La doppia partita di Berlusconi
di Arturo Diaconale
da Ideazione, marzo-aprile 2005

Lo schema è semplice. Nel sistema bipolare italiano chi vince le elezioni regionali vince anche le successive elezioni politiche. Il meccanismo ha funzionato nelle Regionali del 2000 e nelle Politiche del 2001. E non si vede perché non debba scattare anche nelle Regionali del 2005 e nelle successive Politiche del 2006. Apparentemente lo schema non fa una grinza. La sconfitta del centrosinistra nelle Regionali del 2000 portò al pettine tutte le contraddizioni del la coalizione. Il presidente del Consiglio dell’epoca, Massimo D’Alema, che si era impegnato in prima persona nella campagna proprio sulla base della convinzione che chi avesse conquistato la maggioranza nelle Regioni avrebbe ottenuto la spinta necessaria per ottenere la maggioranza anche a livello nazionale, dovette prendere atto che la propria coalizione aveva perso, trascinandosi appresso anche il proprio governo. E fu costretto a rassegnare le dimissioni e a passare la mano a Giuliano Amato che rimise insieme i cocci del centrosinistra con il solo obiettivo di arrivare senza altri traumi alla scadenza della legislatura. D’altro canto la frattura tra i partiti dell’Ulivo e Rifondazione Comunista si era consumata all’epoca della caduta del governo di Romano Prodi e non era stata ricomposta. Lo stesso Prodi non aveva perdonato a D’Alema ed ai popolari di Franco Marini il presunto tradimento che lo aveva obbligato ad abbandonare la poltrona di Palazzo Chigi e si era defilato a meditare vendette da consumare al momento opportuno. Nel centrosinistra si era subito accesa la dirompente polemica su chi avrebbe dovuto sfidare alle elezioni politiche il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi. L’esperto Amato o il più giovane e telegenico Francesco Rutelli?

In generale, all’evidente declino della maggioranza uscita vittoriosa nel ’96 (provocato non solo dalle lotte intestine della coalizione ma anche dalla constatazione che la maggioranza di centrosinistra non era riuscita a risolvere neppure uno dei problemi della agenda politica italiana) corrispondeva una crescente domanda di cambiamento che veniva progressivamente intercettata e fatta propria da Silvio Berlusconi e dal centrodestra. La sconfitta del centrosinistra nel 2001 ebbe dunque come prova generale la sconfitta nelle Regionali del 2000. E su questo punto nessuno avanza alcun tipo di dubbio. Ma se il centrodestra dovesse perdere le Regionali del 2005, finirebbe davvero per essere automaticamente sconfitto anche nelle politiche successive?

L’interrogativo, che sembra mettere in discussione lo schema di chi ne è stato vittima a suo tempo, Massimo D’Alema, nasce da un paradosso. L’opinione prevalente dei media e degli osservatori politici ha stabilito che dal 2001 ad oggi tutte le elezioni amministrative o politiche suppletive che si sono celebrate nel corso della legislatura sono state caratterizzate dalla vittoria del centrosinistra. Dalle Amministrative del 2002, che riguardarono 10 province e 974 comuni di varie dimensioni, alle Europee fino alle recenti 7 più 2 suppletive per il Parlamento conclusesi con un clamoroso cappotto ai danni del centrodestra. Il trend elettorale, in altri termini, sembra essere decisamente ed inesorabilmente contrario al governo di centrodestra e favorevole all’opposizione. Tutto, quindi, starebbe ad indicare che, di fronte ad una domanda politica che è critica e delusa del governo e che si rivolge verso il centrosinistra, le Regionali siano destinate ad essere appannaggio della neonata Unione guidata da Romano Prodi e che lo schema del 2000 sia destinato a scattare a parti invertite ed a colpire il centrodestra di Silvio Berlusconi.

Ma, se il processo risulta ineluttabile, perché ci si continua ancora ad interrogare sulla eventualità che il meccanismo non scatti affatto? La prima risposta riguarda il reale andamento delle elezioni che si sono tenute nel corso della legislatura e che una vulgata cara ai media di maggiore diffusione ha giudicato vittoriose per il centrosinistra e rovinose per il centrodestra. La verità, ben conosciuta dagli esperti di elezioni di tutti i partiti, è che i risultati di questi diversi turni elettorali sono stati sostanzialmente diversi da come sono stati presentati dalla stampa. Uno studio analitico compiuto da Paola Ferragutti e Lara Colombo sulle Amministrative del 2002 dimostra che quelle elezioni non sono state affatto vinte dal centrosinistra e non sono neppure finite in un salomonico pareggio. Hanno visto la prevalenza del centrodestra, anche se all’interno di questo dato generale si è registrata una evoluzione del consenso rispetto alle Politiche del 2001 diretta a penalizzare il centrodestra, con particolare riferimento a Forza Italia, ed a premiare il centrosinistra, con particolare riferimento ai Ds.

A loro volta le elezioni europee, pur confermando l’evoluzione del consenso in favore del centrosinistra, non hanno affatto segnato la tanto decantata sconfitta secca del centrodestra. Anche in questo caso una significativa flessione ha riguardato il partito del premier, Forza Italia. Ma questa flessione è stata bilanciata dalla buona tenuta di An e della Lega, dall’incremento di voti dell’Udc e dai buoni risultati degli alleati laico-socialisti del centrodestra. E, in generale, il risultato in termini di voti e di percentuali complessive è stato di pareggio, 46 a 46. Ciò ha confermato l’evoluzione del consenso indicata dal voto amministrativo del 2002 in favore del centrosinistra e a svantaggio del centrodestra, ma ha anche fornito due indicazioni aggiuntive di segno decisamente opposto. La prima è che non c’è stato alcun travaso di voti tra maggioranza ed opposizione. E cioè che il passaggio da un campo all’altro non è avvenuto.

La flessione del centrodestra si è verificata a vantaggio dell’astensione, mentre il centrosinistra si è limitato a conservare i voti che aveva avuto nel passato. La seconda è che la flessione del centrodestra è stata inferiore alle previsioni generali, tenuto conto che le Europee si sono celebrate nel momento di maggiore difficoltà del governo, con la campagna pacifista per l’Iraq in atto e con i riflessi italiani della crisi economica internazionale sempre più evidenti sul ceto medio e sulle fasce più deboli della società nazionale. Negli altri paesi europei i risultati sono stati ben più pesanti per i governi in carica, di qualsiasi colore politico fossero. Proprio questo elemento ha rimarcato il positivo significato per il governo di Berlusconi del “pareggio” elettorale. Le suppletive, infine, si sono concluse con uno spettacolare 9 a 0 per il centrosinistra. E hanno di nuovo ribadito la capacità di tenuta del proprio elettorato da parte dei partiti dell’opposizione. In particolare quelli della sinistra e dell’ultra sinistra. Ma sono state caratterizzate da una affluenza alle urne talmente bassa da svuotare di qualsiasi valore politico generale il risultato. Ed hanno di fatto ribadito e reso più evidente che, non esistendo un travaso di voti dal centrodestra al centrosinistra, ma solo dal centrodestra all’astensione, il risultato delle prossime elezioni regionali non sarà determinato da una diversa domanda politica della maggioranza degli elettori rispetto al 2001 ma solo dalla capacità dei due schieramenti di mobilitare e di portare al voto la grande massa del proprio elettorato tradizionale.

Le prospettive delle Regionali

Nel centrosinistra c’è stata una lunga discussione sulla strategia da adottare per vincere le elezioni della prossima primavera. Puntare a sfondare sul centro del centrodestra, come suggerisce il politologo Giovanni Sartori, oppure accontentarsi di impedire che una sola delle diverse componenti della coalizione possa essere tentata di correre da sola o, peggio, di rinchiudersi nella protesta dell’astensione? Le risposte sono state diverse. L’Udeur di Clemente Mastella e la parte della Margherita che si ritrova sulle posizioni di Francesco Rutelli non hanno rinunciato a tentare di erodere l’elettorato più moderato e centrista della Casa delle Libertà. A sinistra, invece, malgrado le ripetute dichiarazioni di scelta riformista dei Ds da parte del segretario Piero Fassino, nessuno si è posto il problema dello sfondamento al centro e tutti si sono preoccupati di non perdere i collegamenti con le componenti più estreme e massimaliste. Da Rifondazione ai girotondi. Su tutti, comunque, ha prevalso la linea di Romano Prodi che, nel fissare un patto di ferro con Fausto Bertinotti, ha dato per scontato che il centrosinistra non può catturare voti dal centrodestra ma deve puntare esclusivamente a non perdere voti a sinistra.

Il calcolo del Professore è semplice. Se si conferma la tendenza di una parte dell’elettorato della CdL a manifestare la propria delusione nei confronti del governo ripiegando nell’astensione e nel disinteresse, il gioco è fatto. I sondaggi gli danno ragione. L’accordo con Bertinotti regge, come ha dimostrato anche la vicenda delle Primarie pugliesi. La mobilitazione di un elettorato caratterizzato da tradizioni di forte militanza è già arrivata al massimo. Nessun partito della coalizione, neppure i Ds, si sottrae all’impegno per non ridurre le speranze di vincere le Regionali e far scattare a parti invertite lo schema D’Alema. E Prodi può ragionevolmente sperare che se la tensione del corpo elettorale non muta da oggi ad aprile, l’Unione può riuscire a vincere la partita facendo valere la maggiore capacità di tenuta del proprio elettorato rispetto a quello del centrodestra in tutte quelle Regioni in cui la vittoria si gioca sul filo di lana. Cioè tutte tranne la Lombardia ed il Veneto, che vengono considerate sicure per la CdL. Non a caso i giornali sono pieni di dati che danno l’Ulivo in vantaggio in Puglia, in Liguria, in Abruzzo, in Calabria e nel Lazio. E nel centrosinistra cresce la sensazione di essere alla vigilia di una sorta di marcia trionfale in due tappe, la prima che scatta ad aprile di quest’anno e la seconda nella primavera dell’anno prossimo.

Ma è proprio questo lo scenario più attendibile per le prossime scadenze elettorali? Se si votasse oggi è facile prevedere che i sondaggi sarebbero confermati. Mentre la mobilitazione dell’elettorato dell’Unione, grazie alla militanza della sinistra, ha già raggiunto l’apice, quella del centrodestra, tradizionalmente molto più lenta e macchinosa, è appena agli inizi. La CdL, quindi, ha la possibilità di ribaltare i pronostici. Tanto più che ha dalla sua una serie di vantaggi di non poco conto. Il primo è che i suoi governatori uscenti sono molto più noti e radicati sul territorio rispetto agli sfidanti del centrosinistra. Storace nel Lazio, Fitto in Puglia, Biasotti in Liguria, per non parlare di Formigoni in Lombardia, Ghigo in Piemonte e Galan nel Veneto, hanno alle spalle cinque anni o più di forte visibilità ed un bilancio di governo regionale sostanzialmente positivo. Gli sfidanti partono avvantaggiati nei sondaggi ma gli uscenti hanno dalla loro il grande margine di recupero rappresentato dalla progressiva mobilitazione di un elettorato di centrodestra che si muove sempre in ritardo rispetto a quello antagonista. E, soprattutto, che lo fa solo se si convince della importanza della posta politica in palio.

Berlusconi è perfettamente consapevole delle caratteristiche di fondo degli elettori moderati. E non a caso ha impostato la propria campagna elettorale all’insegna dell’estrema politicizzazione dello scontro. Le sue sortite sul “bene” e sul “male”, la ripresa della polemica sul “comunismo” degli avversari, l’impegno a continuare anche nel 2005 e negli anni successivi a tagliare le tasse non hanno nulla a che spartire con le questioni di competenza delle Regioni. Ma servono a drammatizzare lo scontro ed a convincere anche i delusi, anche i riluttanti, anche i meno impegnati a non restare a casa o andare al mare ma a partecipare al voto per non consentire alla sinistra di conquistare il potere. Anche il leader della CdL, così come Prodi, non crede alla possibilità di conquistare le frange di elettorato centrista dello schieramento opposto. Punta a recuperare l’intero bacino elettorale del centrodestra. Non a caso ha insistito al massimo per l’intesa con l’estrema destra di Alessandra Mussolini e sul versante centrale sull’alleanza con i radicali di Marco Pannella. Sa che, se convince l’intero elettorato di centrodestra a votare per la Casa delle Libertà, sia pure “tappandosi il naso”, come diceva Indro Montanelli, può tornare a vincere a mani basse. Come nel 2001. Ed è per questo che non prende neppure in considerazione lo schema di D’Alema. Per lui non è affatto vero che se dovesse perdere le Regionali finirebbe col perdere anche le successive politiche. Anzi, subire una sconfitta nel prossimo aprile potrebbe addirittura servirgli. Per un verso allo scopo di riportare all’ordine gli alleati più turbolenti. Per l’altro al fine di drammatizzare al massimo la campagna elettorale per le politiche trasformandola in una battaglia per la vita e per la morte a cui nessun elettore del fronte moderato si potrebbe sottrarre.

A differenza di D’Alema, il Cavaliere può permettersi di non puntare tutto sulle Regionali. Ha la carta di riserva delle Politiche. Ed è certo che saprà giocarla al meglio. Sarà per questo che gli esponenti più responsabili del centrosinistra non si lasciano prendere dagli entusiasmi per i sondaggi favorevoli ed insistono nel sottolineare le difficoltà della battaglia che li aspetta?Probabilmente è così. Anche se, sul versante opposto, i dirigenti più accorti della CdL sperano di non dover ricorrere alla carta di riserva in possesso di Berlusconi e contano di riuscire a mobilitare il proprio elettorato fin dalle Regionali. La loro preoccupazione è semplice. Sanno che dopo la riforma federalista il potere reale delle Regioni è aumentato mentre quello dello Stato centrale è diminuito. Vincere alle Politiche dopo aver perso alle Regionali potrebbe non bastare per governare il paese. Per questo si augurano di farcela ad aprile. E di rinviare ad altre occasioni il ricorso agli esami di riparazione.

14 marzo 2005

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