Berlusconi, un leader sotto pressione
forum con Ernesto Galli della Loggia, Antonio Polito
e Gaetano Quagliariello a cura di Cristiana Vivenzio

da Ideazione, luglio-agosto 2004

E’ impossibile avanzare una valutazione complessiva sulla leadership carismatica, e in particolare su quella di Silvio Berlusconi, senza tenere conto del recente risultato elettorale. Sia il dato europeo sia quello amministrativo, infatti, seppure in maniera differente, hanno registrato una evidente perdita di consensi per Forza Italia e quindi di fatto una sconfitta della leadership del Cavaliere. Si può immaginare questo come un normale incidente di percorso, magari recuperabile attraverso una migliore attività di governo da oggi fino alle elezioni politiche? Oppure potrebbe trattarsi del primo vero colpo alla leadership di Berlusconi? E in questo caso, che cosa serve in più alla Casa delle Libertà rispetto a quello che finora il Cavaliere le ha dato? Infine, come si riflette sull’opposizione tale leadership carismatica? Ernesto Galli della Loggia, Antonio Polito e Gaetano Quagliariello hanno riflettuto insieme su questi temi.

Galli della Loggia – Sono molte le questioni messe in gioco. Ma una premessa mi pare indispensabile: non ho mai creduto che la leadership di Berlusconi sia populistica o carismatica. Trovo piuttosto che il consenso che Berlusconi ha ottenuto, e continua ad ottenere, sia un consenso squisitamente ed essenzialmente politico. Del resto a votarlo è proprio quella parte d’Italia che non lo considera un grande capo populista o un capo carismatico: come si può pensare a Berlusconi come ad un populista, quando il populismo ha come tratto essenziale l’avversione per il big business, quando populista è l’uomo del popolo contro i grandi interessi? Come lo si può considerare poi un leader carismatico se non riesce neanche a guidare il suo governo? Il consenso berlusconiano è esclusivamente politico. Berlusconi rappresenta tutta quell’Italia che è disposta a passare sopra ai suoi evidenti limiti perché non vuole la sinistra al governo. O meglio, rappresenta tutto quell’elettorato che lo vota perché non vuole portare questa sinistra al governo. Questo è stato il dato rilevante che ha consentito alla coalizione di centrodestra di mantenere il suo consenso politico pur in condizioni complessivamente avverse. Ed è lo stesso dato che ha impedito alla sinistra – seppure in condizioni a lei assolutamente favorevoli e nonostante le fortissime aspettative – di erodere il consenso complessivo dei suoi antagonisti, i quali, invece, hanno assistito ad una sostanziale ridistribuzione del voto all’interno della coalizione. Da queste poche considerazioni mi sembra inequivocabile che il consenso di destra non è un consenso tributato alla figura carismatico-populistica di Berlusconi. Ma è un consenso anti-sinistra. L’Italia è un paese sostanzialmente conservatore: il 75 per cento degli italiani è proprietario di case. La maggior parte dell’elettorato italiano non si fida di una sinistra in cui conta troppo Bertinotti, in cui ci sono i no-global e i dissidenti, e preferisce il male minore: Berlusconi. Fatte tutte queste valutazioni e alla luce del dato elettorale non è improbabile, allora, che alle prossime elezioni politiche – dove sono in gioco la sicurezza, le tasse, ciò che realmente conta nella vita quotidiana – la destra vinca di nuovo. Una riflessione a parte merita la ridistribuzione dei voti all’interno del centrodestra. Questa è stata il frutto di un altro elemento: Berlusconi in questi anni non ha mostrato alcuna capacità effettiva di governo. Perché in realtà è incapace di governare, è capace soltanto di vincere le elezioni, e non certo per il carisma populistico.

Se nel paese esiste un blocco conservatore che vota la destra contro la sinistra, allora la presenza di un leader carismatico non è una garanzia di successo elettorale e i leader del centrodestra possono essere intercambiabili.

Galli della Loggia – Non è così facile. Il Cavaliere ha la credibilità del leader perché gli viene riconosciuta dagli altri. Tutta la destra lo identifica come il suo capo. Nessun altro leader dello schieramento gode di questa immagine. E questo risultato non lo ottiene in virtù di un fascino carismatico, ma per altri motivi ben precisi: innanzi tutto Berlusconi è l’unico che è stato in grado di mettere insieme tutte le anime del centrodestra. Inoltre, ha a disposizione grandi risorse personali, e sappiamo quanto le risorse siano importanti in politica. Infine, ha le televisioni. Tutte cose che non hanno nulla a che fare con il carisma o le virtù del populismo, ma che hanno molto a che fare con i suoi assets.

Polito – Personalmente, invece, credo che sia cominciato da tempo, almeno un anno fa, in concomitanza con le elezioni amministrative del 2003, un processo che di fatto ha messo in crisi la maggioranza di governo. E che già da allora si sia avviata quella verifica – peraltro mai finita, o forse neppure cominciata – che dimostra che c’è un problema di crisi della leadership di Berlusconi sul centrodestra. A mio modo di vedere Berlusconi è destinato – con tempi più o meno lunghi, a seconda delle pieghe che prenderà la vicenda politica italiana, e con tempi che dipendono dai comportamenti degli avversari, perché naturalmente la politica si modella anche sulla base di quello che farà l’altro polo – a non essere più un Daily per il centrodestra. Se si discute poi sulla qualità del valore aggiunto rappresentato da Berlusconi, mi trovo d’accordo con Galli della Loggia sulle considerazioni che ha fatto circa il populismo berlusconiano. Non condivido, invece, quanto ha sostenuto sull’aspetto carismatico: è innegabile un elemento di leadership carismatica in Berlusconi – come del resto è innegabile in Prodi – che risponde però ad un’esigenza ben precisa: far fronte alla crisi della democrazia parlamentare. Ebbene, essa ha avuto due capacità decisive. La prima è stata una capacità federativa, cioè la capacità di mettere insieme l’Italia non di sinistra, con un effetto clamoroso nella storia del nostro paese, e cioè portare l’Italia di destra al governo, darle quella legittimità democratica sulla quale poi la destra ha lavorato di suo, portare un certo pensiero politicamente scorretto nell’Italia di dieci anni fa alla dignità di maggioranza del paese. Fare quell’operazione che la Dc non ha mai voluto fare, poiché ha sempre eretto una barriera a destra, sostenendo di essere un partito di centro che guardava a sinistra. Berlusconi ha “federato” quest’Italia: operazione storica ed estremamente utile per la maturazione del sistema politico in senso bipolare.

Galli della Loggia – Un’evoluzione che solo lo stato di necessità ha reso possibile: nel ’93 non ci sarebbe stato altro da fare che aggregarsi al centrosinistra. Quest’operazione storica è stata possibile solo per circostanze eccezionali.

Polito – Diciamo che si è dimostrata vera la tesi di chi sosteneva che da Tangentopoli era più probabile un’uscita della vicenda politica italiana a destra piuttosto che a sinistra. La seconda capacità che Berlusconi ha avuto è stata di tipo innovativo. Berlusconi ha portato nel discorso pubblico italiano idee abbastanza originali, almeno nel nostro paese, seppure non nel complesso d’Europa. Capacità innovativa vuol dire impegno nella riduzione delle tasse – una parola d’ordine pressoché impensabile prima di Berlusconi, anche se presente da tempo nel discorso pubblico di altri paesi – vuol dire l’idea di far pesare meno i partiti nella gestione degli affari pubblici: uno degli elementi di successo di Berlusconi è stato quello di presentarsi come antipartito, come leader di un movimento che si disfaceva di tutta la vecchia politica. Oggi, mi sembra, la capacità federativa di Berlusconi è finita, o almeno è destinata a declinare. Ed ha mostrato segni evidenti di crisi già nella “ribellione” sempre più determinata dei centristi e di An nei confronti di questa leadership. Essi lamentano da più di un anno un eccesso di potere di Berlusconi; e un eccesso di potere della Lega la quale, imponendo un condizionamento troppo forte, impedisce di fatto al governo di governare. Se la capacità federativa è destinata a tramontare, non si è invece del tutto esaurita la forza innovativa del messaggio berlusconiano. Lo dimostra il fatto che il centrosinistra, nel momento più basso non solo della capacità di attrazione del centrodestra ma dello stato del paese, non sia riuscito a strappare voti al centrodestra. L’esito scontato in una prospettiva di medio periodo, però, è che Berlusconi finisca come la Thatcher: che venga considerato da un certo momento in poi della vicenda politica italiana come un impedimento al successo della coalizione e che quindi sia sostituito. Il tutto con tempi ben più rapidi della vicenda inglese, perché da noi il bipolarismo è molto più incerto, più immaturo, e anche perché…

Galli della Loggia – Perché non c’è stata la guerra delle Falkland.

Polito – Tornando alla crisi della coalizione, si possono fare tante discussioni: sulla delusione per esempio che l’azione di governo ha suscitato nelle fasce sociali che di quell’azione dovevano essere invece l’asse portante, sul fatto che se si vanno a vedere le grandi decisioni politiche del centrodestra sembrano tutte fatte per ingraziarsi l’elettorato tradizionale del centrosinistra, pensiamo solo alle pensioni minime. In questo senso vi è un ripiegamento che può trovare alla lunga rifugio nel centrosinistra.

Galli della Loggia – Ma deve prima cambiare il centrosinistra...

Polito – Certamente. E probabilmente l’alternanza non sarà possibile finché il centrosinistra rimane l’immagine del corteo contro Bush o delle politiche di Bertinotti, finché molti suoi esponenti continuano ad essere quelli che non potrebbero mai sedere come ministri ad un tavolo della Nato, o in una riunione del Consiglio dell’Ue, finché darà l’impressione di subire il richiamo delle politiche più estremiste. La questione, dunque, non è tanto sapere se vinceranno, il problema è capire che cosa pensano, come agiranno. Allora mi sembra chiaro che sul tramonto della leadership di Berlusconi avrà un riflesso enorme il comportamento del centrosinistra, che può accelerare o rallentare quel fenomeno. Ma se vogliamo vedere la cosa solo nella prospettiva del centrodestra, in rapporto alle alleanze e al proprio elettorato, a mio avviso è cominciato da tempo un declino irreversibile della capacità di federazione della leadership del presidente del Consiglio.

Quagliariello – Io credo, invece, a giudicare dal risultato elettorale, che siano amplissimi i margini perché Berlusconi si riprenda. E partendo da qui vorrei fare tre considerazioni. La prima è di tipo comparativo: rispetto a tutti gli altri leader di governo europei il risultato di Berlusconi è stato di gran lunga il migliore. In secondo luogo questo risultato è stato conseguito non voglio dire nel momento più basso, perché non va sottovalutata la liberazione degli ostaggi in Iraq nell’ultima settimana prima delle elezioni, ma comunque in un momento difficile per il governo. è inimmaginabile che una congiuntura economica negativa, che dura ormai da oltre cinque anni, non cambi di segno e che questa seconda parte della legislatura non sia migliore della precedente. La terza considerazione che vorrei porre all’attenzione – e questo va nel senso di ciò che diceva Galli della Loggia – è che Berlusconi è anche un impolitico, che ha completamente sbagliato le liste elettorali, ha tenuto a casa i suoi ministri, ha “disarmato” chiunque si mostrasse forte nel suo partito, pensando di poter avere alle elezioni europee lo stesso effetto che può prodursi con un’elezione di tipo maggioritario. Cosa impossibile. Sotto questo aspetto la scelta di Fini di candidare Gasparri, Alemanno, Mattioli, è stata certamente più azzeccata. Nonostante ciò Forza Italia ha raggiunto il 21 per cento. Una sconfitta rispetto alle precedenti elezioni europee, ma non una sconfitta disastrosa, e in quanto tale perfettamente recuperabile. E qui entrano in gioco due elementi di fondo: il primo riguarda la personalità di Berlusconi; il secondo riguarda una considerazione più generale sul ciclo politico. Sulla personalità di Berlusconi credo che le categorie della scienza politica ci aiutino fino ad un certo punto. Berlusconi è un evento eccezionale della politica italiana, ed è vero che non è un politico tradizionale. Ma è anche vero che è stato in grado di fare delle operazioni politiche che probabilmente a politici più consumati non sarebbero mai riuscite. Ne cito solamente due: è stato lui che ha imposto in Italia il ruolo del leader, carismatico o meno, costringendo l’altra parte a mettere in campo un proprio leader (non dimentichiamo che senza Berlusconi oggi in Italia avemmo avuto solo due spezzoni di destra non in grado di formare una coalizione e chissà quale sinistra); è stato lui che ha imposto una linea di politica estera in totale discontinuità con quanto l’Italia aveva fatto nel cinquantennio precedente. La situazione, insomma, mi appare del tutto recuperabile, gli elementi congiunturali del voto mi sembrano anzi fortemente “positivi”, anche perché pongono molti problemi allo schieramento avversario. Il voto, infatti, ha messo in evidenza anche un altro elemento: l’esaurirsi della leadership di Prodi. Si tratta ora di capire come Berlusconi reagirà di fronte alla “sconfitta” personale. Un leader tradizionale in questo momento potrebbe operare in due modi: creando effettivamente un partito e mettendo a capo di Forza Italia una classe politica solida, ovvero prendendo atto che un ciclo volge al termine. Del resto, Berlusconi è sulla breccia da dieci anni – per un periodo più o meno della stessa durata nella storia d’Italia si parla di età giolittiana – ed è naturale che ad un certo punto le cose finiscano.
Un altro esito possibile sarebbe quello di cercare una secolarizzazione della sua esperienza, ad esempio con un incarico istituzionale prestigioso per sé, pensando allo stesso tempo alla sua successione. Ciò sarebbe plausibile se veramente andasse in porto la riforma del premierato, con il presidente della Repubblica in un ruolo più moderato. Un’opzione praticabile se non avessimo una sinistra del tutto incapace di ragionare e dialogare. Queste sarebbero due soluzioni di tipo “razionale” che presenterebbero tutti i margini per un recupero. Ma sono analisi che valgono nella spiegazione della situazione politica e molto meno per quella dei fatti reali, perché il modo in cui Berlusconi reagirà ho l’impressione – e devo dire anche il timore – che non sarà né l’uno né l’altro.

Dai vostri interventi pare che risalti il dato politico molto più che quello strettamente carismatico: Berlusconi ha successo e vince quando indovina la scelta politica, seppure da impolitico. Ma c’è da chiedersi: se Berlusconi non è soltanto un leader dotato di carisma, il ruolo del partito, di Forza Italia è in qualche modo recuperabile?

Galli della Loggia – Forza Italia non esiste. Forza Italia è Berlusconi. Il consenso di Forza Italia misura il consenso del Cavaliere. E ho l’impressione che lui un partito non possa e non voglia costruirlo. Il costante andamento negativo alle elezioni amministrative indica in primo luogo che il partito non riesce a strutturare la sua presenza politica nella società italiana, nelle sue localizzazioni, nelle sue articolazioni. Berlusconi può raccogliere voti soltanto in una grande competizione politica, incentrata, come il maggioritario favorisce, sulla presenza dei leader e di messaggi contrapposti. Mi sembra emblematico che le elezioni europee siano andate in direzione diametralmente opposta rispetto alle amministrative, pur essendosi svolte contemporaneamente. Perché nelle elezioni europee, che Berlusconi ha voluto incentrate su di sé, ha prevalso la quintessenza politica di schieramento. Nelle elezioni amministrative questo non avviene. Credo che una vera classe politica, che si può fare al centro ma si costruisce a partire dalla periferia, non potrà mai nascere perché Berlusconi non vuole che ciò avvenga. Perché non capisce la necessità di una sua esistenza. è questo l’elemento fondamentale della sua debolezza politica.

Eppure nella precedente legislatura, quando era all’opposizione, c’è stata l’impressione che stesse formandosi una classe politica intermedia nel centrodestra.

Galli della Loggia – Non penso che ci sia mai stata una presenza di Forza Italia come classe politica periferica. Perché Berlusconi non ha idea di che cosa sia un vero rapporto politico. In questo senso, forse, si può sostenere che quella del Cavaliere sia una leadership carismatica. Lui pensa che ciò che conta in politica sia il messaggio generale. Del resto, è uomo di pubblicità, e la pubblicità ha a che fare con l’elemento carismatico: il prodotto viene acquistato più per l’aura che ispira che per le sue qualità specifiche. Berlusconi pensa che neanche per il messaggio politico valgano tanto le sue specificità realistiche e realizzabili, ma conti l’aura. Il suo è un messaggio politico del tutto privo di originalità – e in questo mi sento di dissentire da Polito – come sempre è privo di originalità il messaggio pubblicitario: “meno tasse e abbasso i partiti” è il qualunquismo nazionale. Nessuna originalità del messaggio, nessuna capacità realizzativa, altro che la Thatcher. L’obiettivo di Berlusconi è realizzato la sera delle elezioni, quando ha vinto e il messaggio è passato. Poi, però, non sa che fare. Ciò che pare più interessante è il confronto con Prodi su questo terreno: neanche Prodi vuole un partito, ed oggi i veri partiti dei due leader del centrodestra e del centrosinistra sono partiti esterni, sono la Lega e i Comunisti italiani, quelli che puntano su di loro perché vedono in loro l’elemento di coalizione che li fa contare. Questo non significa che sia finita la capacità federativa di Berlusconi: tutti quelli della destra sanno che per vincere le elezioni bisogna federarsi. E chi li federa? Chi sostituisce Berlusconi? La funzione crea l’organo. Finché sarà necessario avere un leader, e il maggioritario lo richiede, il centrodestra avrà bisogno del suo. Chi può esserlo se non Berlusconi?

Secondo questa interpretazione sembra allora che il centrosinistra sia condannato a vincere esclusivamente alle elezioni amministrative.

Polito – Che l’Italia sia in prevalenza anticomunista, come dice Berlusconi, è un dato di fatto e dovrebbe far capire al centrosinistra che meno è di sinistra, più ha possibilità di vincere. Questo è scontato. Diciamo che non è impossibile che questo accada sui tempi lunghi. Perché se è accaduto che in dieci anni dalla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto si sia arrivati alla guida di un democristiano vuol dire che qualcosa cambia anche in quello schieramento. L’Italia è un paese che ha avuto una sinistra comunista e in cui c’è tuttora una forte presenza della sinistra cattolica, talvolta anche più integralista degli ex comunisti. Questo è un nucleo estremamente forte che si attesta attorno al 13 per cento, anche se poi questa resistenza appare del tutto ingiustificata dal punto di vista elettorale: dove sono i girotondi e il movimentismo? Dov’è la crescita della sinistra-sinistra? Ma m’interessa approfondire il tema del centrodestra, perché l’alternativa che ha posto Quagliariello, o partito o coalizione, vuol dire successione. È vero che il radicamento partitico di Forza Italia è una strada impercorribile, proprio perché credo all’interpretazione che si è data del messaggio politico di Berlusconi, che è la risposta tipica che oggi viene data un po’ in tutto il mondo alla crisi della democrazia parlamentare. Nell’era di quella che viene definita la post-democrazia, la democrazia parlamentare ha perso la sua capacità di mediazione. Oggi si cerca un rapporto diretto tra leader e opinione pubblica. E il messaggio di Berlusconi, che non è solo pacchetto pubblicitario o uso spregiudicato dei media, viene letto in maniera troppo banale anche da chi vi si oppone da sinistra. Paradossalmente, in periferia è il centrosinistra che mima, scimmiotta quel meccanismo inventato da Berlusconi: pensiamo a Soru, Illy, Emiliano, Divella. L’altro punto è il personale politico. Nel governo non c’è, con l’eccezione di Tremonti e la Moratti, che tra l’altro sono i ministri più invisi di Forza Italia, personale politico di alcun livello, di alcun appeal. Voi avete detto: non ha portato i ministri in campagna elettorale. E chi avrebbe potuto portare?

Quagliariello – Ma un ministro in quelle occasioni viene comunque mobilitato, perché ha delle risorse e la possibilità di utilizzarle. Ai ministri di Forza Italia è stato chiesto quello che la subcultura generale chiederebbe ad un ministro: di non trattare con gli interessi. Ma si sta parlando di ministeri che hanno tradizionalmente spostato il 3-4 per cento dei voti.

Polito – L’accordo interno al partito non sarebbe risolutivo. La chiave per il centrodestra è quella coalizionale. La possibilità di farcela nel 2006, secondo me del tutto impregiudicata, dipende dalla presa d’atto di questa situazione diversa e nuova, e cioè che la capacità federativa di Berlusconi deve esercitarsi in forme più politiche e in favore della coalizione. Se in due anni il centrodestra si dovesse accorgere che Berlusconi non è in grado di operare in questo senso e dovesse continuare la guerra di tutti contro tutti, non so quale potrebbe essere il futuro della Casa delle Libertà. Il Cavaliere deve prendere atto della necessità di cominciare ad indicare una linea di successione. Per il bene del centrodestra ma anche nel suo interesse, perché rimettere insieme la maggioranza vuol dire avere la possibilità di vincere le elezioni. Chiarire la linea di successione significa fare nomi, realizzare assi nel governo. Per avviare tale alternativa ci sono due strade percorribili. La prima è quella che passa per la cooptazione, la linea Casini-Follini: Berlusconi dovrebbe cioè trasformare progressivamente Forza Italia in una nuova Democrazia cristiana. L’altra è quella più tipica di un governo di coalizione: lasciare l’eredità alla seconda forza, cioè a Fini. Fare di Fini nel quadripartito del centrodestra ciò che fu Craxi nel pentapartito di centrosinistra. Fini è l’uomo che ha i voti necessari per tenere insieme o far cadere il governo e di conseguenza a un certo punto potrebbe reclamarne la guida. Naturalmente parlo in prospettiva.

Quagliariello – Il problema dell’esaurimento del ciclo Berlusconi che avverrà prima o poi, nelle prossime elezioni o qualche anno più tardi, ma è iscritto nella fisiologia delle cose, è un problema che si dovrebbero porre gli altri componenti della coalizione. Non è possibile chiedere a Berlusconi di risolvere anche il problema della sua uscita di scena. Sotto questo aspetto, lui il problema del partito non se lo pone perché dal suo punto di vista lo ritiene un intralcio. Certamente vi è un problema di fondo: esiste la possibilità che questo assetto del sistema politico duri quanto Berlusconi e che, finito lui, venga meno il bipolarismo. Anche se ritengo che oggi sia molto difficile “farlo fuori”. Me ne sono convinto dopo queste elezioni europee, in cui abbiamo assistito a qualcosa che era difficile immaginare: la sconfitta contemporanea dei due pilastri di destra e di sinistra. Allora, se si scarta la prospettiva di un ritorno al centrismo – che secondo me potrebbe essere causato solo da una situazione catastrofica di politica internazionale, che nei fatti pone al centro del dibattito pubblico il problema dell’Occidente, creando a sinistra una scissione inevitabile tra le due parti – allora del problema della successione dovrebbero cominciare ad occuparsi i compagni di strada di Berlusconi.
Nella sfera di Forza Italia, ad esempio, esistono quattro forze, che corrispondono a quattro persone, che hanno poi alle spalle insediamenti sociali o posizioni culturali strutturate: Gianni Letta, Roberto Formigoni, Giulio Tremonti e Marcello Pera. Il problema di Forza Italia può nascere dal rapporto tra le forze che queste quattro persone rappresentano e a cui si riferiscono all’interno della società italiana. Ma il problema della successione dipende anche dai comportamenti assunti dai possibili successori. Casini e Follini, innanzi tutto, che oggi sembrano mostrare una sorta di “allontanamento” in fieri, con il primo che mostra tutto l’interesse ad avvicinarsi quanto più possibile ad un serbatoio di potenziali voti all’interno della coalizione, e il secondo che persegue una strategia di erosione dall’esterno. Poi Fini che non ha ancora deciso se essere il capo del proprio partito o essere il successore di Berlusconi.

Polito – Aggiungo solo una valutazione di lungo periodo pur rischiando di sembrare velleitario, se non fantasioso. Secondo me la sopravvivenza del bipolarismo in Italia – sistema che continuo a sostenere perché ha consegnato i risultati migliori e corrisponde anche al mood dell’elettorato – si gioverebbe anche dell’esistenza di un terzo polo. Questa ipotesi viene generalmente considerata, erroneamente, una sorta di oltraggio al bipolarismo. Tutti i sistemi elettorali hanno un terzo polo. Il bipolarismo britannico, perfetto anche dal punto di vista del sistema elettorale, ha un terzo polo, che conta eccome nella vicenda politica.

Galli della Loggia – Queste affermazioni, che condivido in astratto, sono di difficile realizzazione in Italia, perché da noi il terzo partito non può che essere la Democrazia cristiana, con le capacità espansive che comporta. Per tradizione storica del nostro paese, l’area di centro è ancora presidiata in misura molto forte da un partito cattolico. La ricostituzione di una terza forza vedrebbe la convergenza di tutti gli spezzoni usciti dalla Dc dieci anni fa. Tale convergenza però potrebbe avere una tale capacità espansiva da mettere in pericolo il bipolarismo. Il terzo partito, tecnicamente, non può superare il 10 per cento.

Quagliariello – Il terzo polo in Italia ha sempre avuto come obiettivo quello di distruggere il bipolarismo. Ma c’è una possibilità “che guarda al futuro”: che esso sia costituito da quella parte che accetta il meccanismo del sistema maggioritario, si trova assolutamente allineato alle posizioni del centrodestra in politica internazionale e che però sulle libertà civili la pensa come il centrosinistra. Ma stringiamo i tempi di analisi, guardando ad oggi: in prospettiva alle prossime elezioni l’ipotesi di un terzo polo non sembra praticabile. Anzi, il paradosso è che, proiettando il risultato delle Europee sul sistema elettorale delle Politiche, l’esito sia scontato ma clamoroso: la Casa delle Libertà in maggioranza alla Camera e l’Ulivo al Senato.

8 settembre 2004

Ernesto Galli della Loggia, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Perugia.

Antonio Polito, direttore de il Riformista.

Gaetano Quagliariello
, ordinario di Storia dei partiti e dei movimenti politici alla Luiss - Guido Carli di Roma.


(per Ideazione hanno partecipato Alessandro Campi, Andrea Mancia,
Pierluigi Mennitti e Cristiana Vivenzio)

 

stampa l'articolo