Parte Prima: Introduzione al Protocollo
di Roberto Nicolai*
[30 mar 06]
Euthanasia in Severely Ill Newborns:questo
il titolo dell’ormai famoso articolo del “New
England Journal of Medicine”nel quale Eduard Verhagen
e Pieter J.J. Sauer
(co-autori del Protocollo di Groningen) ci spiegano metodologie e prassi
riguradanti l’eutanasia infantile in versione olandese. Articolo sul
quale, ormai da qualche giorno, politici e blogger stanno discutendo.
Sul protocollo abbiamo sentito diversi
giudizi sostenuti da persone che si sono dichiarate assolutamente
competenti. Nessuno però ci ha riportato nulla dell'articolo, pur
asserendo di averlo letto, e abbiamo allora deciso di informarci da
soli, scoprendo che l’informazione costava solo 10$.
Verhagen, in particolare,
ha ammesso di aver praticato
l’eutanasia su quattro bambini nei tre anni precedenti alla
pubblicazione attraverso l’inezione letale di morfina e di
midazolam
(un potente sedativo). In Olanda,
primo paese
al mondo a legalizzare la “dolce morte”, tale pratica era
vietata per i minori sotto ai 12 anni. Indurre la morte a
bambini sotto ai 12 anni al tempo della pubblicazione del
protocollo era quindi un omicidio.
Il
Dott. Verhagen non è stato perseguito per questo reato ma, al
contrario, la sua fama è iniziata a crescere a dismisura. Queste
le parole di Verhagen per motivare le iniezioni letali
fuorilegge:
“A lot of disquiet has arisen around this issue, especially when
the Vatican expressed concern. But these children face a life of
agonizing pain. For example, we’re talking about newborns with
hydrocephalus and no brain. Another example may be a child with
spina bifida with a sack of brain fluid attached where all the
nerves are floating around. This child is barely able to
breathe, and would have to undergo at least sixty operations in
the course of a year to temporarily alleviate its problems.
These operations would not ease the pain. Moreover, the child
would suffer such unbearable pain that it has to be constantly
anaesthetised. The parents watch this in tears and beg the
doctor to bring an end to such suffering.”
Sono le
considerazioni sulle quali si basano le tesi dei difensori di
Verhagen e dell’eutanasia infantile:”Si
parla di bambini in condizioni agonizzanti che morirebbero poco
dopo. I genitori vedendo questo pregano il Dottore di porre fine
alla loro (quella dei genitori n.d.r.) sofferenza”.
Gli accusatori di Verhagen dicono il contrario. Sostengono che
in realtà il protocollo che è stato adottato come linea guida
all’eutanasia infantile (oggi legge dello Stato in Olanda)
garantisce questa pratica anche in altri casi aprendo le porte a
possibili derive eugenetiche.
Chi ha
ragione? Leggiamo il protocollo. Il protocollo si apre con
l’ormai famoso “abstract” (unica parte visibile per chi non compra la pubblicazione):
Of the 200,000 children born in the Netherlands
every year, about 1000 die
during the first year of
life. For approximately
600 of these infants, death is
preceded by a
medical decision
regarding
the end
of life
Il
significato è chiaro: il 60% delle delle morti infantili è
causato dalla decisione dei medici. Segue poi una generale
considerazione su quale sia il momento corretto per iniziare e
terminare i “trattamenti” sui neonati:
Although technological developments have provided
tools for dealing with
many consequences of congenital
anomalies and
premature birth,
decisions regarding when
to start and when to
withhold treatment in individual cases
remain very difficult to
make. Even more difficult are
the decisions
regarding newborns who
have serious
disorders or
deformities associated with suffering
that cannot be
alleviated and for whom there is no
hope of improvement
Rileviamo qui le prime stridenti contraddizioni ed i nostri
dubbi iniziano a crescere. I neonati con pochi giorni di vita
sono scomparsi. Si
parla di sofferenza (che
come vedremo dopo lo stesso Verhagen ammette essere non
quantificabile n.d.robinik).
Si parla di bimbi deformi
e si mette per iscritto una contraddizione pesante: Il paragrafo
apre dicendo che le nuove tecnologie hanno fornito strumenti per
allungare le prospettive di vita di questi neonati per poi
chiudere sostenendo che per queste sofferenze (non
quantificabili) non c’è “speranza di miglioramento”
Iniziano le classificazioni su quali vite siano degne di essere
vissute? Su quali basi, vista anche la continua evoluzione della
ricerca scientifica, si stabilisce che non esistono speranze di
miglioramento?
Andiamo avanti…
Suffering is a subjective feeling that cannot be
measured objectively,
whether in adults or in infants.
Come
facevamo notare Verhagen ammette che la sofferenza non è un dato
oggettivamente misurabile, tanto negli adulti quanto nei
neonati. Il pediatra aggiunge poi che mentre gli adulti possono
indicarla e comunicarla al proprio medico, questo non è
possibile per i neonati ai quali, secondo Verhagen, si possono
applicare “metodi di misura della sofferenza”.
Quali sono?
Pain scales for newborns, based on
changes in vital signs (blood
pressure, heart rate,
and breathing pattern)
and observed behavior, may
be used to determinate the
degree of discomfort and
pain
I dubbi
continuano ad aumentare. Il discorso verte solo e sempre sulla
sofferenza che, non essendo oggettivamente misurabile per
ammissione stessa di Verhagen, viene rilevata (ricordiamoci
sempre che questo documento è la linea guida per la pratica
dell’eutanasia infantile n.d.robinik) attraverso la
pressione sanguigna, il battito cardiaco e la respirazione.
A
questo punto segue la prima agghiacciante considerazione:
In the Netherlands, euthanasia
for competent persons
older than 16 year of age
has been legally accepted
slnce 1985. The question
under consideration now is
whether deliberate life-
ending procedures are also
acceptable for newborns
and infants, despite the
fact that this patients cannot
express their own will
. Or must infants with disorders
associated with severe
ans susteined suffering be kept
alive when their
suffering cannot be adeguately reduced?
Vale la
pena di tradurre parola per parola:
In
Olanda l’eutanasia per le persone “competent” (sic) di età
superiore
ai 16 anni è stata accettata legalmente dal 1985.
Il problema da
considerare è ora se valga la pena di deliberare
procedure per terminare la
vita di neonati e bambini
dato che
questi tipi di pazienti
non possono esprimere le loro volontà.
O dobbiamo pensare che
bambini con malattie associate
a gravi e prolungate
sofferenze debbano essere tenuti in vita
quando la loro
sofferenza non può essere sufficientemente ridotta?
Il
lettore si faccia l’idea che vuole di questo passaggio. A noi
preme solo evidenziare che i malati terminali sono
definitivamente spariti. Lo spartiacque della decisione è
individuato nella decisione di
tenere in vita
o meno un neonato o un bambino che abbia malattie legate a
sofferenze la cui gravità non è quantificabile per stessa
ammissione del Dott. Verhagen.
Agghiacciante
dicevamo. E’ proprio a causa dei “misunderstandig”
che hanno fatto in modo che, a detta di Verhagen, la stampa
internazionale fosse piena di “blood-chilling
accounts” che i due pediatri hanno deciso di
redigere questo articolo. Al fine di fare chiarezza Verhagen e
Sauer individuano le
tre casistiche per le quali si può praticare l’eutanasia
infantile (avreste
mai pensato di sentire queste due parole vicine? n.d.robinik)
e che ad oggi sono le linee guida per questa pratica.
La
Lunghezza del post e la volontà di trarre le nostre definitive
conclusioni solo alla fine ci consigliano di riportarvele senza
commento. Ci permettiamo di suggerirvi di lasciar perdere gli
esempi che i pediatri aggiungono alla definizioni delle
casistiche perchè sono espressi a titolo esemplificativo e non
esaustivo. Quello che dovete chiedervi, sempre a nostro
parere, è se queste casistiche siano molto ben definite ed
individuino neonati o bambini con nulle prospettive di vita o se
piuttosto non si prestino a lasche interpretazioni dalle
conseguenze poco chiare.
Primo caso:
First there are infants with no chance
of survival. This group
consist of infants who will
die soon after birds,
despite optimal care with the
most current methods
available locally. These in-
fants have severe
underlying disease, such as lung
and kidney hypoplasia.
Secondo caso:
Infants in the second
group have a very poor
prognosis and are
dependent on intensive care
These patients may
survive
after a period of inten-
sive treatment,
but expectations
regarding their fu-
ture condition are
very grim.
They are infants with
severe brain abnormalities
or extensive organ dam-
age caused by extreme
hypoxemia.
When these in-
fants can survive
beyond the period of intensive
care,
they have an extremely
poor prognosis
and a
poor quality of
life.
Terzo caso:
Finally, there are infants
with a hopeless prog-
nosis who experience what
parents and medical ex-
perts deem to be
unbearable suffering (a detta di parenti e medici e non
quantificabile n.d.r.).
Althought it
is difficult to define
in the abstract, this group in-
cludes patients who
are not dependent on intensive
medical treatment
but for whom a very poor quatity
of life, associated
with sustained suffering, is pre-
dicted
(da chi?
n.d.robinik)
For example, a child with the most serious
form of spina bifida will have an extremely poor
quality of life, even after many operations. This
group also includes infants who have survived
thanks to intensive care but from whom it becomes
clear after intensive treatment has been completed
that the quality of life will be very poor and for whom
there is no hope of improvement.
30 marzo 2006
* Roberto
Nicolai è il titolare del blog
Robinik |