Supereroi all’assalto della sinistra
di Francesca Oliva
da Ideazione, gennaio-febbraio 2005

Solo un supereroe può salvarci dal plotone dei liberal hollywoodiani o dalle schiere di rockstar che non hanno esitato a scendere in campo – con i risultati che conosciamo – per sostenere il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca. Ma forse anche una marionetta, soprattutto se ben armata e animata dal folle genio dei creatori di “South Park”, potrebbe darci una mano. L’intrattenimento made in Usa sembra finalmente volersi affrancare dall’egemonia della sinistra. E “Team America: World Police”, firmato da Trey Parker e Matt Stone, è l’ultimo capitolo di questa grande rinascita del conservative entertainment. Il film è interpretato da un manipolo di pupazzi in stile “Thunderbirds” con una missione ben precisa: combattere il terrorismo internazionale con ogni mezzo, anche a costo di “incidenti diplomatici” come l’abbattimento della Torre Eiffel. Se Parker e Stone non risparmiano una buona dose di sarcasmo nei confronti “dell’ipernazionalismo patriottico”, il bersaglio principale della loro satira corrosiva è senza dubbio l’imbelle pacifismo liberal – rappresentato da una serie di schieratissime celebrità come Sean Penn, Matt Damon, Alec Baldwin, Michael Moore, George Clooney, Tim Robbins e Susan Sarandon - convinti che la violenza sia sempre da evitare, tranne quando serve per impedire al Team America di combattere contro il male. Già con gli stilizzati disegni della serie “South Park”, Parker e Stone avevano dato vita ad alcuni dei più eclatanti esempi di satira libertarian (vedi l’articolo di Andrea Mancia su Ideazione di settembre/ottobre 2004): memorabili le puntate sulla sfortunata gita scolastica nella foresta amazzonica o quella sul recount per eleggere il capoclasse in stile Florida 2000.

Se “South Park” è il capolavoro dell’entertainment libertarian, il suo equivalente conservatore può essere considerato “King of the Hill” (finalmente arrivato anche in Italia, grazie al canale satellitare Fox). Ambientata in Texas, la serie animata è venuta alla luce grazie alla collaborazione tra Mike Judge, creatore di “Beavis and Butt-head”, e Greg Daniels, sceneggiatore di diversi episodi de “I Simpson” e della sit-com “Seinfeld”. Il protagonista, Hank Hill, è un normalissimo padre di famiglia: un fiero americano che vende gas propano per vivere. Hank è un uomo buono, tutto d’un pezzo e dotato di un’ingenuità spesso disarmante, che si trova quotidianamente a guardare i paradossi della vita contemporanea dal suo punto di vista tipicamente sudista. Raramente, nel mondo “metrocentrico” della tv americana, personaggi così “normali” erano riusciti ad ottenere un tale successo. «E’ uno show che potrebbe essere definito populista, perché guarda all’aspetto più solare del buon senso comune, tipico della famiglia media americana. E si tratta di una famiglia più conservatrice della maggior parte di quelle che siamo abituati a vedere in televisione», spiega Greg Daniels. «Non è uno show politico, ma ha molta simpatia per la gente comune e poco trendy», aggiunge Mike Judge. Una rivoluzione in piena regola.

Anche sul grande schermo emerge sempre più chiaramente che, sotto l’accecante sole liberal che splende su Hollywood, esistono anche realtà alternative. L’eredità dei film di Frank Capra, che negli anni Trenta e Quaranta avevano dipinto i valori tradizionali dell’individualismo americano, è stata ripresa da Adam Sandler, uno degli attori più brillanti degli ultimi anni, inserito recentemente in una delle liste “ufficiose” delle celebrità simpatizzanti per il partito repubblicano. Sandler ha riproposto al pubblico un remake del capolavoro di Capra “Mr Deeds Goes to Town” (1936). I discendenti ideali di John Wayne e Clint Eastwood sono, invece, i moderni protagonisti del cinema d’azione, da sempre terreno fertile per i conservatori. Tanto per fare qualche nome: Sylvester Stallone, Chuck Norris, Jean Claude Van Damne. Oltre, naturalmente, ad Arnold Schwarzenegger. L’area più intransigente della destra cristiana ha, dal canto suo, trovato un alfiere in Mel Gibson e il suo “The Passion”. Ma già nel 1995, con “Braveheart”, l’attore-regista aveva risvegliato i sentimenti patriottici e i valori cavallereschi della libertà, della moralità e del coraggio contro avversari spietati.

Attori e produttori cominciano a dichiarare – o quantomeno a non smentire – le proprie simpatie conservatrici o libertarian, contravvenendo alla regola non scritta di Hollywood, ben sintetizzata dell’attrice Emma Caulfield, che dichiara: «Non ammetterei mai del tutto di essere una repubblicana in questa città. Ho bisogno di lavorare». C’è persino qualche conversione davvero eclatante. Un esempio su tutti, quello di David Zucker, regista di campioni d’incasso come “L’aereo più pazzo del mondo”, “Una pallottola spuntata” o “Top Secret”. Il genio della comicità demenziale, democratico per tradizione familiare, si autodefinisce un “9/11 Republican” e ha voluto produrre un esilarante spot elettorale pro-Bush durante l’ultima campagna presidenziale, in cui viene preso di mira il flip-flopper Kerry, paragonato a uno sposo che, nel giorno del suo matrimonio, pianta in asso la moglie per gettarsi tra le braccia della damigella d’onore.

Zucker è stato l’ospite d’onore del Liberty Film Festival, organizzato nell’ottobre 2004 dalla giovane coppia composta dal regista Jason Apuzzo e dall’attrice Govindini Murty. La manifestazione, finanziata dalla Foundation for Free Markets, è nata per presentare e promuovere le opere di registi non necessariamente liberal. Alcuni lavori presentati al Liberty Film Festival hanno riscosso un discreto successo di pubblico e di critica, come “In the Face of Evil”, la storia della battaglia di Ronald Reagan contro il comunismo. Ma è stato il filone anti-Moore a scatenare il maggiore entusiasmo, con titoli come “Celsius 41.11” (la temperatura alla quale il cervello inizia a fondersi), poderosa risposta al “documentario” che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes, “Michael and Me”, provocatoria difesa dei diritti pro-gun e “Michael Moore hates America”, irriverente ritratto del regista descritto come emblema di quel sogno americano di cui lui stesso nega l’esistenza.

Grande impulso ai valori della Right Nation è arrivato anche dalla rinascita del fantasy e della fantascienza. Senza addentrarci in rigorose classificazioni politiche, questi due generi da sempre enfatizzano i valori dell’individuo che supera se stesso e la distinzione netta tra il bene e il male. Un esempio su tutti è la trilogia de “Il Signore degli Anelli”, il film tratto dal capolavoro di J.R.R. Tolkien che alcuni critici cinematografici con spiccata propensione alla paranoia hanno guardato con sospetto per le presunte simpatie destrorse dello scomparso autore inglese. Jonah Goldberg, sulla National Rewiew, ha citato due sconcertanti critiche apparse sul Guardian e sul New York Times, nelle quali si fa riferimento a sospette analogie tra malvagi orchi e popolazione afroamericana, tra Sauron e Saddam e tra le “due torri” e le Twin Towers.

Un recente titolo che sembra strizzare l’occhio al mondo conservatore è il film d’animazione “The Incredibles”. I supereroi in pensione creati della Pixar vivono seguendo i sani vecchi valori della famiglia tradizionale, ma non si tirano indietro quando si tratta di usare la forza contro il male. In un articolo sul settimanale liberal The New Republic, Andrew Sullivan scrive che “The Incredibles” spiega alla perfezione perché «Arnold Schwarzenegger non potrebbe mai essere un democratico» e perché la «piagnucolante élite di Gore, Teresa e Hillary sembra così aliena all’imprenditoriale, anti politically-correct e irreverente cultura popolare americana». Già da qualche anno, le trasposizioni cinematografiche di alcuni grandi successi della storica casa editrice di fumetti Marvel – come “X-Men” e “Spiderman” – avevano aperto la strada a questo genere. Supereroi spesso tormentati, lacerati dal dubbio, ma il cui fine ultimo è quello di lottare per il bene del mondo, difendere i valori tradizionali e combattere contro i nemici malvagi. Oltre che, più di una volta, contro uno Stato oppressore e il potere corrotto.

La stessa Marvel ha lanciato una nuova serie di fumetti la cui ambientazione lascia poco spazio al dubbio. “Combat Zone” è il racconto di tre mesi trascorsi all’interno di un battaglione militare di stanza in Iraq dal giornalista “embedded” Karl Zinsmeister (American Enterprise Magazine). Il fumetto, creato dalla matita di Dan Jurgens - disegnatore anche di Thor e Superman - è un altro segnale di come la destra stia recuperando il terreno perso negli ultimi vent’anni in un settore che, una volta, le apparteneva quasi di diritto: basti citare i fumetti di guerra, i grandi successi della DC Comics come Superman e Batman o il mito della Marvel, Capitan America, che è stato rispolverato dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 come emblema del patriottismo. E i conservatori recuperano terreno anche nella satira politica, con matite brillanti come Cox & Forkum, due fulminanti vignettisti (oggettivisti e seguaci di Ayn Rand) che si sono spinti più in là della maggior parte dei loro colleghi libertarian appoggiando apertamente la politica estera e militare di Bush.

Come i supereroi fantastici, anche gli eroi sportivi occupano un ruolo fondamentale nel sistema americano dell’entertainment. E bisogna dire che nel mondo dello sport la percentuale di sostenitori del Grand Old Party è davvero alta. Tanto che, con una lettera aperta ai cittadini americani, 24 atleti, quasi tutti campioni olimpici o star dello sport, hanno fatto endorsement pubblico a favore di George W. Bush nella corsa alla Casa Bianca. Tra le firme, spiccano i nomi del mito del golf Jack Nicklaus, della leggenda del baseball Ernie Banks, della superstar dell’NBA Karl Malone, della ginnasta medaglia d’oro olimpica Mary Lou Retton. Queste le motivazioni della scelta: «Le stesse qualità che fanno grande un atleta, faranno anche un grande presidente: la determinazione di fare quello che si ritiene giusto, non curandosi degli ultimi sondaggi, la forza personale di farsi carico sulle proprie spalle del peso di una nazione, e la fede in qualcosa di più grande che guida le azioni delle persone buone. Noi vediamo nel Presidente Bush queste qualità». Sono considerati conservatori (fino a smentita ufficiale) anche le star del basket Charles Barkley e Magic Johnson, l’eroe nero del golf Tiger Woods, il campione di hockey sul ghiaccio Mario Lemieux, il grandissimo del tennis Pete Sampras, l’eccentrico manager del pugilato Don King, la stragrande maggioranza dei giocatori di football americano e, soprattutto, il cinque volte vincitore del Tour de France, Lance Armstrong, legato da un’amicizia personale nei confronti del presidente.

Se nello sport i repubblicani sono in maggioranza, lo stesso non si può dire nel mondo del rock e della musica popolare in genere. Ma anche in questo caso non mancano le eccezioni. A contrapporsi a Springsteen, R.E.M. e Dixie Chicks c’è, innanzitutto, lo sterminato esercito della musica country. In linea con i temi classici e le ambientazioni delle ballate che rappresentano l’America più vera e profonda, molti musicisti country hanno simpatie conservatrici. Un altro genere quasi sconosciuto in Italia, ma di grande rilevanza in termini di pubblico negli Stati Uniti è quello del “christian rock”, che raccoglie intorno a sé una vasta e attivissima comunità. E uno dei fenomeni più originali e in espansione degli ultimi tempi è quello dei Conservative Punk, movimento fondato dall’ex deejay Nick Rizzuto che, tra musica alternativa e politica, è riuscito a riunire intorno a sé un buon numero di band punk non-conformiste attirando anche l’attenzione dei mainstream-media.

Nel firmamento della musica non sono poche le celebrità che compaiono nelle liste dei simpatizzanti repubblicani: grandi dell’heavy metal come il cantante dei Metallica, James Hetfield, Ted Nugent, Meat Loaf e Kid Rock; le reginette sexy del pop Britney Spears e Destiny’s Child; i rapper MC Hammer e LL Cool J (che ha appoggiato l’elezione del governatore repubblicano di New York, George Pataki) e vecchie glorie come Pat Boone, Chaka Khan e Belinda Carlisle. Ma un posto d’onore, in questo improvvisato Olimpo conservatore, lo merita la leggenda del rock Alice Cooper, che ha bollato come “traditori” i colleghi impegnati nella propaganda politica a favore del candidato democratico. «E’ un tradimento nei confronti del rock’n’roll, perché il rock è l’antitesi della politica. Vedere queste rockstar che parlano di politica mi fa venire la nausea. E se dai retta ad una rockstar per sapere per chi votare, sei un idiota ancora più grande di loro. Tutti sanno perché siamo rockstar: perché siamo degli idioti. Di giorno dormiamo, di notte suoniamo e molto raramente ci sediamo a leggere i giornali politici». Dopo il risultato delle ultime elezioni, il sospetto che Cooper avesse ragione si è trasformato in una certezza.

9 febbraio 2005

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