Ayn Rand: il fascino dell’individualismo
di Nicola Iannello
da Ideazione, novembre-dicembre 2004

Se il sogno di ogni intellettuale è fare della propria vita qualcosa di unico e irripetibile e soprattutto testimonianza dei valori in cui crede, Ayn Rand il suo sogno l’ha realizzato. A nove anni decide di voler diventare scrittrice; donna matura, è un’autrice acclamata che vende milioni di copie dei suoi romanzi. A ventuno anni fugge dall’Unione Sovietica e raggiunge l’America; qui trova lavoro nel mondo del cinema, sposa un attore e diventa sceneggiatrice affermata. Appassionata cinefila, nelle sue schede – oltre 400 i film repertoriati tra il 1922 e il 1929 – colloca Gary Cooper al secondo posto tra gli attori preferiti, dietro al divo tedesco del muto Conrad Veidt; vent’anni dopo, Gary Cooper sarà il protagonista della versione cinematografica di The Fountain-head. Sperimentata in giovane età la durezza del potere totalitario del collettivismo bolscevico, in età adulta diventa il punto di riferimento di più di una generazione di amanti della libertà, a cui offre un’appassionata difesa morale dei diritti dell’uomo, dell’individualismo, del capitalismo. Studentessa insoddisfatta degli studi, è oggi oggetto di studio nelle università americane.

Coraggiosa, ambiziosa, determinata, Alisa Rosenbaum acquisisce una nuova identità sul suolo americano per diventare veramente se stessa. Se la vita di Ayn Rand è la realizzazione di un sogno, si tratta di un autentico sogno americano. Nata a San Pietroburgo nel 1905, l’allora Alisa Rosenbaum subisce con la famiglia le conseguenze dell’avvento al potere dei bolscevichi. Nel 1918 la famiglia ripara in Crimea dove la giovane si diploma nel 1921; tornati lo stesso anno i Rosenbaum a San Pietroburgo – ora Pietrogrado – Alisa si iscrive alla facoltà di Storia e si laurea nel 1924 all’Università di Leningrado (nuovo nome della città), quindi entra all’Istituto del Cinema per diventare sceneggiatrice e si mantiene facendo la guida nei musei. Nell’autunno 1925 ottiene il passaporto, valido sei mesi. Attraversa l’Europa in treno, festeggia il ventunesimo compleanno durante una sosta presso parenti a Berlino, si imbarca a Le Havre e raggiunge New York, dove si ferma brevemente prima di raggiungere altri parenti a Chicago; qui approfitta del fatto che uno di loro è proprietario di una sala cinematografica per vedere film ogni giorno. Inizia a scrivere sceneggiature per il cinema muto.

Assecondando la sua passione, i parenti le procurano una raccomandazione per i DeMille Studios. Arriva a Hollywood nell’agosto 1926; presentatasi senza successo con la lettera all’ufficio personale, si imbatte nel regista Cecil B. DeMille in persona, che la invita sul set di The King of Kings e le offre un posto da comparsa; tra gli attori del cast, conosce anche il futuro marito, Frank O’Connor, sposato nel 1929. Superata con qualche difficoltà la Grande Depressione, la prima parvenza di tranquillità economica arriva nel 1932 quando Ayn Rand vende alla Universal la sceneggiatura di Red Pawn per 15.000 $. Il lavoro sarà poi passato alla Paramount che vuol farlo interpretare a Marlene Dietrich, la quale, consigliata dal suo agente, declina in quanto aveva già girato una pellicola ambientata in Russia; il film, così, non fu mai fatto. Ma l’appuntamento col successo era solo rimandato.

L’appuntamento arriva col genere letterario cui il nome di Ayn Rand è meno legato: il teatro. L’idea è quella di una pièce dal finale “aperto”: una donna è processata per l’omicidio del datore di lavoro e amante; la giuria che dovrà emettere il verdetto viene scelta ogni sera tra il pubblico, di modo che la sorte della protagonista è nelle mani degli spettatori, chiamati a decidere tra le due versioni di innocente e colpevole. Woman on Trial, intitolata in origine Penthouse Legend, rappresentata a Hollywood nel 1934 e a Broadway nel 1935 col titolo Night of January 16th, ottiene critiche positive, consenso di pubblico e ottimi incassi. Esiste anche una versione cinematografica della commedia, girata nel 1941 da William Clemens, con Robert Preston, Ellen Drew e Nils Asther; la Rand non partecipa alla realizzazione, né si riconosce nel film. Ma in campo artistico, il nome di Ayn Rand è destinato a legarsi al romanzo e al cinema. Quattro le opere narrative della scrittrice, due le trasposizioni sul grande schermo, diverse le sceneggiature firmate, cui vanno aggiunti, in anni a noi più vicini, un documentario sulla vita e l’opera e un film biografico per la tv.

Il debutto narrativo

Il debutto narrativo randiano è il testo più autobiografico della scrittrice. In We the Living, del 1936, è raccontata la storia di una giovane russa di famiglia borghese che persegue l’amore e la libertà negli anni di instaurazione del regime sovietico. Come spiega la stessa scrittrice nella Prefazione alla seconda edizione, del 1958, «non è un romanzo “sulla Russia Sovietica”. È un romanzo sull’Uomo contro lo Stato». Esaltazione di una rivolta eroica, il romanzo propone i temi che diventeranno consueti nelle opere dell’autrice: la scoperta dell’unicità della propria personalità, la libertà intesa come sviluppo senza limiti di questa personalità, l’egoismo come centralità positiva dell’io e rifiuto dell’eterodirezione, l’amore e il sesso. Kira Argounova, attraverso l’incontro con Leo Kovalensky, un aristocratico controrivoluzionario, scopre contemporaneamente l’amore e la libertà; per questi due valori assoluti troverà la morte – con uno sconcertante sorriso sulle labbra – in un tentativo di fuga dall’Unione Sovietica attraverso il confine lituano.

Per far comprendere il clima culturale nel quale Ayn Rand muove i primi passi di romanziera – il Red decade –, basti ricordare quel che scrive il recensore del New York Times; pur elogiando la qualità letteraria di We the Living, Harold Strauss non può fare a meno di stigmatizzare «il cieco fervore con cui [l’autrice] si è dedicata all’annichilimento dell’Unione Sovietica», producendo così un libro «servilmente prono ai dettami della propaganda». We the Living fu portato sulle scene di Broadway come The Unconquered (che tra l’altro è il nome di battaglia del protagonista di Anthem, il secondo romanzo) nel 1939 con scarsissimo successo, tanto che fu ritirato dopo sole cinque rappresentazioni. Questo fu l’ultimo incontro tra Ayn Rand e il teatro.

Se il legame con il palcoscenico si interrompe, molto più felice prosegue il rapporto col cinema. All’insaputa della scrittrice, nell’Italia del 1942 il romanzo viene portato sullo schermo. In piena guerra, con pochi mezzi Goffredo Alessandrini gira un film lunghissimo – oltre tre ore – con un cast di alto livello (Alida Valli, Rossano Brazzi e Fosco Giachetti) e sceneggiatori di grosso calibro (Orio Vergani, Corrado Alvaro e Anton Giulio Majano). Noi vivi – Addio Kira! viene presentato al Festival di Venezia dove vince la Coppa Volpi e ottiene un grosso successo di pubblico, distribuito in due parti (da qui i due titoli) considerata la lunghezza. Un alone di mistero aleggia sulla vita del film, che una leggenda vuole ritirato da Mussolini in persona, colpito dalla carica anti-totalitaria della storia che sotto il mantello dell’anti-bolscevismo aveva tratto in inganno la censura. È Alida Valli a Hollywood negli anni Quaranta a svelare ad Ayn Rand di aver interpretato la parte di Kira nella versione cinematografica di We the Living; e la stessa attrice italiana cerca di convincere il grande produttore David O. Selznick a girare una nuova versione del film, ma inutilmente.
Una riflessione merita il modo in cui la critica cinematografica italiana giudica l’opera randiana. A proposito di Noi vivi – Addio Kira!, sembra che gli autori dei due più accreditati “Dizionari dei film”, Mereghetti e Morandini, si siano messi d’accordo nei fraintendimenti; il primo presenta l’opera non come «anticomunista» ma come critica della «degenerazione stalinista»; i secondi definiscono l’autrice «mediocre scrittrice di successo». Chissà, forse aver scritto un romanzo anti-bolscevico da cui in epoca fascista è stato tratto un film non corrisponde a quei dettami di correttezza politica che rendono rispettabile un intellettuale.

L’esplicita carica anti-bolscevica di We the Living rende più difficile la pubblicazione della seconda opera randiana, il romanzo breve Anthem. Dopo numerosissimi rifiuti di editori americani, a partire da Macmillan che aveva pubblicato l’opera d’esordio, Ayn Rand riesce a far uscire il libro in Inghilterra nel 1938, presso Cassell di Londra. Se il primo romanzo denuncia il collettivismo realizzato con ambientazione e veridicità storiche, il secondo è una distopia proiettata nel futuro che prende di mira una società da lungo tempo collettivizzata. In The Fountainhead, del 1943, protagonista è un architetto, Howard Roark, perfetto esemplare di individuo egoista e razionale che non accetta compromessi. Nella sua professione Roark – ispirato alla figura di Frank Lloyd Wright – cerca di dare agli edifici che progetta quella unicità e irriproducibilità che si trova negli individui. Ciò gli provoca enormi difficoltà nel fare accettare le sue idee, difficoltà che non lo piegano né lo dissuadono. Intorno al protagonista – man the hero randiano – ruotano gli altri personaggi, più archetipi filosofici che figure letterarie. Dominique Francon è la donna emancipata ma debole che non crede alla possibilità che Roark, l’uomo della sua vita, possa farcela contro l’ostilità del mondo; per questo cerca di mettergli i bastoni fra le ruote fino a quando non riconoscerà di essersi sbagliata e accetterà di diventare sua moglie. Peter Keating è il carrierista pronto a tutti i compromessi pur di emergere. Ellsworth Toohey è l’anti-Roark, il rappresentante della selflessness più ributtante, dell’altruismo come etica della dipendenza dagli altri e della strumentalizzazione reciproca tra gli uomini, del socialismo come dottrina politica che mette la società sopra l’individuo.

Gail Wynand è un self-made-man che pensa, come editore, di poter aiutare Roark fino allo scacco di comprendere di non avere potere e di perdere Dominique. Climax del romanzo è l’arringa di Roark al processo dove deve rispondere della distruzione di un complesso residenziale da lui fatto saltare poiché costituiva uno stravolgimento del suo progetto. L’affermazione dell’individualismo, dell’egoismo – la fonte meravigliosa di vita è lo spirito di un uomo, la forza vitale, la personalità – è radicale e passa attraverso l’esaltazione del creatore di contro al parassita: il primo non ha bisogno di nessuno, il secondo ha bisogno degli altri e predica l’altruismo; il primo conquista la natura, il secondo gli uomini. L’egoismo – concetto fondamentale dell’etica randiana – è un valore positivo che l’individuo afferma con orgoglio: «Non riconosco il diritto di nessuna persona su un singolo minuto della mia vita, né su una sola particella della mia energia. Io desidero dichiarare che sono un uomo che non esiste per gli altri. […] L’integrità del lavoro creativo dell’uomo è più importante di qualunque sforzo caritatevole». L’autodifesa provoca l’assoluzione di Roark.

La Warner Brothers acquista i diritti cinematografici dell’opera, affidando la sceneggiatura alla stessa Rand, che col marito nel 1943 torna a vivere in California (dal 1934 la coppia viveva a New York). Il regista è King Vidor, gli interpreti principali Gary Cooper e Patricia Neal, ma la lavorazione del film procede a rilento. Sotto contratto per The Fountainhead, Ayn lavora ad altre sceneggiature per il boss della Warner, Hal Wallis. Il primo film è The Conspirators (I cospiratori), del 1944, tratto dal romanzo di Frederick Prokosch City of Shadows, diretto da Jean Negulesco, con Hedy Lamarr e Peter Lorre. L’anno seguente è la volta di Love Letters (Gli amanti del sogno), dal romanzo Pity My Simplicity di Chris Massie, con Jennifer Jones – che ebbe la nomination all’Oscar – e Joseph Cotten, e di You Came Along (Incontro nei cieli), di John Farrow, con Robert Cummings e Lizabeth Scott.

La trasposizione cinematografica di The Fountainhead – La fonte meravigliosa nella versione italiana – arriva sugli schermi nel 1949 ed è un successo. Nel 1951 i coniugi O’Connor si stabiliscono definitivamente a New York, dove Ayn può dedicarsi a tempo pieno al suo più ambizioso progetto letterario. Atlas Shrugged è senza dubbio l’opera più nota di Ayn Rand, quella che ancor oggi attira nei circoli randiani delle università americane migliaia di studenti. In un’indagine congiunta della Biblioteca del Congresso e del Book-of-the-Month Club nel 1991, Atlas Shrugged risulta il secondo libro più influente per gli americani dopo la Bibbia. L’ambientazione è in un’America del futuro prossimo, al collasso a seguito della scomparsa degli “Atlanti” – ovvero gli innovatori, imprenditori e industriali su cui si regge la società – causata dal dominante collettivismo che distrugge l’individualità e la libertà proprie del capitalismo. Due industriali, Hank Rearden e Dagny Taggart, combattono la loro battaglia di individui razionali che rifiutano di accettare passivamente l’ascesa del parassitismo. Domina il romanzo la figura mitica di John Galt, l’eroe randiano per eccellenza; egli raccoglie nel suo rifugio sulle Montagne Rocciose, che ha per simbolo il segno del dollaro, gli esuli del paese in rovina in una società di individui che prestano il giuramento da lui predisposto: «Giuro sulla mia vita e l’amore che ho per essa che io non vivrò mai per un altro uomo, né chiederò a un altro uomo di vivere per me». Altre figure partecipano alla resistenza di Galt, come Ragnar Danneskjöld, che pratica la pirateria sui mari a spese dei governi, e Francisco D’Anconia, un magnate-playboy che abbraccia la causa degli Atlanti. Compimento del romanzo – che supera le mille pagine – è il discorso di John Galt che espone la filosofia dell’autrice e indica la via per la salvezza dell’umanità. Grazie ad un trasmettitore di sua invenzione, Galt riesce a parlare a tutta la nazione denunciando l’abisso in cui i suoi dirigenti l’hanno spinta; alla base del collasso c’è il misticismo, una filosofia della morte che rifiuta il principio di realtà e la ragione; a fondamento religioso o socialista che sia, il misticismo ha sempre come risultato il trionfo del parassita sul produttore, col paradosso che il parassita ha per definizione bisogno del produttore, negando così validità alla filosofia su cui basa la sua azione. Solo l’affermazione piena del valore della mente dell’uomo e il riconoscimento della di lui natura come «un essere di comprensione volontaria» permettono il trionfo dell’individuo e dei suoi diritti, ovvero la filosofia della vita. Galt chiama a raccolta tutti coloro che sottoscrivono il suo codice di moralità al fine di non partecipare alla distruzione dell’umanità e di unirsi a lui per preparare il ritorno di una società libera. Senza tema di esagerazione, si può affermare che la successiva produzione filosofica randiana non è che una nota a pie’ di pagina del Galt’s Speech.

Da anni nei circoli randiani d’America si parla della versione cinematografica di Atlas Shrugged – progetto al quale aveva cominciato a lavorare la stessa autrice. Recentemente, i diritti sono stati acquistati dal Baldwin Entertainment Group che sembra seriamente intenzionato a portare sul grande schermo la summa del randismo. L’avvocatessa, ora scrittrice, Erika Holzer, che col marito ha curato per un certo periodo gli interessi di Ayn e recuperato e restaurato per suo conto il film Noi vivi – Addio Kira!, racconta che l’autrice di Atlas Shrugged vedeva Robert Redford nei panni di John Galt.

La nascita dell’Oggettivismo

Uscita esausta dalla stesura del suo ultimo romanzo, Ayn Rand considera compiuta la sua opera narrativa. Il successo di Atlas Shrugged fa accorrere attorno alla scrittrice un gruppo di fan particolarmente attivi che la spingono ad approfondire le premesse filosofiche dei suoi romanzi. Nasce così l’Oggettivismo, la filosofia che Ayn Rand presenta come contributo innovativo e originale nel panorama della cultura occidentale. Ma nasce così anche quello strano culto della personalità e quel settarismo che caratterizzano in modo bizzarro il randismo. Cellula originale degli adepti randiani una coppia di coniugi canadesi: Nathaniel Branden (il cui vero nome è Blumenthal) e Barbara Weidman; attorno a loro il circolo si allarga, sempre però attraverso legami di parentela: l’attuale erede intellettuale – ma soprattutto patrimoniale – Leonard Peikoff è cugino di Barbara Branden e anche l’affiliazione di Alan Greenspan si spiega in questi termini: la prima moglie dell’attuale presidente della Federal Reserve è diventata consorte del cugino di Nathaniel Branden. La crisi del movimento arriva con la fine del sodalizio – e della relazione sentimentale – tra Ayn Rand e Nathaniel Branden nel 1968: nonostante gli sforzi della scrittrice, l’Oggettivismo perde molta della sua spinta propulsiva. Al di là delle valutazioni che si possono dare del movimento randiano, resta il contributo di Ayn Rand alla nostra cultura. Senza presunzione di tracciare una valutazione complessiva, si possono fissare alcuni punti. Siamo senza dubbio di fronte ad una figura controcorrente, sia in campo letterario, sia in campo filosofico. Nei romanzi Ayn Rand segue la strada del “realismo romantico”, affermando una visione dell’amore basata su un’idea eroica dell’uomo – nel senso di essere umano di sesso maschile – che la donna deve adorare proprio per le sue qualità di maschio: quanto di più lontano dalla cultura del femminismo in tutte le sue sfaccettature. Nella sua riflessione teorica, Ayn va contro tutte le tendenze affermate della cultura occidentale: filosoficamente è razionalista contro relativismo, nihilismo e vari aspetti del pensiero debole; politicamente sostiene la superiore moralità del capitalismo contro il consenso socialdemocratico, è individualista contro il primato del collettivo; è giusnaturalista in epoca di positivismo giuridico trionfante; in nome della libertà si schiera contro movimenti che si propongono traguardi ulteriori per la libertà come la contestazione giovanile e studentesca, l’ambientalismo, il multiculturalismo.

Il pensiero di Ayn Rand non nasce “contro”, non vuole essere “negativo”, è lo stato della cultura del suo tempo che lo rende tale. La filosofa ha la pretesa di sviluppare un sistema originale basato su un realismo ontologico di derivazione aristotelica – basti pensare che Atlas Shrugged è diviso in tre parti, intitolate come i tre principi della logica di Aristotele. Assunta l’opzione metafisica realistica, l’etica randiana si invera nell’“egoismo razionale” che indica la vita dell’uomo come fine e valore in sé; ne discende una concezione politica incardinata sui diritti umani intesi come diritti di proprietà, sul capitalismo come unica società razionale coerente con la libertà e la prosperità, sul governo limitato come garanzia di difesa esterna, ordine interno e amministrazione della giustizia.

Senza nulla togliere allo spessore dell’elaborazione teorica, la fortuna presente di Ayn Rand è legata alla fiction. Lo testimonia il fatto che il felice rapporto con il cinema è continuato anche dopo la morte della scrittrice. La vita intensa della romanziera filosofa è stato raccontato da Michael Paxton in Ayn Rand: A Sense of Life, che ha avuto la nomination all’Oscar per il miglior documentario nel 1997; dal film è stato tratto anche un bel libro, ricco di immagini difficilmente reperibili. Ha seguito il percorso più consueto dalla carta alla pellicola The Passion of Ayn Rand, il film diretto da Christopher Menaul, tratto dalla biografia di Barbara Branden, che nel 1999 ha fruttato un Emmy Award come migliore attrice a Helen Mirren nella parte di Ayn Rand e un Golden Globe come miglior attore non protagonista a Peter Fonda, nella parte di Frank O’Connor.

Assieme ai romanzi, il cinema è il veicolo più propizio per la circolazione delle idee e dei valori di Ayn Rand. Anche se immaginare un film che esalta il capitalismo in anni in cui intellettuali e mezzi di informazione vezzeggiano il movimento no global è abbastanza ardito vedere – chissà – Brad Pitt nei panni di John Galt potrebbe dare nuovo slancio al mondo di una scrittrice che tanto rappresenta per gli amanti della libertà.

2 febbraio 2005

 

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