George W. Bush il rivoluzionario
di Christian Rocca
da Ideazione, gennaio-febbraio 2005

Allacciatevi le cinture. Il secondo mandato di George W. Bush che si apre ufficialmente il 20 gennaio di quest'anno sarà più rivoluzionario del primo. Attenti, dunque. E concentratevi sul 2005 e sulla prima metà del 2006, i due anni in cui il riconfermato presidente americano sarà più libero di attuare il suo progetto. All'indomani della rielezione, editorialisti e politici italiani avevano sperato che il Bush numero 2 potesse essere più "buono", più multilaterale, più compassionevole. La proiezione dei propri desideri, la stessa che aveva fatto scommettere sulla vittoria di John Kerry alle elezioni del 2 novembre, s'è scontrata con le prime scelte post elettorali del presidente. Bush ha confermato Donald Rumsfeld al Pentagono, ha sostituito Colin Powell con Condoleezza Rice al Dipartimento di Stato, ha promosso il suo consigliere legale Alberto Gonzales al Ministero della Giustizia, ha salutato Robert Blackwill, l'uomo che fin qui ha guidato la transizione irachena, e ha messo pesantemente la mano dentro la Cia. In queste mosse c'è la chiave del programma dei prossimi quattro anni.

Bush ha individuato nelle normali tensioni istituzionali tra Pentagono e Dipartimento di Stato e nei contrasti tra le varie agenzie di intelligence alcune delle cause dei problemi in Iraq. Sa di avere poco tempo a disposizione, perché il 2006 è anno elettorale (voto di metà mandato) e subito dopo diventerà "un'anatra zoppa", sarà cioè indebolito dal fatto che non si potrà più ricandidare e che l'attenzione si concentrerà sul processo di nomina del suo successore. L'anno in cui potrà spendere in pieno il capitale politico guadagnato con la vittoria del 2 novembre, dunque, è questo, con una coda nel 2006. Ecco perché Bush ha scelto come ministri chi non sprecherà tempo in polemiche interne, e come collaboratori chi farà parlare l'Amministrazione con una sola voce.
Messa a punto la squadra, per capire le intenzioni del presidente texano nel secondo quadriennio bisogna come al solito ascoltare con attenzione le sue parole. Bush non è un politico che parla a vanvera. Gli piace, al contrario, sottolineare che la sua caratteristica è quella di dire sempre ciò che intende fare e che intende fare esattamente ciò che dice ("I say what I mean, and I mean what I say").

Non ci sono quasi mai messaggi cifrati o seconde letture nei suoi discorsi. Il giorno successivo il trionfo elettorale, Bush ha pronunciato la frase-canovaccio dei suoi prossimi quattro anni: "Con questo voto ho guadagnato un capitale politico che intendo spendere ¬ ha detto ¬ e lo spenderò nel modo promesso". Il modo promesso è il suo programma elettorale che prevede meno tasse e una semplificazione delle leggi fiscali, insieme a una spinta decisiva per il passaggio a una "società dei proprietari" nella quale i cittadini siano in grado di gestire la propria pensione e la propria assicurazione sanitaria. Su questo, e sull'istruzione, Bush andrà avanti come un treno.

Sul fronte internazionale, il programma del presidente prevede la difesa dell'America attraverso la promozione della libertà e della democrazia in Medio Oriente. Le elezioni palestinesi prima e quelle irachene poi, insieme allo storico voto in Afghanistan, sono le chiavi di volta della dottrina della Casa Bianca. Bush non è interessato alla semplice stabilità, cioè a sostituire Yasser Arafat o Saddam Hussein con altri dittatori magari più benevoli con Israele e l'Occidente. La sua visione, idealista e pragmatica allo stesso tempo, è neoconservatrice, cioè rivoluzionaria: la stabilità, di per sé, non porta pace e nel lungo termine nemmeno tanta stabilità. Solo lo Stato di diritto, una società libera, la libertà di parola, di pensiero, di movimento e di commercio possono garantire una pace durevole, la sicurezza per quei popoli tiranneggiati e, soprattutto, per il mondo libero. "Le democrazie non fanno guerre ¬ ha detto Bush ¬ I leader eletti devono rispondere al popolo e non ai capricci o ai desideri personali di un dittatore". Puro pensiero "neocon", consolidato dalla consapevolezza di aver liberato milioni di persone, afghani e iracheni. Bush tenterà subito di rispiegare il suo progetto agli europei, a chi è già convinto e a chi no, mettendoli in guardia della straordinaria opportunità rappresentata dalle prime tre elezioni democratiche del Medio Oriente.

Magari Bush porterà con sé il libro dell'ex dissidente sovietico Natan Sharansky, "The Case for democracy", che nei mesi scorsi ha consigliato a tutti i suoi interlocutori, da Tony Blair a Condi Rice. In quel libro c'è spiegata la strategia della democrazia che Bush ha intenzione di applicare in Medio Oriente, come in Iran e a Cuba. L'ex dissidente Sharansky ha raccontato la speranza che, da carcerato sovietico, riponeva nell'azione del mondo libero. E ha spiegato che lui e il suo paese sono stati liberati quando gli Stati Uniti decisero di vincolare i rapporti commerciali e politici con Mosca al rispetto dei diritti umani. Bush ha in mente esattamente questo: iil potere soffice della libertà, reso più credibile dalla minaccia militare, per provare a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di una società aperta e democratica.

Secondo il settimanale neoconservatore The Weekly Standard, Bush è un presidente "militante", un termine che solitamente si affibbia a chi è di sinistra, nel senso che sembra impaziente di voler attuare il suo ambizioso programma. E', contemporaneamente, anche un presidente "outsider", un alieno rispetto al teatrino della politica di Washington. Bush è anche un politico abituato a sorprendere tutti. Nei suoi primi quattro anni, infatti, s'è trasformato da isolazionista in interventista, ha cambiato la politica di sicurezza americana abbandonando il contenimento per l'azione preventiva, ha governato con il deficit e infine rilanciato l'economia non curandosi di mantenersi fiscalmente responsabile. Bush ha anche aumentato la spesa pubblica, fornendo medicine gratuite agli anziani, come neanche un presidente liberal si sarebbe sognato di fare. E, lasciando tutti di stucco, ha chiesto di legalizzare l'immigrazione clandestina. La sorpresa del secondo mandato potrebbe essere più grande: vedere realizzato il rivoluzionario progetto di liberazione del Medio Oriente.

25 gennaio 2005

 

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