1964, l’intervista su Playboy
Alvin Toffler intervista Ayn Rand*
da Ideazione, novembre-dicembre 2004
Ayn Rand, i suoi saggi e romanzi, soprattutto il suo controverso best
seller La rivolta di Atlante, presentano una visione del mondo
attentamente strutturata e di grande coerenza interna. Costituiscono, in
effetti, l’espressione di un sistema filosofico onnicomprensivo.
Qual è lo scopo di questa sua nuova filosofia?
Cerco di fornire agli uomini, o a quelli che si preoccupano di pensare,
una visione della vita che sia organica, coerente e razionale.
Quali sono le premesse fondamentali
dell’Oggettivismo? Da dove nasce?
Nasce dall’assioma che l’esistenza esiste. Ciò significa che esiste una
realtà oggettiva indipendente dal modo personale in cui un individuo può
percepirla, dalle emozioni, dai sentimenti, dai desideri, dalle
speranze, dalle paure che prova. L’Oggettivismo afferma che la ragione è
l’unico mezzo attraverso il quale l’uomo può percepire la realtà e
l’unica guida alle sue azioni. Con il termine “ragione”, intendo la
facoltà che permette all’uomo di identificare e mettere insieme il
materiale fornitogli dai sensi.
Ne “La rivolta di Atlante”, il protagonista, John
Galt, dichiara: «Giuro sulla mia vita e sull’amore che provo per essa
che non vivrò mai per il bene di un altro uomo né chiederò mai ad un
altro uomo di vivere per il mio». Come si pone questa affermazione nel
quadro dei principi fondamentali dell’Oggettivismo?
L’affermazione di Galt riassume in termini romanzeschi l’etica
oggettivista. Qualsiasi sistema etico nasce sulla base di una metafisica
e ne è, implicitamente o esplicitamente, la conseguenza. Secondo l’etica
nata dal fondamento metafisico dell’Oggettivismo, la ragione è lo
strumento essenziale che consente all’uomo di sopravvivere e, pertanto,
la razionalità costituisce la massima virtù che egli possa possedere.
Imperativo morale dell’uomo è usare la propria mente per percepire la
realtà e agire di conseguenza. Il parametro di valutazione dell’etica
oggettivista è la vita dell’uomo, ossia la sopravvivenza dell’uomo in
quanto tale, ossia ciò che la natura di un essere razionale esige per la
propria sopravvivenza. L’etica oggettivista, in sostanza, sostiene che
l’uomo esiste per se stesso, che il perseguimento della felicità è il
suo fine morale più elevato, che non deve né sacrificarsi per gli altri
né sacrificare gli altri a se stesso. È questo che riassume
l’affermazione di Galt.
Ne “La rivolta di Atlante”, a uno dei personaggi
principali viene chiesto quale sia la più depravata tra le varie
tipologie umane. La sua risposta è sorprendente: non dice un sadico, un
assassino, un maniaco sessuale o un dittatore, ma «l’uomo senza un
fine». Eppure la maggior parte delle persone sembra vivere la propria
vita senza un fine ben definito. Le considera depravate?
In un certo senso, sì.
Perché?
Perché questo aspetto del loro carattere è all’origine e rappresenta la
fonte di tutti i mali che ha menzionato nella sua domanda. Il sadismo,
la dittatura, il male in qualsiasi sua forma nasce come conseguenza di
un’evasione dalla realtà, di un’incapacità di pensare. L’uomo senza un
fine è un uomo che si abbandona alla mercé di sentimenti casuali o di
impulsi non meglio identificati e diventa capace di compiere qualsiasi
malvagità perché ha perso totalmente il controllo della propria vita.
Per mantenerlo bisogna avere un fine, un fine produttivo.
Hitler e Stalin, per citare due tiranni, non
avevano quindi il controllo delle loro vite, non avevano un fine chiaro?
Certo che no. Se ci pensa, entrambi divennero veri e propri psicotici.
Erano persone che mancavano di autostima e, di conseguenza, odiavano
l’esistenza in tutti i suoi aspetti. Le linee essenziali della loro
psicologia, in effetti, si ritrovano ne La rivolta di Atlante nel
personaggio di James Taggart, l’uomo che non ha un fine, ma che deve
agire, e agisce per distruggere gli altri. Il che è ben diverso
dall’avere un fine produttivo o creativo.
Se una persona organizza la propria vita intorno
ad un unico fine ben definito, non c’è il pericolo che restringa
eccessivamente i propri orizzonti?
No, è proprio il contrario. L’esistenza di un fine centrale serve ad
integrare tra loro tutte le altre preoccupazioni presenti nella vita di
un uomo: stabilisce una gerarchia, un’importanza relativa, dei valori
che quest’uomo possiede; lo salva da inutili conflitti interiori; gli
permette di godersi la vita nei suoi molteplici aspetti e di farlo in
qualsiasi spazio che si apre alla sua mente. Un uomo senza un fine,
invece, è perso nel caos: non sa quali sono i suoi valori; non sa
giudicare; non sa distinguere cos’è importante per lui e cosa non lo è
e, di conseguenza, si abbandona, impotente, alla mercé di qualsiasi
stimolo casuale o capriccio del momento; non riesce a godersi niente e
trascorre tutta la vita alla ricerca di un valore che non troverà mai.
Qualcuno potrebbe pensare che tentare di escludere
completamente il capriccio dalla propria vita, di agire in maniera del
tutto razionale, possa condurre ad un’esistenza senza sugo, senza gioia.
Sinceramente, non capisco di cosa parla. Chiariamo il significato di
alcuni termini. La ragione è lo strumento attraverso il quale l’uomo
arriva alla conoscenza, la facoltà che gli permette di percepire i fatti
della realtà. Agire razionalmente significa agire conformemente ai fatti
della realtà. Le emozioni non sono strumenti di conoscenza. Ciò che
proviamo non ci dice niente sui fatti: ci dice soltanto qualcosa su come
giudichiamo i fatti. Le nostre emozioni sono il risultato dei nostri
parametri di valutazione. Nascono dalle nostre premesse fondamentali,
che possono essere giuste o sbagliate e di cui possiamo essere
consapevoli o meno. Un capriccio è un’emozione di cui né conosciamo né
ci interessa scoprire la causa. Cosa significa agire per capriccio?
Significa agire come zombi, senza sapere con cosa abbiamo a che fare,
cosa vogliamo ottenere o cosa ci spinge ad agire: significa agire in uno
stato di temporanea infermità mentale. È questa un’esistenza che lei
definisce ricca di sugo e vivacità? Credo che l’unico sugo che possa
risultare da una situazione del genere sia il sangue. Agire andando
volutamente contro i fatti della realtà può portare soltanto
distruzione.
Bisognerebbe quindi ignorare le proprie emozioni,
escluderle completamente dalla propria vita?
Ovviamente no. Bisognerebbe semplicemente tenerle al loro posto.
Un’emozione è una risposta automatica, una conseguenza automatica alle
nostre premesse di valore. Una conseguenza, non una causa. Non esiste
necessariamente un conflitto, una dicotomia tra ragione ed emozioni, a
patto che sappiamo mantenere un rapporto appropriato con esse. Un uomo
razionale conosce, o si fa un dovere di scoprire, l’origine delle
proprie emozioni, le premesse fondamentali da cui derivano. Se queste
premesse sono errate, le corregge. Non agisce mai assecondando emozioni
che non sa spiegare, di cui non comprende il significato. Nel valutare
una situazione, sa perché reagisce in una determinata maniera e se ha
torto o ragione. Non è preda di conflitti interiori, la sua mente e le
sue emozioni formano un tutto organico, la sua coscienza è in pace. Le
emozioni non sono sue nemiche: sono il mezzo che gli permette di godersi
la vita. Ma non sono loro a guidarlo: a guidarlo è la sua mente. Tale
rapporto, però, non può essere invertito. Se un uomo inizia a
considerare le proprie emozioni come causa e la propria mente come loro
effetto passivo, se si fa guidare dalle emozioni e usa la mente solo per
razionalizzarle o giustificarle in qualche modo, allora agisce in
maniera immorale, si condanna da solo alla miseria, al fallimento, alla
sconfitta e non riuscirà a produrre altro che distruzione, la propria e
quella degli altri.
Secondo la sua filosofia, il lavoro e il successo
sono i fini più elevati nella vita di un uomo. Sono da considerare
immorali coloro che si sentono maggiormente realizzati nel calore
dell’amicizia e della famiglia?
Se mettono amicizia e famiglia al di sopra del proprio lavoro
produttivo, sì, sono immorali. L’amicizia, la famiglia e le relazioni
umane non occupano un posto di primaria importanza nella vita di un
uomo. Una persona che mette gli altri al primo posto, al di sopra del
proprio lavoro creativo, è un parassita emotivo. Se mette il proprio
lavoro al primo posto, invece, non esiste alcun conflitto tra il lavoro
ed il piacere derivante dalle relazioni umane.
Ritiene che anche le donne, come gli uomini,
debbano organizzare la propria vita intorno al lavoro? Se sì, intorno a
quale tipo di lavoro?
Ovviamente sì. Le donne sono esseri umani. Quello che si confà ad un
uomo, si confà ad una donna. I principi fondamentali sono gli stessi.
Non cercherei mai di stabilire che tipo di lavoro debba fare un uomo. Né
cercherei mai di stabilirlo per una donna. Non esiste un tipo di lavoro
che sia propriamente femminile. Le donne sono libere di scegliere la
propria occupazione alla stessa maniera degli uomini, secondo i propri
fini.
Secondo lei, una donna che sceglie di dedicarsi
alla casa e alla famiglia, invece che alla carriera, è immorale?
No, non è immorale. Direi piuttosto che è irragionevole, perché la casa
non può costituire un’occupazione a tempo pieno, tranne quando i figli
sono piccoli. Tuttavia, se vuole una famiglia e vuole fare della
famiglia la propria carriera, almeno per qualche tempo, sarebbe un
lavoro appropriato, a patto che lo affronti come una carriera, ossia
studiando la materia, definendo regole e principi secondo cui allevare i
figli, avvicinandosi a tale attività con un approccio intellettuale. È
un compito di grande responsabilità e importanza, ma solo se viene
affrontato come una scienza, non come un mero compiacimento emotivo.
A suo parere, qual è il posto dell’amore romantico
nella vita di una persona razionale, la cui passione dominante è il
proprio lavoro?
È la sua ricompensa più grande. L’uomo è capace di provare un profondo
amore romantico solo se è guidato dalla passione per il proprio lavoro,
in quanto l’amore è un’espressione di autostima, dei valori più radicati
nel carattere di un uomo. Ci si innamora di una persona che condivide i
nostri stessi valori. Se un uomo non ha dei valori ben definiti e manca
di moralità, non è in grado di apprezzare un’altra persona. A questo
proposito, vorrei fare una citazione da La fonte meravigliosa, in cui il
protagonista pronuncia una frase che viene spesso ricordata dai lettori:
«Per dire “io ti amo”, bisogna prima saper dire “io”».
Lei sostiene che la felicità personale è il fine
più elevato nella vita di una persona e che sacrificarsi per gli altri è
immorale. Questo vale anche per l’amore, oltre che per il lavoro?
Per l’amore più di ogni altra cosa. Essere innamorati significa che la
persona che amiamo assume una notevole importanza a livello personale ed
egoistico per noi e per la nostra vita. Se fossimo persone
disinteressate, altruiste, non trarremmo alcun piacere personale o gioia
dalla compagnia e dall’esistenza della persona che amiamo. Saremmo
motivati esclusivamente dal senso di pietà che quella persona ci ispira
perché ha bisogno di noi e che ci porta a sacrificarci per lei. Inutile
dire che nessuno sarebbe lusingato da una cosa del genere, né
l’accetterebbe. L’amore non è un sacrificio di sé, ma è l’affermazione
suprema delle nostre necessità e dei nostri valori. È per la nostra
felicità personale che abbiamo bisogno della persona che amiamo e questo
è il complimento, il riconoscimento più grande che possiamo tributarle.
Lei ha denunciato la nozione puritana che l’amore
fisico sia da considerarsi un male. Eppure ha scritto che «solo chi
considera il sesso come un male e se stesso come malvagio è in grado di
desiderare indiscriminatamente e indulgere nel sesso in maniera non
selettiva». Direbbe quindi che indulgere nel sesso in maniera
discriminatoria e selettiva è morale?
Condurre una vita sessuale selettiva e discriminatoria non vuol dire
indulgere nel sesso. Il termine “indulgere” implica un’azione compiuta
per caso e alla leggera. Il sesso è uno degli aspetti più importanti
della vita dell’uomo e, di conseguenza, non deve mai essere praticato
per caso o alla leggera. Una relazione sessuale deve basarsi sui valori
più elevati presenti in un essere umano. Il sesso non deve essere altro
che una risposta a tali valori. Ecco perché considero immorale la
promiscuità: non perché il sesso sia un male, ma perché è un bene troppo
importante.
Lei rifiuta l’idea che il sesso sia “sordo alla
ragione”. Ma il sesso non è un istinto biologico irrazionale?
No. Tanto per cominciare, l’uomo non possiede alcun istinto. Dal punto
di vista fisico, il sesso è semplicemente una capacità. Il modo in cui
un uomo esercita questa capacità e la persona che trova attraente
dipendono dai parametri di valutazione, che determinano le sue scelte e
di cui può essere consapevole o meno. È in questo modo che la filosofia
guida la sua vita sessuale.
Ne “La rivolta di Atlante”, lei scrive: «Ogni
questione ha sempre due facce, una giusta e una sbagliata, ma stare nel
mezzo è sempre sbagliato». Questo non vuol dire vedere tutto o bianco o
nero?
Assolutamente sì. Sono un’accanita sostenitrice di una visione del mondo
in bianco o nero. Chiariamo cosa vuol dire. Cosa significa l’espressione
“o bianco o nero”? Giusto o sbagliato. Prima di poter identificare
qualcosa come “grigio”, ossia una via di mezzo, bisogna sapere cos’è il
bianco e cos’è il nero, perché il grigio è semplicemente un miscuglio
dei due. Una volta stabilito che un’alternativa è giusta e l’altra è
sbagliata, niente può giustificare la scelta di una via di mezzo. Niente
potrà mai giustificare la scelta di qualcosa che sappiamo contenere una
parte di male.
Quindi lei crede negli assoluti?
Sì.
Allora l’Oggettivismo non può essere definito un
dogma?
No. Un dogma è una serie di convinzioni accettate per fede, ossia senza
una giustificazione razionale o contro qualsiasi dimostrazione
razionale. “Dogma” significa credere ciecamente in qualcosa.
L’Oggettivismo è esattamente l’opposto. Ci dice che non dobbiamo
accettare alcuna idea o convinzione di cui sia impossibile dimostrare
l’esattezza attraverso l’uso della ragione.
Lei si dichiara contraria alla fede. Crede in Dio?
Certo che no.
Nessuna religione, secondo lei, ha mai contribuito
in maniera costruttiva alla vita umana?
In quanto religione, no, ossia nel senso di cieca convinzione, di
credenza non comprovata dai fatti della realtà e dalle conclusioni della
ragione oppure contraria ad essi. La fede, in quanto tale, può essere
estremamente dannosa per la vita umana: rappresenta la negazione della
ragione. Ma bisogna tener presente che la religione è una forma
primitiva di filosofia: i primi tentativi di spiegare l’universo, di
fornire una base sistematica coerente di principi e presupposti e un
codice di valori morali alla vita dell’uomo sono stati compiuti dalla
religione, prima che l’uomo passasse di grado o si evolvesse abbastanza
da sviluppare la filosofia. E, in quanto filosofie, alcune religioni
presentano argomentazioni morali estremamente valide. Possono esercitare
un’influenza positiva o inculcare buoni principi, ma sempre in un
contesto alquanto contraddittorio e su una base… Come dire? Piuttosto
pericolosa o maligna: quella della fede.
Che posto occupa la compassione nel suo sistema
filosofico?
La compassione va esercitata soltanto nei confronti di coloro che sono
vittime innocenti, mai verso chi è colpevole moralmente. Se una persona
prova compassione per le vittime di un campo di concentramento, non può
provarla per i loro carnefici. Se prova compassione per i carnefici,
compie un atto di tradimento morale nei confronti delle vittime.
Sarebbe disposta a morire per la causa che
difende? I suoi seguaci dovrebbero essere disposti a morire per essa?
Per il vero oggettivista, che tanto contesta il sacrificio, esiste una
causa per cui vale la pena morire?
Il mio libro risponde chiaramente a questa domanda. Ne “La rivolta di
Atlante”, spiego che un uomo deve vivere e, quando necessario, lottare
per i propri valori, poiché vivere significa conquistare dei valori.
L’uomo non sopravvive automaticamente. Deve vivere come un essere
razionale e non accettare niente di meno. Non può sopravvivere come una
bestia. Persino il valore più semplice, come il cibo, deve essere creato
dall’uomo, deve essere piantato e prodotto. Lo stesso vale per le sue
conquiste più interessanti e importanti. Tutti i valori devono essere
conquistati e custoditi dall’uomo e, se essi sono minacciati, l’uomo
deve essere disposto a lottare e morire, se necessario, per il proprio
diritto di vivere come essere razionale. Lei mi chiede se sarei disposta
a morire per l’Oggettivismo. Sì, lo farei. Ma, cosa ancora più
importante, sono disposta a vivere per l’Oggettivismo, che è molto più
difficile.
Lei enfatizza il ruolo della ragione e questo la
mette in conflitto, dal punto di vista filosofico, con gli scrittori, i
romanzieri e i poeti contemporanei, molti dei quali si definiscono
mistici o irrazionalisti. Come mai?
Il punto è che l’arte possiede un fondamento filosofico e che l’attuale
tendenza filosofica dominante è una forma di neomisticismo. L’arte è una
proiezione del modo in cui l’artista vede l’uomo e la vita. Poiché molti
artisti non sviluppano una propria filosofia indipendente, assorbono, in
maniera consapevole o inconsapevole, le tendenze filosofiche dominanti
del loro tempo. La maggior parte della letteratura odierna riflette
fedelmente la filosofia attuale. E guardate cosa produce!
Ma uno scrittore non dovrebbe rispecchiare il
pensiero del proprio tempo?
No. Uno scrittore dovrebbe guidare attivamente il pensiero del proprio
tempo, non seguire passivamente qualsiasi corrente gli si proponga. Uno
scrittore dovrebbe modellare i valori della propria cultura, dovrebbe
proiettare e concretizzare i fini dell’uomo in materia di valori. È
questa l’essenza della scuola letteraria del Romanticismo, che non è
affatto scomparsa dalla scena attuale.
Il protagonista di uno dei suoi primi romanzi, La
vita è nostra, dichiara: «È la mia volontà a scegliere e la scelta della
mia volontà è l’unica legge che rispetto». Non è un atteggiamento
anarchico? La propria volontà e i propri desideri sono l’unica legge che
una persona deve rispettare?
Non la propria volontà. Questa è un’espressione più o meno poetica che
viene chiarita dal contesto generale della storia di La vita è nostra.
Si tratta piuttosto del proprio giudizio razionale. Io do
all’espressione “libero arbitrio” un significato del tutto diverso da
quello solitamente attribuitole. Il libero arbitrio è la facoltà
dell’uomo di pensare o non pensare. Quella di pensare è la scelta
fondamentale dell’uomo. Un uomo razionale non sarà mai guidato da
desideri o capricci, ma solo da valori fondati sul suo giudizio
razionale. È questa l’unica autorità che riconosce. Il che non significa
anarchia, perché, se un uomo vuole vivere in una società libera e
civile, deve, giustamente, scegliere di osservare le leggi, quando esse
sono obiettive, razionali e valide. Ho scritto un articolo a questo
proposito per The Objectivist Newsletter, sulla necessità e la funzione
propria di un governo.
Nella sua ottica, qual è la funzione propria di un
governo?
Esiste fondamentalmente un’unica funzione propria del governo: la
salvaguardia dei diritti individuali. Poiché i diritti possono essere
violati soltanto con l’uso della forza fisica, e con alcuni suoi
derivati, la funzione propria del governo è quella di proteggere gli
uomini da coloro che introducono l’uso della forza fisica: da quelli che
sono dei criminali. La forza, in una società libera, può essere usata
esclusivamente come rappresaglia e soltanto contro coloro che iniziano
ad usarla. È questo il compito proprio del governo: agire come
poliziotto per proteggere gli uomini dall’uso della forza.
Se la forza può essere usata esclusivamente in
rappresaglia alla forza, il governo ha il diritto di usarla per la
raccolta delle tasse, ad esempio, o per la coscrizione obbligatoria?
In teoria, la tassazione, come qualsiasi altra cosa, dovrebbe essere
volontaria. Ma come questo sia attuabile è una questione molto
complessa. Posso solo suggerire alcuni metodi, ma non tenterò di
sostenere che rappresentano una risposta definitiva. Una lotteria
statale, ad esempio, com’è in uso in molte nazioni europee, è un ottimo
metodo di tassazione volontaria. Ne esistono altri. Le tasse dovrebbero
essere contributi volontari per quei servizi governativi di cui la gente
ha bisogno e per i quali, quindi, è e dovrebbe essere disposta a pagare,
come paga per l’assicurazione. Ma, ovviamente, si tratta di un problema
che si porrà in un futuro lontano, quando gli uomini avranno instaurato
un sistema sociale totalmente libero. Sarebbe l’ultima riforma da
propugnare, non la prima. Quanto alla coscrizione obbligatoria, si
tratta di una pratica scorretta e anticostituzionale. Rappresenta una
violazione dei diritti fondamentali di un uomo, del diritto che ciascuno
ha alla propria vita. Nessuno ha il diritto di mandare un’altra persona
a lottare e a morire per una causa che non è sua, ma di chi lo manda.
Una nazione non ha il diritto di costringere gli uomini ad una servitù
contro la propria volontà. Gli eserciti dovrebbero essere composti
esclusivamente da volontari e, come le autorità militari vi
confermeranno, gli eserciti di volontari sono i migliori in assoluto.
E le altre necessità pubbliche? Considera le
poste, ad esempio, una funzione legittima del governo?
Chiariamo le cose. La mia posizione è del tutto coerente. Non soltanto
le poste, ma anche le strade, le autostrade e soprattutto le scuole
dovrebbero essere possedute e gestite da privati. Io sono partigiana
della separazione tra Stato ed economia. Il governo dovrebbe occuparsi
esclusivamente delle questioni che coinvolgono l’uso della forza, ossia
la polizia, i servizi armati e i tribunali, che servono a dirimere le
controversie tra gli individui. Niente di più. Qualsiasi altra cosa
dovrebbe essere gestita da privati, che farebbero un lavoro decisamente
migliore.
Cosa pensa dell’uso della forza nella politica
estera? Lei ha dichiarato che qualsiasi nazione libera aveva il diritto
di invadere la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale…
Certamente.
E che qualsiasi nazione libera, oggi, ha il
diritto morale, sebbene non il dovere, di invadere la Russia sovietica,
Cuba o qualsiasi altra “gabbia di schiavi”. È esatto?
Sì, è esatto. Qualsiasi dittatura, ossia una nazione che viola i diritti
dei propri cittadini, è criminale e non può reclamare alcun diritto.
Lei sosterrebbe attivamente l’idea di un’invasione
di Cuba o dell’Unione Sovietica da parte degli Stati Uniti?
Non al momento. Non credo sia necessario. Sosterrei, invece, ciò che
l’Unione Sovietica teme più di ogni altra cosa: il boicottaggio
economico. Sosterrei un blocco per Cuba e un boicottaggio economico per
l’Unione Sovietica: entrambi i regimi collasserebbero senza la perdita
di una sola vita americana.
Lei si dichiara anticomunista, antisocialista e
anti-liberal. Eppure rifiuta di considerarsi conservatrice. In realtà,
ha riservato alcune delle sue critiche più violente proprio ai
conservatori. Dove si schiera politicamente?
Correzione. Non ho mai descritto la mia posizione impiegando delle
negazioni. Io sono partigiana di un capitalismo laissez faire, sono
partigiana dei diritti individuali, in quanto non ne esistono altri, e
della libertà individuale. Sono queste le basi su cui contesto qualsiasi
dottrina che proponga il sacrificio dell’individuo al collettivo, come
il comunismo, il socialismo, lo Stato assistenziale, il fascismo, il
nazismo e il liberalismo moderno. Contesto il conservatorismo per i
medesimi motivi. I conservatori propugnano un’economia mista e uno Stato
assistenziale. La differenza tra loro e i liberal è esclusivamente di
grado, non di concetto.
Tuttavia si interessa di politica, o per lo meno
di teoria politica, non è vero?
Lasci che le risponda in questo modo: quando sono arrivata qui dalla
Russia sovietica, mi interessavo di politica per un’unica ragione, ossia
riuscire ad arrivare al giorno in cui non avrei più dovuto
interessarmene. Volevo assicurarmi di vivere in una società in cui sarei
stata libera di perseguire i miei fini ed interessi, in cui sarei stata
certa che il governo non avrebbe interferito per impedirmelo, in cui la
mia vita, il mio lavoro, il mio futuro non sarebbero stati alla mercé
dello Stato o del capriccio di un dittatore. Conservo lo stesso
atteggiamento ancora oggi, solo che ora so che una società del genere è
un ideale ancora da realizzare, che non posso aspettarmi che siano gli
altri a realizzarlo per me e che io, come ogni altro cittadino
responsabile, devo fare tutto il possibile per realizzarlo. In altre
parole, mi interesso di politica soltanto per garantire e salvaguardare
la libertà.
Nelle sue opere, lei sostiene che il modo in cui è
organizzato il mondo di oggi, anche nelle nazioni capitaliste, schiaccia
l’individuo e soffoca l’iniziativa. Ne “La rivolta di Atlante”, John
Galt guida lo sciopero degli uomini di ingegno, che finisce per
provocare il collasso della società collettivistica in cui vivono. A suo
parere, è giunto il momento che gli artisti, gli intellettuali e gli
imprenditori creativi di oggi facciano altrettanto, privando la società
del loro talento?
No, non ancora. Ma prima di spiegarle perché, devo correggere parte
della sua domanda. Quella in cui viviamo oggi non è una società
capitalista, ma un’economia mista, ossia un miscuglio di libertà e
controlli che, in base alle tendenze attualmente dominanti, è destinata
ad evolversi in una dittatura. Ne La rivolta di Atlante, l’azione si
svolge in un periodo in cui la società ha raggiunto lo stadio della
dittatura. Se e quando questo dovesse accadere, sarebbe quello il
momento di scioperare, non prima.
Escludendo questo tipo di sciopero, cosa
bisognerebbe fare, secondo lei, per determinare nella società i
cambiamenti che auspica?
Sono le idee a determinare le tendenze sociali, a creare o distruggere i
sistemi sociali. Perciò, bisognerebbe propugnare e diffondere le idee
giuste, la filosofia giusta. I disastri del mondo moderno, compresa la
distruzione del capitalismo, sono stati causati dalla filosofia
altruistico-collettivistica. È l’altruismo che gli uomini dovrebbero
ripudiare.
E come definirebbe l’altruismo?
Un sistema morale secondo cui l’uomo non ha il diritto di esistere per
se stesso, in quanto l’unica giustificazione della sua esistenza sta nel
servire gli altri, sacrificarsi per loro è il suo dovere più sacro,
sommo valore e massima virtù. È questo il fondamento morale del
collettivismo, di qualsiasi dittatura. Per poter ricercare la libertà e
il capitalismo, gli uomini hanno bisogno di un codice etico razionale,
né mistico né altruistico, di una morale secondo cui l’uomo non è un
animale sacrificale, ma ha il diritto di esistere per se stesso, non
sacrificando se stesso agli altri né gli altri a se stesso. In altre
parole, ciò di cui ha un disperato bisogno il mondo di oggi è l’etica
dell’Oggettivismo.
Quindi sostiene che, per ottenere questi
cambiamenti, bisogna usare essenzialmente metodi educativi e
propagandistici?
Certamente.
Lei critica aspramente il mondo come lo vede oggi
e i suoi libri offrono proposte radicali per cambiare non soltanto la
società, ma la maniera stessa in cui la maggior parte delle persone
lavora, pensa e ama. È ottimista circa il futuro dell’umanità?
Sì, sono ottimista. Il collettivismo, in quanto potere intellettuale e
ideale morale, è morto. Ma la libertà, l’individualismo e la loro
espressione politica, il capitalismo, non sono ancora stati scoperti.
Credo che gli uomini avranno il tempo di farlo. È significativo il fatto
che la morente filosofia collettivista di oggi non abbia prodotto altro
che un culto della depravazione, impotenza e disperazione. Guardi l’arte
e la letteratura moderne: dipingono l’uomo come una creatura debole e
irrazionale, destinata al fallimento, alla frustrazione e alla
distruzione. Questa può essere la confessione psicologica dei
collettivisti, ma non è una visione dell’uomo. Se l’uomo fosse come loro
lo dipingono, saremmo ancora all’età della pietra. Invece ci siamo
evoluti. Si guardi intorno e consideri la storia. Vedrà le conquiste
della mente umana. Vedrà la grandezza potenzialmente illimitata
dell’uomo e la facoltà che la rende realizzabile. Vedrà che l’uomo non è
necessariamente un mostro per natura, ma che lo diventa quando rinuncia
a questa facoltà: la mente. E se mi chiede cos’è la grandezza, le
risponderò che è la capacità di vivere secondo i tre valori fondamentali
di John Galt: ragione, obiettivi e autostima.
2 febbraio 2005
* © Playboy 1964 - Traduzione dall’inglese di Sarah Del Meglio)
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