Un uomo solo al comando
di Alessandro Campi
da Ideazione, luglio-agosto 2004

Il rapporto tra leadership e democrazia è da circa un secolo fra quelli privilegiati dalla scienza politica. In particolare dagli esponenti della tradizione realista europea, da Max Weber a Raymond Aron, a giudizio dei quali un leader di governo istituzionalmente forte rappresenta per i regimi democratici una garanzia dal punto di vista della stabilità e della capacità decisionale. L’interesse scientifico del tema è direttamente proporzionale alla sua rilevanza storica e politica. Esso tocca nodi tra i più delicati della politica di massa contemporanea: la relazione tra autorità e libertà, il nesso tra impersonalità del comando e lealtà politica personale, le dinamiche di accumulazione e distribuzione del potere nelle società industriali, la connessione tra interesse generale e interessi parziali.

Il potere personale (d’impronta carismatica o burocratica) è una caratteristica intrinseca dei regimi autoritari e totalitari, come dimostra l’esperienza politica delle dittature novecentesche. Ma in che misura la personalizzazione del comando politico può essere considerata funzionale e fisiologica anche nel contesto dei regimi democratici di massa? Molti non credono al rapporto “virtuoso” tra democrazia e leadership. Riconoscono il ruolo svolto sulla scena politica mondiale da alcuni grandi leader democratici (da Churchill a De Gaulle, dalla Thatcher a Mitterrand, da Kennedy a Reagan), ma ritengono la loro esperienza frutto di contesti storici fuori dall’ordinario. Ai loro occhi, una “democrazia monocratica”, con un capo legittimato dal voto popolare che risponde direttamente all’elettorato e alla nazione delle sue scelte di governo, rappresenta una contraddizione in termini, dal momento che i regimi elettivo-rappresentativi sono basati per definizione sul multipartitismo, sul frazionamento dei poteri e sul pluralismo degli interessi e delle culture politiche. Producendo l’accentramento delle funzioni d’indirizzo politico e la personalizzazione del potere, la “democrazia con un leader” rischia inoltre di sfociare nell’autoritarismo carismatico o peggio nella dittatura vera e propria. Simili giudizi hanno dominato a lungo la cultura politica italiana del secondo dopoguerra, ampiamente condizionata dall’esperienza storica del fascismo. Non a caso quello nato dalle ceneri della dittatura è stato un “regime dei partiti” basato sulla centralità assoluta del Parlamento, sulla mediazione istituzionale degli interessi, sulla pratica del governo consociativo e sul rifiuto “assiologico” del principio della personalizzazione.

Un quadro politico-culturale venuto meno nel momento in cui sulla scena italiana, in seguito ad una drammatica crisi istituzionale, ha fatto la sua comparsa Silvio Berlusconi. Dopo cinquant’anni, nel corso dei quali nessun leader era riuscito ad emergere stabilmente dall’interno di un tale sistema, ne è emerso uno dall’esterno: una personalità lontana, per formazione e mentalità, da quelle che avevano caratterizzato il ceto politico repubblicano, dimostratasi in grado di innovare i meccanismi della comunicazione politico-elettorale e lo stesso linguaggio politico, di imporre un nuovo modello di rappresentanza degli interessi e di muoversi con una certa spregiudicatezza sulla scena politico-partitica. Capace, soprattutto, di proporsi come un leader politico democratico non privo di tratti carismatici.

Dopo Berlusconi, quale che sia il giudizio sulla sua esperienza, tutta la politica italiana è cambiata: nel segno della personalizzazione e di un rapporto più diretto tra uomini politici ed elettori. Dalla nascita di Forza Italia sono trascorsi dieci anni: un vero e proprio “ciclo politico”, che secondo alcuni osservatori starebbe per finire. Siamo davvero vicini al dopo-Berlusconi? Ma le domande cui il presente dossier cerca di rispondere, sono anche altre: in che misura il “berlusconismo”, lungi dall’incarnare l’ennesima anomalia italiana, ha a che vedere con una tendenza alla personalizzazione della leadership di governo tipica di tutte le grandi democrazie contemporanee? Sino a che punto esso ha modificato la cultura politica del nostro paese, rendendo accettabile l’idea che potere personale e democrazia politica non siano dimensioni incompatibili?

8 settembre 2004

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