Il ritorno della politica
di Pierluigi Mennitti
da Ideazione, maggio-giugno 2004

Il voto del 2004 è ormai alle spalle. Ma la maratona elettorale è soltanto all’inizio. Dodici mesi e saremo chiamati a rinnovare con maggior ampiezza il quadro amministrativo del paese con la scelta dei governatori regionali. Due anni e sarà la volta delle politiche: il governo Berlusconi dovrà rendere conto ai cittadini del proprio mandato, ancora cinque anni o tutti a casa. Inevitabile, dunque, che il risultato dello scorso 13 giugno assuma un significato ben più rilevante di un semplice test di mezzo termine: nella legislatura precedente, guidata dal centrosinistra, il risultato europeo (e la coda amministrativa che lo accompagnò) segnarono l’inizio della fine per quella coalizione, incapace di reagire alla sconfitta e perciò inesorabilmente incanalata verso un filotto negativo che la condannò nel 2001 all’opposizione. Lo scorso giugno, la Casa delle Libertà ha registrato risultati contraddittori: sostanziale tenuta nella competizione europea, una vera disfatta in quella amministrativa. Il centrodestra è dunque destinato a ripercorrere, a parti inverse, lo stesso declino che toccò alla parte avversa? O può ancora correggere la rotta, imparare la lezione e dare nuovo spessore alla politica del proprio governo e all’impegno dei partiti che compongono la coalizione?

In attesa di credibili esami dei flussi elettorali, ci dobbiamo limitare a una breve e sintetica analisi, evidenziando quegli elementi che possono fornire una valutazione più attenta e meno emotiva del quadro politico complessivo. Il voto europeo, espresso su base proporzionale pura con voto di lista e preferenze secondo uno schema rimasto immutato dalla Prima Repubblica, ha evidenziato un sostanziale equilibrio tra le coalizioni di maggioranza e di opposizione. Elemento che il governo ha molto enfatizzato, contrapponendolo alla ventata anti-governativa che ha spazzato gli altri paesi della Vecchia e della Nuova Europa. Ovunque, nel Continente, i partiti al governo hanno subito pesanti sconfitte, dalla Francia gollista di Jacques Chirac alla Germania socialdemocratica di Gerhard Schröder, dalla Gran Bretagna laburista di Tony Blair al Portogallo liberale di Josè Manuel Durão Barroso, fino alla Polonia post-comunista di Leszlek Miller dove la maggioranza è scivolata sotto il 10 per cento. Uno scollamento tra il sentimento degli europei e la retorica europeista dei governi nazionali che è la vera eredità della Commissione Prodi – denunciata dai giornali stranieri ma in Italia pudicamente edulcorata – e ben rappresentata dalla più bassa percentuale di votanti nella storia delle elezioni europee. Un disincanto che ha coinvolto anche i cittadini dei nuovi paesi centro-orientali che non si sono abbandonati neppure all’entusiasmo dei neofiti.

Ma questo quadro continentale in Italia non si è apparentemente riproposto, almeno limitandosi alle tabelle del voto europeo. Se si analizzano i dati per coalizione, il centrodestra rimane in maggioranza e il centrosinistra resta in minoranza anche sommando i voti delle forze più estreme. Un sostanziale equilibrio che tuttavia nasconde variazioni significative all’interno dei raggruppamenti. Il voto europeo, per la sua natura proporzionale, si presta assai più a un’analisi per partiti che per coalizioni. E qui emerge il vero dato nel centrodestra: il calo di consensi per Forza Italia e per il suo leader Silvio Berlusconi, bilanciato da un recupero degli alleati, tra i quali emerge con maggiore nettezza quel centro democratico di sapore neo-democristiano che Marco Follini ha condotto alla soglia del 6 per cento. Bene anche Alleanza Nazionale che cresce e assorbe senza traumi la scissione di Alessandra Mussolini, e la Lega Nord tornata abbondantemente sopra la soglia di sbarramento delle politiche. Se la leadership di Berlusconi, del leader carismatico, perde smalto da un lato, quella di Romano Prodi, il leader ombra del nuovo Ulivo, non decolla. Anche raschiando il fondo del barile, quel che se ne tira fuori è poca roba: il progetto di consolidare attorno a Ds e Margherita un polo riformista capace di fare il pieno di voti moderati non ha funzionato e il cosiddetto triciclo non è riuscito a raccogliere neppure la semplice somma delle forze che lo compongono. Non è molto credibile la scusa che il voto proporzionale non favorisce gli accorpamenti, perché proprio le elezioni europee erano state scelte come banco di prova per lanciare il progetto. Gli elettori l’hanno, per ora, bocciato: il nuovo Ulivo non dà alcun valore aggiunto alla gamba riformista dell’opposizione e la leadership di Romano Prodi non suscita più l’interesse di otto anni fa. La sinistra antagonista, rinvigorita da mesi di opposizione sociale, raccoglie il 13 per cento e risulta determinante per qualsiasi ambizione di vittoria: peserà sul suo programma e sulla sua azione di governo, se il centrosinistra dovesse prevalere fra due anni.

Tanto più che sul piano amministrativo, laddove i partiti ulivisti si sono presentati per conto proprio, il successo è stato schiacciante e il dato disaggregato premia soprattutto i Ds, cui evidentemente l’elettorato attribuisce la forza e la credibilità di assumere il ruolo di pivot della coalizione di centrosinistra: il ritorno al passato prodiano non è dunque una via obbligata e non è escluso che una leadership più forte possa emergere nei prossimi mesi sparigliando il tavolo già approntato. La Casa delle Libertà, al contrario, registra una dura sconfitta con la perdita di molte città e province anche nel cuore delle proprie tradizionali roccaforti, al Nord come al Sud. Resiste in alcune isole felici dove la scelta di candidati eccellenti, capaci di innestare sul territorio un rinnovato lavoro politico, ha mascherato una situazione organizzativa disastrosa. Per il resto il centrodestra, più che il cattivo governo, paga l’assenza di iniziativa politica e la pessima organizzazione territoriale del suo partito principale, Forza Italia. Sul piano locale, inopinatamente considerato secondario dalla leadership del Polo, si è lavorato poco e male: personale politico improvvisato, candidature scelte all’ultimo momento, progetto politico confuso, rapporti lacerati con i partiti della coalizione. Ecco dunque che il risultato amministrativo registra un approfondimento di quello europeo. Il sismografo locale è più sensibile, segnala scosse telluriche che un voto più generale come quello per Bruxelles può non avvertire. Il centrodestra è ancora in grado di invertire la rotta perché l’elettorato resta all’interno dei recinti del 2001, ma se non correrà subito ai ripari il futuro è quello disegnato dal voto amministrativo.

E' dunque arrivato il momento di aprire una riflessione su cosa serva alla Casa delle Libertà per riprendere smalto sia nell’azione di governo che nella presenza sul territorio. Il centrodestra ha un leader visibile, riconosciuto, determinato. Ma il suo carisma, da solo, non basta più. Forza Italia non può esaurire la sua attività politica in quella del governo, rinunciando all’elaborazione politica, all’organizzazione delle strutture territoriali, degli uomini, del personale. L’intuizione del partito leggero non può sfociare nel partito vuoto: basta guardare agli Stati Uniti, dove i partiti sono cosa solida e presente in maniera capillare su tutto il territorio e il momento elettorale rappresenta il massimo sforzo comune, non l’unico. Serve la politica. Serve un progetto condiviso. Serve la determinazione a perseguirlo. Serve il lavoro di squadra con i partiti alleati. Serve maggiore attenzione ai think tank di area (riviste, fondazioni, associazioni, circoli, istituti) che sono sorti con tanto impegno e molte ambizioni. E al presidente del Consiglio serve un partito che funzioni, che lo accompagni, lo rafforzi, lo guidi nell’azione di governo. è impossibile governare una realtà complessa come l’Italia con un comitato elettorale che di tanto in tanto si riunisce per lanciare slogan e manifesti. Dopo dieci anni a Forza Italia si chiede di sfornare una classe dirigente all’altezza del compito per cui è nata e per il quale è rimasta sulla breccia tutto questo tempo. La retorica anti-politica non funziona più, è inutile prendersela con i professionisti della politica perché è proprio quel professionismo che gli elettori oggi cercano e che la Casa delle Libertà dovrebbe essere in grado di offrire: non ha senso gridare al teatrino della politica se non si riesce a metterne in piedi uno migliore. Cinque anni fa Forza Italia fu debitrice di un 5 per cento al Partito radicale in nome di una più incisiva riforma liberale; il 5 per cento evaporato oggi verso centristi e An segnala un’esigenza diversa: il ritorno della politica. Silvio Berlusconi ha ancora la possibilità di farsene interprete.

15 luglio 2004

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