Parte Seconda.
Decisioni e procedure
di Roberto Nicolai*
[30 mar 06]
L'articolo
di Eduard Verhagen
e Pieter J.J. Sauer (che è composto da sole
3 pagine n.d.r.) prosegue con considerazioni dei due
pediatri sull’eutanasia infantile e sulle regole legali che vincolano il
protocollo.
Procediamo quindi.
Deciding not to initiate or to withdraw life-prolonging
treatment in newborns with
no chance
of
survival
is considered good practice for physicians
in
Europe and is acceptable for physicians in the
United States. Most such infants die immediately
after treatment has been
discontinued.
Verhagen, in sostanza, torna a parlarci di quelle categorie di
neonati o bambini che non hanno nessuna speranza di sopravvivere
o che sono tenuti in vita artificialmente. Abbiamo visto però
che questa famiglia-insieme di pazienti è definita solo dalla
prima categoria (già la
seconda è più aperta).
Una sola battuta dopo leggiamo:
Neonatologists in the Netherlands and the ma-
jority of neonatologists
in
Europe are convinced that
intensive care
treatment is not a goal in itself.
Its
aim is
not only survival of
the infant, but aIso an ac-
ceptable quality of
life.
Un
passaggio fondamentale questo che amplifica in nostri già
consistenti dubbi. Il dottore Olandese sotiene qui che la
totalità dei neonatologi olandesi e la maggioranza di quelli
europei (ci piacerebbe
sapere su quali basi si poggia questa statistica n.d.robinik)
è convinta che
l’obiettivo non sia la sopravvivenza del bambino ma piuttosto
una accettabile qualità della vita.
I bambini che morirebbero un secondo dopo sono scomparsi
definitivamente. L’aspettativa di vita non è da considerare ma
si parla esplicitamente (in questo passaggio più che mai) di
vite che valgano la pena di essere vissute o meno.
Ancora:
Forgoing or not initiating
life-sustaining treatment
in children in the second
group is acceptable to
these neonatologists if
both
the medical team and
the parents
are convinced that
treatment is not in the
best
interest of the child
be-
cause the outlook is
extremely poor.
Appaiono quelli che saranno indicati come coloro che
stabiliscono se il bambino debba morire o meno: I genitori ed i
medici. Faranno questo anche se il bambino può sopravvivere.
Lo faranno convinti che questo sia favorevole per il bambino.
Verhagen affronta quindi l’ultima categoria che per sua stessa
ammissione ha confini indefinti (”Although
it is difficult to define in the abstract“) :
Confronted with a patient in the third category,
it is vital for the
medical team to have as accurate
a prognosis as possible
and to discuss it with the
parents. All possible
measures must be taken to al-
leviate severe pain and
discomfort.
There are, how-
ever, circumstances in
which,
despite all measures
taken,
suffering cannot be
relieved and
no improve-
ment can be expected. When
both the parents and
the physicians are
convinced that there is an ex-
mely poor prognosis, they
may concur that
death
would be more humane
than continued life.
I
babini che morirebbero dopo poco tempo sono spariti
definitivamente. Si parla solo di casi in cui persone terze
concordano sul fatto che a fronte di sofferenze non
quantificabili e per la quali (non si sa su quali basi) la
medicina non offre prospettive di miglioramento “La
morte sia più umana della continuazione della vita”
Vi
ricordo che Verhagen ha così definito, in un’intervista
sul Times,
il momento in cui un bimbo muore dopo questa decisione:
“It
is in some ways beautiful,” said Verhagen, describing the moment when severely
pain-racked children relax for the first time since birth.
Verhagen ci ricorda che in Olanda un bambino di 16 anni nelle
stesse condizioni può chiedere l’eutanasia. Noi non ci
dimentichiamo che stiamo parlando di persone che hanno molto
meno di 16 anni e la cosa ci interessa poco.
Prima
di concludere (domani) vi riporto l’ultimo pezzo rilevante
dell'articolo:
We are convinced that life-ending mea-
sures can be acceptable in
these cases under very
strict conditions: the
parents must agree fully, on the
base of a thorough
explanation of the condition (qui è
evidente che il parere
medico incide all’80% visto che
i genitori devono decidere
in base a quello n.d.robinik)
and prognosis; a team of
physicians, including at
least one who is not
directly involved in the care of
the patient, must agree;
and the condition and prog-
nosis must be very well
defined.
After the decision
has been made and the
child has died
(sic),
an outside
legal body should
determine whether the decision
was justified and all
necessary procedures have been
followed.
I
medici decidono se per il bambino è preferibile vivere e morire.
I genitori esprimono il loro parere basandosi sulla decisione di
questi medici. Agghiacciante quella che per Verhagen dovrebbe
essere una prova del nove:
“Dopo
che la decisione è stata presa e che il bambino è morto si
verifica che la decisione presa fosse giustificabile”.
30 marzo 2006
* Roberto
Nicolai è il titolare del blog
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