Fox News: quando Murdoch fa sul serio
di Paola Liberace
da Ideazione, gennaio-febbraio 2005

Uno spettro si aggira per l’America: vestito dei colori repubblicani, vaga tra i mezzi di comunicazione di massa, insidia le televisioni, minaccia da vicino il tradizionale liberal bias dei media statunitensi. Da qualche tempo, una tendenza conservatrice si è insinuata in questo terreno di prerogativa dell’America democratica, e sta rovesciando a proprio favore l’equilibrio costituito. Si tratta di un fenomeno comunicativo non episodico – vincente anche dal punto di vista del mercato – che si è insinuato nell’uniformità del mainstream Usa, contribuendo a bilanciare la situazione preesistente. Parlare di una tendenza democratica dei media è sembrato a lungo politically incorrect, almeno dai tempi di Agnew, il vice di Nixon che per primo, nel 1969, denunciò la parzialità dei mezzi di informazione. Tra il 2001 e il 2003 il numero di voci levate in questa direzione è significativamente cresciuto, grazie anche all’adesione di alcuni protagonisti dell’establishment giornalistico democratico: Bernard Goldberg – ex volto televisivo di Cbs e vincitore di un Emmy – ha pubblicato un best-seller, prendendo di mira la pretesa delle news imparziali (non a caso, il libro si chiama Bias). La presa di coscienza si è fatta via via più pervasiva, segno di un’esigenza culturale – prima ancora che politica o sociale – precorritrice di un cambio di rotta.

Da un lato sono sorti think-tank, istituti di ricerca e di vigilanza sui media, attenti all’influenza left-winged sui temi di interesse nazionale; dall’altro, sono emerse proposte alternative, programmi che ironizzano sulle idiosincrasie buoniste dei liberal, trasmissioni che aprono il credito alle opinioni conservatrici e coinvolgono ospiti repubblicani, fino ad allora vittime di un percepibile ostracismo. Per comprendere il cambiamento della televisione americana bisognerebbe cogliere la coincidenza con la felice congiuntura tecnologica che ha portato all’affermazione della cable Tv: un alveo ideale di sviluppo per le ritrovate simpatie di destra, la cui espansione viene da più parti associata alla disponibilità di nuovi mezzi di espressione. Il frutto più maturo di questa espansione, la Fox News di Rupert Murdoch, nasce nel 1996, in un contesto tutt’altro che facile. La terza televisione all news via cavo è destinata sin dal principio a una battaglia apparentemente impossibile contro il mostro sacro Cnn e contro Msnbc, il network nato dal “matrimonio” di Microsoft con la storica rete Nbc. A partire da allora, Fox News vede costantemente aumentare il numero dei suoi telespettatori, superando ampiamente gli ascolti delle concorrenti, e in alcune occasioni addirittura doppiando quelli ottenuti dalla Cnn.

Secondo Scott Collins, autore di un libro dedicato al nuovo corso dell’informazione statunitense (intitolato Crazy as a Fox), il riflesso degli eventi dell’11 settembre non basta a spiegare l’ascesa di Fox News: piuttosto, sono i suoi concorrenti a mancare di un’idea illuminante. Collins giunge a conclusioni interessanti: se fino dieci anni fa le reti televisive si limitavano a dare conto della politica – o almeno così dichiaravano – oggi concorrono attivamente alla costruzione del dibattito politico. Questa lettura viene confermata dal Pew Research Center, che titola la sua ricerca del giugno 2004 “News audiences increasingly politicised”.

In che modo Fox News ha contribuito a determinare una simile polarizzazione? Di fatto, la rete di NewsCorp ha definito nuove regole per l’informazione televisiva, ospitando confronti sentiti tra interlocutori di schieramenti diversi, e proponendo la discussione delle opinioni come protagonista della narrazione giornalistica. Con Fox News arriva un modo di fare televisione più immediato, non più celatamente schierato, senza false ritrosie nelle prese di posizione e per questo talvolta più rischioso. I protagonisti dell’informazione di Fox News sono sanguigni opinionisti, come Bill O’Reilly, e non compassati e (non sempre) ineccepibili anchorman. Oltre alla innegabile chiarezza, uno degli ingredienti del successo di Fox News sta nel fatto di aver dato voce a un’esigenza diffusa nell’audience americana, che negli ultimi quattro anni ha progressivamente perso fiducia nelle news televisive cosiddette “indipendenti”. Fox News risponde con un giornalismo che somiglia ben poco ai resoconti asettici e rigorosi da “primi della classe”. Invece di cedere all’elitismo – cui non di rado indulgono i pur documentatissimi reporter dei network – il canale ha dato ascolto ai sentimenti generalizzati negli ascoltatori, optando per scelte comunicative spesso forti. Anche i concorrenti hanno finito per seguire la strada segnata da Fox, afferma il giornalista Brian C. Anderson, introducendo nei palinsesti programmi di orientamento conservatore; come “Scarborough Country” della Msnbc, o il “Dennis Miller show” in onda su Cnbc.

Fox News fa tendenza: fomenta la discussione, lancia provocazioni, coltiva e diffonde una visione del tutto singolare. Di qui all’accusa di essere un mero mezzo di propaganda al servizio della destra, il passo è breve. Lo stesso slogan “Fair and balanced”, che Fox News ha registrato nel 1998, è diventato un modo di dire abituale non soltanto per gli spettatori, i reporter e i commentatori, ma anche per i detrattori del canale, che non trovano di meglio che citarlo in continuazione, sia pure per mostrarne il lato paradossale. In questi casi niente di peggio che controbattere a colpi di tribunale, specialmente se gli attacchi sono condotti sotto l’egida della satira: si rischia di far passare l’umorista di turno (nel caso specifico, Al Franken, autore di un libello intitolato Lies and the Lying Liars Who Tell Them: a Fair and Balanced Look at the Right) per un martire della libertà di espressione, oltre che di perdere la causa. Meglio lasciare che a ricorrere alle vie giudiziarie, in mancanza di altri argomenti, siano gli stessi contestatori. Nella seconda metà del 2004, i media activist democratici (tra cui l’associazione Fair – Fairness and Accuracy In Reporting), da tempo sul piede di guerra contro l’emittente di NewsCorp, hanno organizzato una vasta azione di protesta che prevede, tra l’altro, la distribuzione del battagliero documentario “Outfoxed” (“Raggirati”) di Robert Greenwald, e un procedimento legale contro l’utilizzo menzognero dello slogan “Fair and balanced”.

Fox News sa di non aver ragione di temere: la sequela di attacchi provenienti dai media ha notoriamente un effetto controproducente per gli stessi accusatori, perché garantisce visibilità alla vittima, suscitando nel pubblico la curiosità di conoscere l’oggetto di tanta acrimonia. Tutta pubblicità, insomma, che – lungi dal deprimere l’audience – ha contribuito al suo aumento, fino al 13 per cento in un anno. Ma non tutti i “suggerimenti” – sia pure involontari – degli oppositori vengono per nuocere: la forza di Fox News non sta nella fairness, né tantomeno nel balance, stretto parente dell’aspirazione inconfessata alla par condicio. Ciononostante, in questo slogan dalle origini in realtà più antiche, sopravvive in effigie il pudore di manifestare le proprie convinzioni, già encomiabilmente abbandonato dai reporter di Fox nell’esercizio della loro attività. Più importante di un’effigie resta dunque la chiara scelta di campo, che rappresenta insieme la ragione dell’opzione di milioni di telespettatori, e un antidoto formidabile contro la persuasione sotterranea. In un altro motto di Fox News, “We report, you decide”, c’è già tutto: la proposta di una versione dei fatti, che non pregiudica la capacità di discernimento degli spettatori, ma la rafforza continuando a distinguersi. Il senso dell’operazione condotta attraverso Fox News – non sempre replicata nelle omologhe emittenti dello stesso editore – sta in questo orgoglio di cultura conservatrice ritrovata, che non si affanna ancora ad inseguire i critici del liberal media bias, ma al contrario costringe i liberal stessi a fare i conti con un nuovo, eccentrico punto di vista. 

9 febbraio 2005

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