane anche lui, trasgressivo e dinamico, esponente dell’ala più estrema dello scacchiere politico della sinistra, con una lunga militanza nei comunisti di Rifondazione. A sorpresa, ha superato il candidato della sinistra diessina Francesco Boccia nelle primarie che hanno scelto l’anti-Fitto: l’investitura popolare (che si limitava al 2 per cento dell’elettorato complessivo) è stata però ben sfruttata mediaticamente. E come anti-Fitto, Nichi Vendola sta giocando le sue carte: campagna molto aggressiva, che mescola con sapienza demagogia e buon utilizzo della comunicazione, opposizione su tutta la linea verso le politiche del presidente ma poche, concrete, proposte alternative. Punta a cavalcare l’onda lunga della riscossa della sinistra, in una regione da sempre feudo del Polo: con l’eccezione del Comune di Brindisi, il centrosinistra ha vinto tutte le elezioni locali degli ultimi due anni.

Nei messaggi, Vendola si scopre più berlusconiano di Berlusconi, dipinge una Regione chiusa in un cerchio di potere ristretto, lancia la suggestione che con lui tutto cambierà, le istituzioni si apriranno alla società civile e le province pugliesi conosceranno un nuovo periodo di prosperità. Per ora, sui manifesti elettorali, invece di aggiungersi i capelli, s’è tolto l’orecchino. Paradossi di una competizione il cui esito resta incerto e avvincente.

22 marzo 2005

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