Editoriale. The Right Nation
di Andrea Mancia
da Ideazione, novembre-dicembre 2004

Il “caso Buttiglione” è destinato a tracciare un confine profondo nel sistema politico italiano. Basta osservare la reazione della sinistra di fronte all’insolita, almeno per le nostre latitudini, alleanza tra cristiani e «laici clericali» denunciata da Ezio Mauro in un infuocato editoriale su Repubblica. Il direttore del quotidiano romano, riferendosi a quei laici italiani senza complessi di inferiorità culturale che hanno stigmatizzato il fondamentalismo politically correct di Strasburgo nella bocciatura di Rocco Buttiglione, ha parlato di «cristianesimo senza Cristo, conversione senza fede, falsa adorazione di un tabernacolo che si pensa vuoto». Senza fede in Dio, insomma, non si avrebbe il diritto di rivendicare, o tentare di proteggere, quel che resta della tradizione ebraico-cristiana della cultura europea. Proprio come, per un eccesso di fede, a Buttiglione si è negato il diritto di far parte della commissione Ue presieduta da José Manuel Barroso.

Giuliano Ferrara, servo sciocco – e senza Dio – del berlusconismo clericale, ma anche Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco e Paolo Mieli, sarebbero colpevoli di una «grande genuflessione pubblica ai precetti morali del cattolicesimo», per aver avuto l’ardire di denunciare la deriva nichilista di un’Europa che ha svenduto le proprie radici al miglior offerente. Galli della Loggia è addirittura paragonato a Pym Fortuyn (proprio lui che era omosessuale) e ai corsivisti della Padania, per la sfrontatezza con cui ha stigmatizzato la «triste Europa del politically correct» e per aver sottolineato che nessun cattolico in buona fede avrebbe potuto rispondere diversamente da Buttiglione, se interrogato sulla prospettiva che «a base della famiglia può non esserci il matrimonio e che può ritenersi tale anche quello tra due individui del medesimo sesso». Due posizioni chiare e per niente sconvolgenti, che hanno però provocato la reazione durissima degli “zapateri” di casa nostra.

L’allarme lanciato da Mauro è rilevante. Proprio come lo fu quello urlato da Scalfari, nel settembre del 2001, sempre dalle colonne di Repubblica, polemizzando con il programma di riforma della scuola presentato dal centrodestra. Pochi giorni prima dell’attacco terrorista agli Stati Uniti d’America, e all’Occidente, il fondatore del partito-giornale della sinistra giacobina italiana derise gli applausi riservati dal Meeting di Rimini all’allora neo-ministro della Pubblica istruzione, Letizia Moratti. «Quella platea – scriveva l’autore di Incontro con Io – è clericale quant’altre mai nel panorama della Chiesa italiana». Su istigazione del solito Berlusconi, spiegava Scalfari ai suoi lettori, la Moratti si accingeva a «pagare le cambiali politiche rilasciate alla destra clericale», rischiando «di rialzare pericolosi steccati che si speravano superati». Dallo stesso pulpito, tre anni dopo, Mauro ha lanciato un anatema simile. E se l’apparente oggetto del contendere è cambiato – dal rapporto dello Stato con la scuola privata all’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali – la sostanza della reazione resta la medesima: la sinistra italiana ha paura, anzi è letteralmente terrorizzata dall’ipotesi che la destra sia capace di trovare nella tradizione ebraico-cristiana dell’Occidente quel tratto comune unificante in grado di renderla, permanentemente, maggioranza. Perché la sinistra sa perfettamente che con altri popoli, ed altre chiese, questa operazione politico-culturale è stata in grado di relegarla ad una condizione di strutturale subalternità.

Dopo la dorata stagione dei tecnici-tuttofare e delle politiche economiche obbligate, che hanno di fatto sottratto al controllo democratico la gestione, e la potenziale riduzione, dell’intervento pubblico nell’economia, dopo gli anni dei magistrati che si arrogavano l’esercizio di una sorta di diritto di veto su qualsiasi modifica legislativa del sistema giudiziario, la sinistra italiana ed europea vuole oggi far scomparire dal tavolo del dibattito politico anche la scacchiera delle grandi scelte etiche, che dividono la cittadinanza e costringono gli schieramenti a contarsi. Scalfari & C. hanno in uggia gli “steccati”, non tanto perché “pericolosi”, ma perché costringerebbero i cittadini italiani a scegliere dove stare. Di qua o di là. E il partito mondiale del politicamente corretto ha orrore per le scelte di campo, a meno che non implichino il sostegno – attivo e diretto – a dittatori che odiano il nostro stile di vita (o la percezione che di esso è stata diffusa). Questo partito dai milioni di iscritti, più o meno consapevoli, preferisce alla pratica volgare della guerra di difesa la sottile arte della diplomazia. E l’élite illuminata che lo dirige ha da sempre una spiccata predilezione per il multiculturalismo, il relativismo etico, il culto della post-modernità, il nichilismo di una società senza futuro.

Negli Stati Uniti, dalla sfortunata ma lungimirante candidatura di Barry Goldwater alla Casa Bianca nel 1964 in poi, la destra ha avuto il coraggio di alzare uno steccato ideale di fronte al “nemico”. Una barriera difensiva modello-Sharon, allo scopo di contenere la prepotente avanzata di un liberalism ormai diventato parodia di se stesso, pronto a riconoscere la superiorità “scientifica” del modello marxista e ad arrendersi con il sorriso sulle labbra. Morto il materialismo storico e il sogno incombente della dittatura del proletariato, sotto i colpi incrociati di Ronald Reagan e Karol Wojtyla, questa Wrong Nation è rimasta senza santi, eroi o perfino navigatori. E si è ritrovata sola con la propria sfumata arrendevolezza e un invincibile, ma correttissimo, masochismo esistenziale. La lezione americana, che ha prodotto una Right Nation in grado di coniugare la lezione del liberalismo (quello vero) e del libero mercato di cose, persone e idee, con l’orgoglioso recupero della propria identità nazionale, religiosa e culturale, non può naturalmente essere replicata alla perfezione al di qua dell’Atlantico. Troppe le differenze tra il modello protestante, che ha dato vita allo “spirito del capitalismo” e quello cattolico, spesso portatore di una critica radicale al profitto e al semplice desiderio di migliorare le proprie condizioni materiali di vita. Ma troppo profondo, anche, il solco scavato dalle democrazie continentali del welfare, dello Stato-bambinaia e del multikulti ad ogni costo, che molti credono – forse a ragione – ormai impossibile da colmare nel nostro sempre più vecchio continente.

Dalla lezione americana è però possibile, anzi doveroso, trarre alcuni insegnamenti. Il primo è che secolarizzazione e libertà religiosa non sono necessariamente in contrasto tra loro, soprattutto nell’elaborazione di una piattaforma politica. Lo stesso partito che si fa sedurre dal carisma liberista e libertario di Arnold Schwarzenegger può eleggere senatore della Pennsylvania Rick Santorum, fustigatore del relativismo culturale e crociato della famiglia tradizionale, trovando una sintesi possibile nel compassionate conservatism di George W. Bush. Si può stare, dunque, con Ferrara e Formigoni, Berlusconi e Pannella, senza il timore di sentirsi fare la morale da una sinistra che va da Casarini a Cordero di Montezemolo passando allegramente per Cossutta e Prodi. La seconda lezione, sicuramente più significativa, è che – pur con qualche anno di ritardo – l’Italia e l’Europa si trovano finalmente a fare i conti con temi che per troppo tempo, nel Vecchio Continente, sono stati negati al vaglio del dibattito politico. I limiti della ricerca scientifica, i confini tra procreazione assistita ed eugenetica, la distinzione tra libertà sessuale e dissolvimento di fatto della famiglia tradizionale, il ruolo dello Stato e delle gerarchie religiose nell’educazione dei nostri figli: per qualcuno si tratta di domande a cui la scienza, la ragione o la mistica del politicamente corretto hanno dato, da tempo, una risposta; per qualcun altro, invece, si tratta di domande “aperte”, che sfuggono alle semplificazioni del pensiero debole e alla logica non-falsificabile di chi crede che la storia abbia una direzione ineludibile.

Come dimostrano i sondaggi d’opinione, ma anche l’insofferenza del popolo spagnolo allo zapaterismo rampante, la Right Nation ha i numeri per essere maggioranza. In America, non c’è dubbio, ma anche in quei paesi europei portati negli ultimi secoli dalla loro storia e dal loro “carattere nazionale” a guardare più verso Ovest che verso Nord ed Est. In Italia, per esempio, soltanto un cittadino su tre approva i matrimoni tra omosessuali. E soltanto uno su cinque si dice favorevole all’adozione di bambini da parte delle coppie gay. Non è un risultato dettato da retaggi oscurantisti o intolleranza diffusa, come qualcuno vorrebbe farci credere, ma da un sentire profondo della società che nessuna élite politica o culturale può ignorare o scavalcare. È forse ora che anche l’Europa, o almeno la parte meno decadente di essa, cominci a piantare una serie di “paletti” capaci di definire il senso della sua esistenza. Senza confini, politici e morali, si può soltanto scivolare nell’oblio.

12 novembre 2004

mancia@ideazione.com

 

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