Berlusconi, un leader sotto pressione 
		forum con Ernesto Galli della Loggia, Antonio 
		Polito 
		e Gaetano Quagliariello a cura di Cristiana Vivenzio 
        
        
      
        da Ideazione, luglio-agosto 2004 
         
		E’ impossibile avanzare una valutazione complessiva sulla leadership 
		carismatica, e in particolare su quella di Silvio Berlusconi, senza 
		tenere conto del recente risultato elettorale. Sia il dato europeo sia 
		quello amministrativo, infatti, seppure in maniera differente, hanno 
		registrato una evidente perdita di consensi per Forza Italia e quindi di 
		fatto una sconfitta della leadership del Cavaliere. Si può immaginare 
		questo come un normale incidente di percorso, magari recuperabile 
		attraverso una migliore attività di governo da oggi fino alle elezioni 
		politiche? Oppure potrebbe trattarsi del primo vero colpo alla 
		leadership di Berlusconi? E in questo caso, che cosa serve in più alla 
		Casa delle Libertà rispetto a quello che finora il Cavaliere le ha dato? 
		Infine, come si riflette sull’opposizione tale leadership carismatica? 
		Ernesto Galli della Loggia, Antonio Polito e Gaetano Quagliariello hanno 
		riflettuto insieme su questi temi. 
		 
		Galli della Loggia – Sono molte le 
		questioni messe in gioco. Ma una premessa mi pare indispensabile: non ho 
		mai creduto che la leadership di Berlusconi sia populistica o 
		carismatica. Trovo piuttosto che il consenso che Berlusconi ha ottenuto, 
		e continua ad ottenere, sia un consenso squisitamente ed essenzialmente 
		politico. Del resto a votarlo è proprio quella parte d’Italia che non lo 
		considera un grande capo populista o un capo carismatico: come si può 
		pensare a Berlusconi come ad un populista, quando il populismo ha come 
		tratto essenziale l’avversione per il big business, quando populista è 
		l’uomo del popolo contro i grandi interessi? Come lo si può considerare 
		poi un leader carismatico se non riesce neanche a guidare il suo 
		governo? Il consenso berlusconiano è esclusivamente politico. Berlusconi 
		rappresenta tutta quell’Italia che è disposta a passare sopra ai suoi 
		evidenti limiti perché non vuole la sinistra al governo. O meglio, 
		rappresenta tutto quell’elettorato che lo vota perché non vuole portare 
		questa sinistra al governo. Questo è stato il dato rilevante che ha 
		consentito alla coalizione di centrodestra di mantenere il suo consenso 
		politico pur in condizioni complessivamente avverse. Ed è lo stesso dato 
		che ha impedito alla sinistra – seppure in condizioni a lei 
		assolutamente favorevoli e nonostante le fortissime aspettative – di 
		erodere il consenso complessivo dei suoi antagonisti, i quali, invece, 
		hanno assistito ad una sostanziale ridistribuzione del voto all’interno 
		della coalizione. Da queste poche considerazioni mi sembra 
		inequivocabile che il consenso di destra non è un consenso tributato 
		alla figura carismatico-populistica di Berlusconi. Ma è un consenso 
		anti-sinistra. L’Italia è un paese sostanzialmente conservatore: il 75 
		per cento degli italiani è proprietario di case. La maggior parte 
		dell’elettorato italiano non si fida di una sinistra in cui conta troppo 
		Bertinotti, in cui ci sono i no-global e i dissidenti, e preferisce il 
		male minore: Berlusconi. Fatte tutte queste valutazioni e alla luce del 
		dato elettorale non è improbabile, allora, che alle prossime elezioni 
		politiche – dove sono in gioco la sicurezza, le tasse, ciò che realmente 
		conta nella vita quotidiana – la destra vinca di nuovo. Una riflessione 
		a parte merita la ridistribuzione dei voti all’interno del centrodestra. 
		Questa è stata il frutto di un altro elemento: Berlusconi in questi anni 
		non ha mostrato alcuna capacità effettiva di governo. Perché in realtà è 
		incapace di governare, è capace soltanto di vincere le elezioni, e non 
		certo per il carisma populistico.  
		 
		Se nel paese esiste un blocco conservatore che vota la destra contro 
		la sinistra, allora la presenza di un leader carismatico non è una 
		garanzia di successo elettorale e i leader del centrodestra possono 
		essere intercambiabili.
		
		Galli della Loggia – Non è così facile. Il 
		Cavaliere ha la credibilità del leader perché gli viene riconosciuta 
		dagli altri. Tutta la destra lo identifica come il suo capo. Nessun 
		altro leader dello schieramento gode di questa immagine. E questo 
		risultato non lo ottiene in virtù di un fascino carismatico, ma per 
		altri motivi ben precisi: innanzi tutto Berlusconi è l’unico che è stato 
		in grado di mettere insieme tutte le anime del centrodestra. Inoltre, ha 
		a disposizione grandi risorse personali, e sappiamo quanto le risorse 
		siano importanti in politica. Infine, ha le televisioni. Tutte cose che 
		non hanno nulla a che fare con il carisma o le virtù del populismo, ma 
		che hanno molto a che fare con i suoi assets. 
		 
		Polito – Personalmente, invece, credo che 
		sia cominciato da tempo, almeno un anno fa, in concomitanza con le 
		elezioni amministrative del 2003, un processo che di fatto ha messo in 
		crisi la maggioranza di governo. E che già da allora si sia avviata 
		quella verifica – peraltro mai finita, o forse neppure cominciata – che 
		dimostra che c’è un problema di crisi della leadership di Berlusconi sul 
		centrodestra. A mio modo di vedere Berlusconi è destinato – con tempi 
		più o meno lunghi, a seconda delle pieghe che prenderà la vicenda 
		politica italiana, e con tempi che dipendono dai comportamenti degli 
		avversari, perché naturalmente la politica si modella anche sulla base 
		di quello che farà l’altro polo – a non essere più un Daily per il 
		centrodestra. Se si discute poi sulla qualità del valore aggiunto 
		rappresentato da Berlusconi, mi trovo d’accordo con Galli della Loggia 
		sulle considerazioni che ha fatto circa il populismo berlusconiano. Non 
		condivido, invece, quanto ha sostenuto sull’aspetto carismatico: è 
		innegabile un elemento di leadership carismatica in Berlusconi – come 
		del resto è innegabile in Prodi – che risponde però ad un’esigenza ben 
		precisa: far fronte alla crisi della democrazia parlamentare. Ebbene, 
		essa ha avuto due capacità decisive. La prima è stata una capacità 
		federativa, cioè la capacità di mettere insieme l’Italia non di 
		sinistra, con un effetto clamoroso nella storia del nostro paese, e cioè 
		portare l’Italia di destra al governo, darle quella legittimità 
		democratica sulla quale poi la destra ha lavorato di suo, portare un 
		certo pensiero politicamente scorretto nell’Italia di dieci anni fa alla 
		dignità di maggioranza del paese. Fare quell’operazione che la Dc non ha 
		mai voluto fare, poiché ha sempre eretto una barriera a destra, 
		sostenendo di essere un partito di centro che guardava a sinistra. 
		Berlusconi ha “federato” quest’Italia: operazione storica ed 
		estremamente utile per la maturazione del sistema politico in senso 
		bipolare.  
		 
		Galli della Loggia – Un’evoluzione che solo 
		lo stato di necessità ha reso possibile: nel ’93 non ci sarebbe stato 
		altro da fare che aggregarsi al centrosinistra. Quest’operazione storica 
		è stata possibile solo per circostanze eccezionali. 
		
		Polito – Diciamo che si è dimostrata vera 
		la tesi di chi sosteneva che da Tangentopoli era più probabile un’uscita 
		della vicenda politica italiana a destra piuttosto che a sinistra. La 
		seconda capacità che Berlusconi ha avuto è stata di tipo innovativo. 
		Berlusconi ha portato nel discorso pubblico italiano idee abbastanza 
		originali, almeno nel nostro paese, seppure non nel complesso d’Europa. 
		Capacità innovativa vuol dire impegno nella riduzione delle tasse – una 
		parola d’ordine pressoché impensabile prima di Berlusconi, anche se 
		presente da tempo nel discorso pubblico di altri paesi – vuol dire 
		l’idea di far pesare meno i partiti nella gestione degli affari 
		pubblici: uno degli elementi di successo di Berlusconi è stato quello di 
		presentarsi come antipartito, come leader di un movimento che si 
		disfaceva di tutta la vecchia politica. Oggi, mi sembra, la capacità 
		federativa di Berlusconi è finita, o almeno è destinata a declinare. Ed 
		ha mostrato segni evidenti di crisi già nella “ribellione” sempre più 
		determinata dei centristi e di An nei confronti di questa leadership. 
		Essi lamentano da più di un anno un eccesso di potere di Berlusconi; e 
		un eccesso di potere della Lega la quale, imponendo un condizionamento 
		troppo forte, impedisce di fatto al governo di governare. Se la capacità 
		federativa è destinata a tramontare, non si è invece del tutto esaurita 
		la forza innovativa del messaggio berlusconiano. Lo dimostra il fatto 
		che il centrosinistra, nel momento più basso non solo della capacità di 
		attrazione del centrodestra ma dello stato del paese, non sia riuscito a 
		strappare voti al centrodestra. L’esito scontato in una prospettiva di 
		medio periodo, però, è che Berlusconi finisca come la Thatcher: che 
		venga considerato da un certo momento in poi della vicenda politica 
		italiana come un impedimento al successo della coalizione e che quindi 
		sia sostituito. Il tutto con tempi ben più rapidi della vicenda inglese, 
		perché da noi il bipolarismo è molto più incerto, più immaturo, e anche 
		perché…  
		 
		Galli della Loggia – Perché non c’è stata 
		la guerra delle Falkland. 
		 
		Polito – Tornando alla crisi della 
		coalizione, si possono fare tante discussioni: sulla delusione per 
		esempio che l’azione di governo ha suscitato nelle fasce sociali che di 
		quell’azione dovevano essere invece l’asse portante, sul fatto che se si 
		vanno a vedere le grandi decisioni politiche del centrodestra sembrano 
		tutte fatte per ingraziarsi l’elettorato tradizionale del 
		centrosinistra, pensiamo solo alle pensioni minime. In questo senso vi è 
		un ripiegamento che può trovare alla lunga rifugio nel centrosinistra.
		 
		 
		Galli della Loggia – Ma deve prima cambiare 
		il centrosinistra... 
		 
		Polito – Certamente. E probabilmente 
		l’alternanza non sarà possibile finché il centrosinistra rimane 
		l’immagine del corteo contro Bush o delle politiche di Bertinotti, 
		finché molti suoi esponenti continuano ad essere quelli che non 
		potrebbero mai sedere come ministri ad un tavolo della Nato, o in una 
		riunione del Consiglio dell’Ue, finché darà l’impressione di subire il 
		richiamo delle politiche più estremiste. La questione, dunque, non è 
		tanto sapere se vinceranno, il problema è capire che cosa pensano, come 
		agiranno. Allora mi sembra chiaro che sul tramonto della leadership di 
		Berlusconi avrà un riflesso enorme il comportamento del centrosinistra, 
		che può accelerare o rallentare quel fenomeno. Ma se vogliamo vedere la 
		cosa solo nella prospettiva del centrodestra, in rapporto alle alleanze 
		e al proprio elettorato, a mio avviso è cominciato da tempo un declino 
		irreversibile della capacità di federazione della leadership del 
		presidente del Consiglio. 
		 
		Quagliariello – Io credo, invece, a 
		giudicare dal risultato elettorale, che siano amplissimi i margini 
		perché Berlusconi si riprenda. E partendo da qui vorrei fare tre 
		considerazioni. La prima è di tipo comparativo: rispetto a tutti gli 
		altri leader di governo europei il risultato di Berlusconi è stato di 
		gran lunga il migliore. In secondo luogo questo risultato è stato 
		conseguito non voglio dire nel momento più basso, perché non va 
		sottovalutata la liberazione degli ostaggi in Iraq nell’ultima settimana 
		prima delle elezioni, ma comunque in un momento difficile per il 
		governo. è inimmaginabile che una congiuntura economica negativa, che 
		dura ormai da oltre cinque anni, non cambi di segno e che questa seconda 
		parte della legislatura non sia migliore della precedente. La terza 
		considerazione che vorrei porre all’attenzione – e questo va nel senso 
		di ciò che diceva Galli della Loggia – è che Berlusconi è anche un 
		impolitico, che ha completamente sbagliato le liste elettorali, ha 
		tenuto a casa i suoi ministri, ha “disarmato” chiunque si mostrasse 
		forte nel suo partito, pensando di poter avere alle elezioni europee lo 
		stesso effetto che può prodursi con un’elezione di tipo maggioritario. 
		Cosa impossibile. Sotto questo aspetto la scelta di Fini di candidare 
		Gasparri, Alemanno, Mattioli, è stata certamente più azzeccata. 
		Nonostante ciò Forza Italia ha raggiunto il 21 per cento. Una sconfitta 
		rispetto alle precedenti elezioni europee, ma non una sconfitta 
		disastrosa, e in quanto tale perfettamente recuperabile. E qui entrano 
		in gioco due elementi di fondo: il primo riguarda la personalità di 
		Berlusconi; il secondo riguarda una considerazione più generale sul 
		ciclo politico. Sulla personalità di Berlusconi credo che le categorie 
		della scienza politica ci aiutino fino ad un certo punto. Berlusconi è 
		un evento eccezionale della politica italiana, ed è vero che non è un 
		politico tradizionale. Ma è anche vero che è stato in grado di fare 
		delle operazioni politiche che probabilmente a politici più consumati 
		non sarebbero mai riuscite. Ne cito solamente due: è stato lui che ha 
		imposto in Italia il ruolo del leader, carismatico o meno, costringendo 
		l’altra parte a mettere in campo un proprio leader (non dimentichiamo 
		che senza Berlusconi oggi in Italia avemmo avuto solo due spezzoni di 
		destra non in grado di formare una coalizione e chissà quale sinistra); 
		è stato lui che ha imposto una linea di politica estera in totale 
		discontinuità con quanto l’Italia aveva fatto nel cinquantennio 
		precedente. La situazione, insomma, mi appare del tutto recuperabile, 
		gli elementi congiunturali del voto mi sembrano anzi fortemente 
		“positivi”, anche perché pongono molti problemi allo schieramento 
		avversario. Il voto, infatti, ha messo in evidenza anche un altro 
		elemento: l’esaurirsi della leadership di Prodi. Si tratta ora di capire 
		come Berlusconi reagirà di fronte alla “sconfitta” personale. Un leader 
		tradizionale in questo momento potrebbe operare in due modi: creando 
		effettivamente un partito e mettendo a capo di Forza Italia una classe 
		politica solida, ovvero prendendo atto che un ciclo volge al termine. 
		Del resto, Berlusconi è sulla breccia da dieci anni – per un periodo più 
		o meno della stessa durata nella storia d’Italia si parla di età 
		giolittiana – ed è naturale che ad un certo punto le cose finiscano.  
		Un altro esito possibile sarebbe quello di cercare una secolarizzazione 
		della sua esperienza, ad esempio con un incarico istituzionale 
		prestigioso per sé, pensando allo stesso tempo alla sua successione. Ciò 
		sarebbe plausibile se veramente andasse in porto la riforma del 
		premierato, con il presidente della Repubblica in un ruolo più moderato. 
		Un’opzione praticabile se non avessimo una sinistra del tutto incapace 
		di ragionare e dialogare. Queste sarebbero due soluzioni di tipo 
		“razionale” che presenterebbero tutti i margini per un recupero. Ma sono 
		analisi che valgono nella spiegazione della situazione politica e molto 
		meno per quella dei fatti reali, perché il modo in cui Berlusconi 
		reagirà ho l’impressione – e devo dire anche il timore – che non sarà né 
		l’uno né l’altro.  
		 
		Dai vostri interventi pare che risalti il dato politico molto più che 
		quello strettamente carismatico: Berlusconi ha successo e vince quando 
		indovina la scelta politica, seppure da impolitico. Ma c’è da chiedersi: 
		se Berlusconi non è soltanto un leader dotato di carisma, il ruolo del 
		partito, di Forza Italia è in qualche modo recuperabile?  
		 
		Galli della Loggia – Forza Italia non 
		esiste. Forza Italia è Berlusconi. Il consenso di Forza Italia misura il 
		consenso del Cavaliere. E ho l’impressione che lui un partito non possa 
		e non voglia costruirlo. Il costante andamento negativo alle elezioni 
		amministrative indica in primo luogo che il partito non riesce a 
		strutturare la sua presenza politica nella società italiana, nelle sue 
		localizzazioni, nelle sue articolazioni. Berlusconi può raccogliere voti 
		soltanto in una grande competizione politica, incentrata, come il 
		maggioritario favorisce, sulla presenza dei leader e di messaggi 
		contrapposti. Mi sembra emblematico che le elezioni europee siano andate 
		in direzione diametralmente opposta rispetto alle amministrative, pur 
		essendosi svolte contemporaneamente. Perché nelle elezioni europee, che 
		Berlusconi ha voluto incentrate su di sé, ha prevalso la quintessenza 
		politica di schieramento. Nelle elezioni amministrative questo non 
		avviene. Credo che una vera classe politica, che si può fare al centro 
		ma si costruisce a partire dalla periferia, non potrà mai nascere perché 
		Berlusconi non vuole che ciò avvenga. Perché non capisce la necessità di 
		una sua esistenza. è questo l’elemento fondamentale della sua debolezza 
		politica. 
		 
		Eppure nella precedente legislatura, quando era all’opposizione, c’è 
		stata l’impressione che stesse formandosi una classe politica intermedia 
		nel centrodestra. 
		 
		Galli della Loggia – Non penso che ci sia 
		mai stata una presenza di Forza Italia come classe politica periferica. 
		Perché Berlusconi non ha idea di che cosa sia un vero rapporto politico. 
		In questo senso, forse, si può sostenere che quella del Cavaliere sia 
		una leadership carismatica. Lui pensa che ciò che conta in politica sia 
		il messaggio generale. Del resto, è uomo di pubblicità, e la pubblicità 
		ha a che fare con l’elemento carismatico: il prodotto viene acquistato 
		più per l’aura che ispira che per le sue qualità specifiche. Berlusconi 
		pensa che neanche per il messaggio politico valgano tanto le sue 
		specificità realistiche e realizzabili, ma conti l’aura. Il suo è un 
		messaggio politico del tutto privo di originalità – e in questo mi sento 
		di dissentire da Polito – come sempre è privo di originalità il 
		messaggio pubblicitario: “meno tasse e abbasso i partiti” è il 
		qualunquismo nazionale. Nessuna originalità del messaggio, nessuna 
		capacità realizzativa, altro che la Thatcher. L’obiettivo di Berlusconi 
		è realizzato la sera delle elezioni, quando ha vinto e il messaggio è 
		passato. Poi, però, non sa che fare. Ciò che pare più interessante è il 
		confronto con Prodi su questo terreno: neanche Prodi vuole un partito, 
		ed oggi i veri partiti dei due leader del centrodestra e del 
		centrosinistra sono partiti esterni, sono la Lega e i Comunisti 
		italiani, quelli che puntano su di loro perché vedono in loro l’elemento 
		di coalizione che li fa contare. Questo non significa che sia finita la 
		capacità federativa di Berlusconi: tutti quelli della destra sanno che 
		per vincere le elezioni bisogna federarsi. E chi li federa? Chi 
		sostituisce Berlusconi? La funzione crea l’organo. Finché sarà 
		necessario avere un leader, e il maggioritario lo richiede, il 
		centrodestra avrà bisogno del suo. Chi può esserlo se non Berlusconi? 
		 
		Secondo questa interpretazione sembra allora che il centrosinistra 
		sia condannato a vincere esclusivamente alle elezioni amministrative. 
		 
		Polito – Che l’Italia sia in prevalenza 
		anticomunista, come dice Berlusconi, è un dato di fatto e dovrebbe far 
		capire al centrosinistra che meno è di sinistra, più ha possibilità di 
		vincere. Questo è scontato. Diciamo che non è impossibile che questo 
		accada sui tempi lunghi. Perché se è accaduto che in dieci anni dalla 
		“gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto si sia arrivati alla 
		guida di un democristiano vuol dire che qualcosa cambia anche in quello 
		schieramento. L’Italia è un paese che ha avuto una sinistra comunista e 
		in cui c’è tuttora una forte presenza della sinistra cattolica, talvolta 
		anche più integralista degli ex comunisti. Questo è un nucleo 
		estremamente forte che si attesta attorno al 13 per cento, anche se poi 
		questa resistenza appare del tutto ingiustificata dal punto di vista 
		elettorale: dove sono i girotondi e il movimentismo? Dov’è la crescita 
		della sinistra-sinistra? Ma m’interessa approfondire il tema del 
		centrodestra, perché l’alternativa che ha posto Quagliariello, o partito 
		o coalizione, vuol dire successione. È vero che il radicamento partitico 
		di Forza Italia è una strada impercorribile, proprio perché credo 
		all’interpretazione che si è data del messaggio politico di Berlusconi, 
		che è la risposta tipica che oggi viene data un po’ in tutto il mondo 
		alla crisi della democrazia parlamentare. Nell’era di quella che viene 
		definita la post-democrazia, la democrazia parlamentare ha perso la sua 
		capacità di mediazione. Oggi si cerca un rapporto diretto tra leader e 
		opinione pubblica. E il messaggio di Berlusconi, che non è solo 
		pacchetto pubblicitario o uso spregiudicato dei media, viene letto in 
		maniera troppo banale anche da chi vi si oppone da sinistra. 
		Paradossalmente, in periferia è il centrosinistra che mima, scimmiotta 
		quel meccanismo inventato da Berlusconi: pensiamo a Soru, Illy, 
		Emiliano, Divella. L’altro punto è il personale politico. Nel governo 
		non c’è, con l’eccezione di Tremonti e la Moratti, che tra l’altro sono 
		i ministri più invisi di Forza Italia, personale politico di alcun 
		livello, di alcun appeal. Voi avete detto: non ha portato i ministri in 
		campagna elettorale. E chi avrebbe potuto portare?  
		 
		Quagliariello – Ma un ministro in quelle 
		occasioni viene comunque mobilitato, perché ha delle risorse e la 
		possibilità di utilizzarle. Ai ministri di Forza Italia è stato chiesto 
		quello che la subcultura generale chiederebbe ad un ministro: di non 
		trattare con gli interessi. Ma si sta parlando di ministeri che hanno 
		tradizionalmente spostato il 3-4 per cento dei voti.  
		 
		Polito – L’accordo interno al partito non 
		sarebbe risolutivo. La chiave per il centrodestra è quella coalizionale. 
		La possibilità di farcela nel 2006, secondo me del tutto impregiudicata, 
		dipende dalla presa d’atto di questa situazione diversa e nuova, e cioè 
		che la capacità federativa di Berlusconi deve esercitarsi in forme più 
		politiche e in favore della coalizione. Se in due anni il centrodestra 
		si dovesse accorgere che Berlusconi non è in grado di operare in questo 
		senso e dovesse continuare la guerra di tutti contro tutti, non so quale 
		potrebbe essere il futuro della Casa delle Libertà. Il Cavaliere deve 
		prendere atto della necessità di cominciare ad indicare una linea di 
		successione. Per il bene del centrodestra ma anche nel suo interesse, 
		perché rimettere insieme la maggioranza vuol dire avere la possibilità 
		di vincere le elezioni. Chiarire la linea di successione significa fare 
		nomi, realizzare assi nel governo. Per avviare tale alternativa ci sono 
		due strade percorribili. La prima è quella che passa per la cooptazione, 
		la linea Casini-Follini: Berlusconi dovrebbe cioè trasformare 
		progressivamente Forza Italia in una nuova Democrazia cristiana. L’altra 
		è quella più tipica di un governo di coalizione: lasciare l’eredità alla 
		seconda forza, cioè a Fini. Fare di Fini nel quadripartito del 
		centrodestra ciò che fu Craxi nel pentapartito di centrosinistra. Fini è 
		l’uomo che ha i voti necessari per tenere insieme o far cadere il 
		governo e di conseguenza a un certo punto potrebbe reclamarne la guida. 
		Naturalmente parlo in prospettiva. 
		 
		Quagliariello – Il problema 
		dell’esaurimento del ciclo Berlusconi che avverrà prima o poi, nelle 
		prossime elezioni o qualche anno più tardi, ma è iscritto nella 
		fisiologia delle cose, è un problema che si dovrebbero porre gli altri 
		componenti della coalizione. Non è possibile chiedere a Berlusconi di 
		risolvere anche il problema della sua uscita di scena. Sotto questo 
		aspetto, lui il problema del partito non se lo pone perché dal suo punto 
		di vista lo ritiene un intralcio. Certamente vi è un problema di fondo: 
		esiste la possibilità che questo assetto del sistema politico duri 
		quanto Berlusconi e che, finito lui, venga meno il bipolarismo. Anche se 
		ritengo che oggi sia molto difficile “farlo fuori”. Me ne sono convinto 
		dopo queste elezioni europee, in cui abbiamo assistito a qualcosa che 
		era difficile immaginare: la sconfitta contemporanea dei due pilastri di 
		destra e di sinistra. Allora, se si scarta la prospettiva di un ritorno 
		al centrismo – che secondo me potrebbe essere causato solo da una 
		situazione catastrofica di politica internazionale, che nei fatti pone 
		al centro del dibattito pubblico il problema dell’Occidente, creando a 
		sinistra una scissione inevitabile tra le due parti – allora del 
		problema della successione dovrebbero cominciare ad occuparsi i compagni 
		di strada di Berlusconi.  
		Nella sfera di Forza Italia, ad esempio, esistono quattro forze, che 
		corrispondono a quattro persone, che hanno poi alle spalle insediamenti 
		sociali o posizioni culturali strutturate: Gianni Letta, Roberto 
		Formigoni, Giulio Tremonti e Marcello Pera. Il problema di Forza Italia 
		può nascere dal rapporto tra le forze che queste quattro persone 
		rappresentano e a cui si riferiscono all’interno della società italiana. 
		Ma il problema della successione dipende anche dai comportamenti assunti 
		dai possibili successori. Casini e Follini, innanzi tutto, che oggi 
		sembrano mostrare una sorta di “allontanamento” in fieri, con il primo 
		che mostra tutto l’interesse ad avvicinarsi quanto più possibile ad un 
		serbatoio di potenziali voti all’interno della coalizione, e il secondo 
		che persegue una strategia di erosione dall’esterno. Poi Fini che non ha 
		ancora deciso se essere il capo del proprio partito o essere il 
		successore di Berlusconi.  
		 
		Polito – Aggiungo solo una valutazione di 
		lungo periodo pur rischiando di sembrare velleitario, se non fantasioso. 
		Secondo me la sopravvivenza del bipolarismo in Italia – sistema che 
		continuo a sostenere perché ha consegnato i risultati migliori e 
		corrisponde anche al mood dell’elettorato – si gioverebbe anche 
		dell’esistenza di un terzo polo. Questa ipotesi viene generalmente 
		considerata, erroneamente, una sorta di oltraggio al bipolarismo. Tutti 
		i sistemi elettorali hanno un terzo polo. Il bipolarismo britannico, 
		perfetto anche dal punto di vista del sistema elettorale, ha un terzo 
		polo, che conta eccome nella vicenda politica. 
		 
		Galli della Loggia – Queste affermazioni, 
		che condivido in astratto, sono di difficile realizzazione in Italia, 
		perché da noi il terzo partito non può che essere la Democrazia 
		cristiana, con le capacità espansive che comporta. Per tradizione 
		storica del nostro paese, l’area di centro è ancora presidiata in misura 
		molto forte da un partito cattolico. La ricostituzione di una terza 
		forza vedrebbe la convergenza di tutti gli spezzoni usciti dalla Dc 
		dieci anni fa. Tale convergenza però potrebbe avere una tale capacità 
		espansiva da mettere in pericolo il bipolarismo. Il terzo partito, 
		tecnicamente, non può superare il 10 per cento.  
		 
		Quagliariello – Il terzo polo in Italia ha 
		sempre avuto come obiettivo quello di distruggere il bipolarismo. Ma c’è 
		una possibilità “che guarda al futuro”: che esso sia costituito da 
		quella parte che accetta il meccanismo del sistema maggioritario, si 
		trova assolutamente allineato alle posizioni del centrodestra in 
		politica internazionale e che però sulle libertà civili la pensa come il 
		centrosinistra. Ma stringiamo i tempi di analisi, guardando ad oggi: in 
		prospettiva alle prossime elezioni l’ipotesi di un terzo polo non sembra 
		praticabile. Anzi, il paradosso è che, proiettando il risultato delle 
		Europee sul sistema elettorale delle Politiche, l’esito sia scontato ma 
		clamoroso: la Casa delle Libertà in maggioranza alla Camera e l’Ulivo al 
		Senato.
         
		
		
        8 settembre 2004 
		
		Ernesto Galli della Loggia, ordinario di 
		Storia contemporanea all’Università di Perugia. 
		 
		Antonio Polito, direttore de il Riformista. 
		 
		Gaetano Quagliariello, ordinario di Storia dei partiti e dei 
		movimenti politici alla Luiss - Guido Carli di Roma. 
		 
        
        (per 
		Ideazione hanno partecipato Alessandro Campi, Andrea Mancia,  
		Pierluigi Mennitti e Cristiana Vivenzio) 
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