"Bush è ancora l’uomo giusto"
intervista a David Frum di Alessandro Gisotti
da Ideazione, settembre-ottobre 2004

Impossibile prevedere oggi come sarà valutata fra cinquant’anni la presidenza di George W. Bush. Sicuramente, però, si ricorderà la battaglia ingaggiata dal quarantatreesimo capo della Casa Bianca contro “l’Asse del Male”. Quella formula l’ha coniata David Frum. Nato a Toronto, 44 anni fa, Frum è stato speechwriter di Bush nei suoi primi due anni di amministrazione. Resident fellow all’American Enterprise Institute, il tempio del neoconservatorismo americano, è columnist della National Review. Le sue analisi e riflessioni sono presenti anche nelle pagine degli editoriali di New York Times e Wall Street Journal. Nel 2003, ha ottenuto una grande popolarità con il libro The Right Man, (“L’uomo giusto”), best seller incentrato sulla figura di Bush jr. David Frum ha accettato di confrontarsi con Ideazione sul personaggio Bush e sul significato politico della sua presidenza. E, ancora, sulla sfida del 2 novembre con John F. Kerry.

Dopo quattro anni alla Casa Bianca, ritiene che George W. Bush sia ancora l’uomo giusto per guidare gli Stati Uniti?

Sì, George W. Bush rimane “l’uomo giusto” in questo momento storico. Il presidente Bush può non essere l’uomo buono per tutte le stagioni (prendendo in prestito il titolo della famosa opera di Robert Bolt su Thomas More). Come tutti noi, ha i suoi limiti e commette errori. Tuttavia, è categoricamente l’uomo per questa stagione di guerra al terrorismo, animato com’è da grandissima tenacia, forza di volontà e voglia di prevalere.

Può raccontarci un aneddoto personale sul presidente Bush per meglio comprendere la sua personalità?

Come governatore del Texas, Bush sponsorizzava annualmente una corsa di 10 chilometri per gli impiegati statali. Un anno, si è fatto male seriamente al ginocchio un mese prima della competizione. Un suo consigliere gli ha detto per scherzo: «Bene governatore, credo che quest’anno ti batterò nella corsa dei 10 chilometri». Il consigliere, va detto, era vent’anni più giovane di Bush e un ottimo atleta. Bush gli rispose a bruciapelo: «Scommetto 50 dollari che non mi batti». Si è allenato e allenato ancora e sì, ha vinto la scommessa! È davvero un accanito competitore.

Dopo la tragedia dell’11 settembre, la nazione era unita dietro al suo Comandante in Capo. Ora sembra divisa a metà. Come spiega questa evoluzione?

È importante che gli europei capiscano cosa significa e cosa non significa questa divisione. È vero, i sondaggi indicano che democratici e repubblicani sono gomito a gomito sia nella corsa presidenziale che nella disputa elettorale per il controllo della Camera e del Senato. Tuttavia, la ragione di questo risultato è che ognuno dei due partiti ha fatto un lavoro molto abile nel rappresentare le due metà in cui è diviso culturalmente il paese. Se guardate i sondaggi che analizzano dove i partiti traggono la loro forza, vedrete che i democratici ottengono il massimo tra i laici, i senza figli, i non sposati e ancora tra i meno educati e i più educati, tra i più poveri e i più ricchi, tra i cittadini non bianchi e tra gli immigrati. I repubblicani, invece, sono il partito di quelli che vanno a messa, delle coppie sposate, dei bianchi, della classe media in generale, sia che questa classe sia misurata per educazione che per reddito.

Quali sono le conseguenze di questa realtà? Davvero gli Stati Uniti sono un paese polarizzato?

Ognuna delle coalizioni ottiene circa il 48 per cento dei voti. Ciò non significa però che la nazione sia divisa sulla questione che preoccupa di più gli europei: la sicurezza nazionale. Su questo tema, più del 60 per cento degli americani preferisce l’approccio di George W. Bush a quello di John Kerry. In realtà, se Kerry vincerà le elezioni, sarà soltanto perché ha persuaso abbastanza elettori che terrà nei confronti del terrorismo islamico una linea dura quanto quella di Bush, e non perché li ha convinti che rifiuterà questa linea dura.

Delle due issue – guerra al terrorismo ed economia – quale sarà quella decisiva per il 2 novembre?

Non lo so, ma siccome entrambi sono a favore di Bush, la questione non è poi così importante!

Pensa che sia possibile un nuovo ticket repubblicano Bush-Giuliani, oppure è fantapolitica?

Escludendo qualche catastrofico incidente di salute, Richard Cheney sarà il candidato vicepresidente repubblicano per il 2004. Giuliani, comunque, potrebbe essere un ottimo candidato presidenziale per i repubblicani nel 2008, sempre che trovi un modo per far pace con le componenti antiabortiste del partito repubblicano.

I critici dicono che John Kerry sia un volta gabbana. Per i suoi supporter è un uomo forte e prudente. Come definirebbe il senatore del Massachusetts?

Lo definirei un uomo con un’idea molto chiara di ciò che non vorrebbe fare come presidente… ma che ha una tremenda difficoltà nel decidere ciò che vorrebbe fare.

23 ottobre 2004


 

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