Relativismo come Marxismo della postmodernità
di Paolo della Sala*
[02 feb 06]

“Omnibus ex nihilo ducendis sufficit unum” (Leibniz)

Scienza e fede sono in conflitto?

Giorgio Israel ha ripercorso, nell'ultimo numero di Ideazione, con un suo articolo le origini del metodo scientifico. Un metodo che non è nato al tempo di Galileo e Cartesio:

Nell'ebraismo... l'esegesi del testo sacro... è un percorso interminato e interminabile verso la verità.

Questa conoscenza pre-galileiana non è presente soltanto nello studio della Torah: ogni omelia cristiana è una reinterpretazione del Testo (e della vita in relazione al testo) come percorso verso la Verità. Nessuna fede è autoconfezionabile e nessun uomo può dire di possedere la verità in tasca nemmeno per un istante, come Achille di fronte alla tartaruga. La ricerca esegetica è l’opposto della “fede cieca”, e diverge da ogni fondamentalismo, religioso o culturale: “Dio ha dato la Sua parola a Maometto, ma è una parola eterna. Non è la parola di Maometto. E’ qui per l’eternità così com’è. Non vi è possibilità di adattarla o interpretarla, mentre nel Cristianesimo e nell’Ebraismo il processo è completamente differente, perché Dio ha lavorato attraverso le sue creature. Quindi non è solo la parola di Dio, è la parola di Isaia; non è solo la parola di Dio, ma la parola di Marco”. In sostanza “vi è una logica interna nella Bibbia, che permette e richiede di essere adattata e applicata a nuove situazioni” (Intervento di papa Benedetto XVI, riportato dal teologo Joseph Fessio). Tuttavia le chiese cristiane, come Israele, non devono dimenticare la lezione del “tradimento” di Pietro, l’adorazione di un idolo ai piedi del Sinai, i peccati di Saul e Davide: l’uomo non è perfetto, e la stessa santità è un processo che si chiude al di là della morte. Il Salmo 119, incentrato sui “caratteri” della Parola di Dio, rafforza questa visione. Dopo aver ribadito più volte che la Legge divina è verità (non si tratta di legge umana manipolabile, qui la sottile differenza con l’illuminismo), il salmista scrive nel versetto 160:

La somma delle tue parole è verità.

Molte traduzioni tradiscono il senso della frase, proponendo soluzioni che smarriscono il senso della concezione ebraica del linguaggio. Dire “Ogni tua parola è fondata sulla verità”, oppure “Il fondamento della tua parola è la verità” è cosa ben diversa dal dire che la verità sta nella somma di ogni parola dei Testi sacri. La prima versione è scientifica-religiosa, le altre aprono la porta a elementi magici. Occorre riferirsi alla gimatreya, scienza del rapporto tra lettere e numeri che concepisce il linguaggio come “il mezzo per controllare la realtà e intervenire su di essa” (Giulio Busi, introduzione alla raccolta La mistica ebraica, Torino, 1995). La gimatreya ha portato a Gődel e allo scambio informatico tra numero e parola non meno di Leibniz o di Peano. Ma torniamo al testo di Giorgio Israel:

Si tratta del rapporto tra finito e infinito, del rapporto tra mente umana finita e trascendenza.

L’uomo è capace di pensare l’infinito ma non può “aderire” a esso se non per intuito, per fede, per “ineffabilità” (come sosteneva Wittgenstein). La Torah, la Bibbia, il Messia, il Paracleto, svolgono una missione di traduzione continua tra uomo e Dio, tra la realtà e le immagini invisibili non legate all’esperienza diretta. Queste immagini invisibili non esistono soltanto nella sfera religiosa o estetica (nell’arte e nella poesia), ma esistono anche nella scienza e nella fisica quantistica, là dove il confine tra materia ed energia torna ad essere estremamente indefinito. La conoscenza dinamica guida il metodo del fondatore della

…gnoseologia moderna, Nicola Cusano. Egli paragona il rapporto che intercorre tra la verità assoluta e il pensiero umano a quello tra un cerchio e un poligono inscritto che si approssima indefinitamente: sempre più vicino al cerchio (aumentando il numero dei lati) e tuttavia mai confuso con esso. Come  ebbe a osservare Ernst Cassirer, lo iato ineliminabile e insuperabile tra poligono e cerchio è essenziale: perché soltanto l’esistenza di una verità assoluta, mai completamente raggiungibile, conferisce senso e direzione al processo illimitato della conoscenza.

In termini aristotelici: il Primo Motore Immobile muove il sapere umano; la Verità è una, ma nel mondo-della-vita dev’essere in movimento perenne; la parola rivelata e il Messia sono la direzione, la “Via verso la verità e la vita”; la conversione (da cum vertere) è un procedimento continuo. Così la conoscenza è “un processo illimitato di acquisizione di verità parziali e provvisorie, imperfette e sostituibili, ma nel quadro di una tendenza al perfezionamento”. Si noti, a questo punto, che Israel analizzava le modalità del metodo scientifico, mentre adesso si stava descrivendo la sfera religiosa: i due mondi – che si insiste a volere in conflitto – utilizzano procedimenti simili, senza contraddizioni apparenti. Contraddizioni e contrasti che invece sembrano insanabili sul piano del discorso politico. Quando avvenne la divergenza tra il pensiero intuitivo e quello razionale? Al momento della fideizzazione della scienza, nel paradossale solco dell’antimodernismo di Rousseau. Il relativismo attuale

predica l’assoluta equivalenza e pari dignità di tutte le opinioni, l’indecidibilità fra tutti gli asserti possibili circa un insieme di fatti. (...) Si tratta della riproposizione di una visione marxista in forma “debole”: è il marxismo della postmodernità. Secondo queste dottrine il confronto tra differenti teorie non si risolve sul piano conoscitivo, bensì soltanto sul piano del conflitto di potere e della prevalenza del gruppo dominante.

Come è potuto accadere che la visione “in progress” della scienza si sia poi rovesciata? Il passaggio chiave è nella cultura positivista, che ha asservito la conoscenza alla detenzione della verità...

Predicando il carattere di verità assolute e indiscutibili delle verità scientifiche, e affermando la “superiorità” delle scienze “esatte” sulle altre forme di conoscenza. (...) Dimenticando il senso profondo del discorso di Cusano [il positivismo] ha aperto la strada alla confusione tra verità e opinioni mutevoli..

Il relativismo sarebbe la vera fede assolutista, e il suo primo rappresentante è il cattocomunista:

il suo fanatico pregiudizio positivo per il diverso, così positivo da trasformare quella fede bigotta in odio di sé – in concreto, odio per l’Occidente. Quel che i relativisti (etici, multietnici, multiculturalisti) non vedono è che il rispetto del diverso nasce dal confronto, mentre il rifiuto del confronto genera solo negazione e, in definitiva, il disprezzo e persino l’odio. (...) L’idea di perfezionamento... è il contrario esatto del cinismo morale assoluto (“lasciamo stare le cose come sono tanto non si può cambiare nulla perché nulla ha senso”) o dell’idea rivoluzionaria della palingenesi globale del mondo corrotto (cioé la auto-salvezza dell’universo intero): entrambi sono figli dello scientismo e del relativismo, e genitori dell’ignoranza.

La falsa scienza e il relativismo, ripetiamolo, sono lontani dalla scienza e dal pensiero intuitivo, così come dalla fede. E’ falsa l’opposizione tra ragione e fede.

Il linguaggio tra opinione e ricerca

Il linguaggio consiste – come la scienza – in un avvicinamento continuo alla natura degli eventi. Se Dio è Logos, l’uomo vive nel regno imperfetto dei segni. Le parole possono descrivere il pensiero razionale, oppure il soffio (ruach) che ha creato la materia e l’anima (nephesh). Il rapporto tra la comunicazione e il significato è anche il rapporto tra opinione e verità, tra visibile e invisibile, tra evidenza della materia (sarks) e l’uomo che aggiunge a questa lo pneumatikòs, l’indefinito spirituale. Da dove provengono le idee? Quando si parla, spesso le parole vengono da sole, “sfuggono di bocca”, come quando si disegna o si crea, quando si è “ispirati”. La logica e i concetti, nell’espressione artistica, nell’amore, nel sentimento religioso, vengono continuamente superati da nuove logiche e nuovi concetti, come avviene ai bambini piccoli quando apprendono. Il comportamento umano è determinato da regole. Ma la natura di questi codici non è sempre la stessa. Ci sono regole fisse che vanno sempre rispettate, come quelle della grammatica, quelle sociali, quelle del gioco. Ma ci sono anche norme più mobili e non visibili, più “astratte”, che si scoprono via via.

Ci sono le Tavole della Legge e c’è la loro applicazione individuale. Lo stesso linguaggio funziona in questo modo, e la prova che le regole invisibili sono importanti è data dal silenzio dei robot, che pure sono a conoscenza delle regole grammaticali e dei fonemi necessari al discorso. Ci sono le regole dei grandi nei confronti dei bambini, come quelle dell’amore tra uomini e donne. Questi codici vengono acquisiti tramite l’esperienza diretta e per mezzo della osservazione degli altri. Ma si tratta di un apprendimento continuo, non determinato, perché aperto e non sistematizzabile. Sono regole in continua reinvenzione, non scritte da nessuna parte, sono codici a cui è difficile fare appello. Non di meno si tratta di regole, prova ne sia il fatto che occorre impararle. Di questo apparato mentale e sociale, culturale e materiale, spirituale e scientifico, il relativismo e lo scientismo fanno a meno. Ma così facendo prendono solo il bianco dell’uovo, oppure solo il rosso; si convincono di poter camminare su una gamba sola; finiscono per accomodarsi su una carrozzina a rotelle, felici di non dover camminare, lieti di non doversi più confrontare con l’al di là della siepe “ove per poco il cor non si spaura”. E’ così che i figli dell’illuminismo rimangono al buio.

Nessun vero scienziato crede che la sua teoria sarà definitiva e nessun artista si illude di essere Giotto, ma tutti costoro devono combattere una battaglia quotidiana per scegliere e imporre la strada migliore secondo le loro fonti e le loro capacità. Viceversa la credenza nell’uguaglianza delle idee annulla la “guerra culturale tra le idee”, imponendo a ognuno una visione comune. Dopo la nefasta applicazione di questa “irenia” (malattia della pace culturale) da parte dei sistemi totalitari, il sistema dei media e la cultura egualitarista implicano il ritorno a una doxa universalis, formata da mille teste blateranti, ma guidata da un corpo unico ben ancorato alla centralità del potere. Uno di questi idoli rivoluzionari, sede insindacabile di una alternativa all’infallibilità papale, è l’Onu. Contro il falso messia della Doxa universalis lottano le nuove forme di democrazia liberale, i media legati a internet, le culture emergenti, la continuità del sapere. La ricerca e l’interpretazione tendono verso una maggiore conoscenza, cercando nuovi linguaggi, nella consapevolezza che non si potrà raggiungere l’Assoluto con strumenti relativi. La verità rimane al là del mondo sensibile, anche se è rivelata dalla religione ed è avvicinata dalla scienza.

Ogni percorso deve essere individuale (si tratti della scelta di Faust o quella di Margherita) perché le verità temporanee e relative non possono essere socializzate. L’interpretazione (nei testi sacri, negli eventi storici o scientifici) non può essere data una volta per sempre. Utilizzare un angolo dove vivere l’Eterno Ritorno del sempre uguale (come predicava Nietzsche) è certo più comodo e solare. Il relativismo della pari dignità delle culture e delle doxa è altrettanto consolatorio: offre l’illusione di potere immobilizzare l’esistenza, come in una partita a scacchi ripetuta all’infinito. Ma condannare anche le opinioni all’egualitarismo equivale a fermare ancora una volta la storia e il progresso. Le stesse parole non esprimono sempre lo stesso concetto e gli stessi colori (connotazioni culturali). Si pensi al significato della parola “Nazismo” in Germania nel ‘39, in America nel ‘39, e in Germania oggi. Si pensi alla parola “Marte” nell’antica Roma, e oggi: ieri indicava un dio, oggi la connotazione principale è un pianeta. Ciò avviene perché anche le parole seguono i percorsi culturali e non stanno ferme. Esse appartengono al mondo delle regole aperte, come la scienza, e non al mondo delle certezze immobili, come lo scientismo materialista che scambia la grammatica col linguaggio, la conformità alla norma con l’etica.

Le parole si ghiacciano solo nelle culture totalitariste, quando il rogo dei libri e le riforme del calendario indicano visibilmente il tentativo di fermare il tempo, di ridurre l’eternità all’hic et nunc: percorso rovesciato (e più pessimista) del collegare la nostra vita alla concezione infinita del tempo. Per comprendere le parole occorre andare nel campo delle s-regole invisibili, nel campo del senso, che non è solo espressione o forma, e non è nemmeno contenuto, ma è piuttosto ciò che permette di passare da una all’altra parte. Quanto ciò è più innovativo e creativo dell’irenia della lingua comune a tutti i popoli, un Esperanto che annulli per decreto le differenze e ricopra come una coperta le migliori menti di ogni generazione futura! Se non si crede all’incantesimo delle regole date e delle interpretazioni definitive, si può pensare al nuovo scientismo relativista come a una reincarnazione della moglie di Lot, trasformata in una statua di sale sempre uguale a se stessa nell’incessante scorrere dei giorni.

Appunti sulla Doxa Universalis

a) Schelling cercava l’unificazione tra razionalità e pensiero intuitivo. Nella versione del 1815 della sua Età del mondo, il filosofo tedesco scriveva che

Lo scopo finale (è) che ogni cosa diventi figura e si presenti in forma corporea visibile; la corporeità… è la meta finale di Dio.

Schelling parlava del “corpo spirituale”, il sogno swedenborghiano di una ricomposizione adamitica di spirito e materia, di corpo e anima, di uomo e donna, in un ermafrodita totale.

b) Non si deve credere che il sogno dei filosofi romantici sia un semplice déja vu del pensiero irrazionale. Al contrario, il tentativo della reductio ad unum del sapere si sviluppò anche in ambiente positivista. Si prenda lo studio La lingua perfetta e i matematici, il caso di Giuseppe Peano:

Durante l’estate del 1900 si svolgono a Parigi due importanti convegni internazionali. In pochi giorni prima i filosofi, dall’1 al 5 agosto, poi i matematici, dal 6 al 12, sintetizzano lo stato dell’arte delle loro discipline e cercano di prevederne gli sviluppi. La questione della lingua perfetta (o lingua veicolare scientifica, ndr) attraversa trasversalmente le due riunioni e personaggi del calibro di Russel, Peano e Hilbert. Charles Maray, matematico belga, accende la polemica tra gli scienziati. Convinto seguace dell’esperanto, Maray indica il progetto del dottor Zamenhof come la possibile lingua ausiliaria internazionale in grado di risolvere i problemi della comunicazione scientifica orizzontale.

Al termine degli incontri, gli studiosi sembrano orientati a scegliere una lingua naturale semplificata piuttosto che una lingua interamente artificiale. Fu il grande logico italiano Giuseppe Peano a dare nuovo impulso alla ricerca di un esperanto scientifico. Dopo i suoi decisivi studi sulla assiomatizzazione dei numeri naturali, Peano, con l’opera “Formulario Matematico”,

volle raccogliere l’intero scibile matematico. (…) Per capire a fondo l’importanza storica del Formulario, va evidenziato che l’opera di Peano è stata la prima di una lunga serie – che tra le altre raccoglie i Principia Matematica di Russel (1913), i Fondamenti della matematica di Hilbert (1934) e gli Elementi di Matematica di Bourbaki (1939-1967)… Il secolo che si stava chiudendo aveva visto l’evoluzione di un processo di aritmetizzazione della matematica. A partire da Gauss, per la geometria, per continuare con Cauchy… era stato sostenuto un grande sforzo per ridurre le grandi discipline della matematica prima all’algebra e quindi all’aritmetica… Qualcuno tentò ardite scorciatoie: è famosa l’affermazione di Leopold Kronecker che “Dio ha creato i numeri naturali, e tutto il resto è opera dell’uomo”.

Alle origini della ricerca di una lingua perfetta, fu il ricevimento da parte di Peano di una lettera dello scienziato Kaba, nel 1903. Il fatto è che la lettera era incomprensibile, in quanto scritta in giapponese. L’esigenza aveva dunque motivazioni concrete. Sono gli anni in cui il logico austriaco Ludwig Wittgenstein andava in crisi quando, nel corso di un viaggio in treno, Piero Sraffa gli chiedeva il significato logico di un noto gesto napoletano. Peano, a quel punto, si convince della necessità di creare una lingua, da lui denominata latino sine flexione. Si tratta di un latino scolastico, ridotto ai suoi elementi essenziali, privato delle temute declinazioni e di quasi tutto l’apparato grammaticale. Il primo articolo di Peano scritto in latino s.f. compare sulla Rivista di matematica nell’ottobre del 1903. Negli anni successivi almeno due riviste scientifiche vennero scritte in latino s.f. e nel 1929 a Bologna si tenne un convegno nel quale la lingua di Peano venne utilizzata per le relazioni, al pari di francese, inglese e tedesco. La neo lingua, tuttavia, non decollò.

L’insuccesso fu dovuto in parte alla mancanza di ampia adesione al progetto, in parte a questioni politiche e didattiche: Peano non aderì al fascismo, e il suo esperanto latino era di matrice socialista. Nel suo insegnamento all’università di Torino, anzi, era decisamente anarchico: si rifiutava di esaminare gli studenti, considerando l’esame inutile e vessatorio. Sosteneva che la bocciatura sarebbe venuta con l’inizio dell’attività lavorativa. Nel 1912 pubblicò su Torino Nuova un articolo dal titolo esemplare: “Contro gli esami”. Infine si mise a insegnare direttamente in latino sine flexione, il che creò qualche imbarazzo all’ambiente accademico torinese, sia umanistico – perché si trattava di una sorta di “latinorum” – , sia scientifico, perché il più grande matematico italiano si ostinava a insegnare logica invece di analisi. Si trovò una soluzione inventando ex novo un corso su misura, dal titolo “Matematiche complementari”. La differenza tra il relativismo politico e i sogni di trovare l’unificatore universale da parte degli scienziati, filosofi, artisti e religiosi citati è netta. Il primo si costituisce come dottrina, le seconde sono ricerca. Il primo impone la sua libertà, le seconde sono, e devono continuare ad essere, libere.

c) Le rivoluzioni negano ogni religione rivelata ma sono l’opposto di quella secolarizzazione del Logos come Ragione, che l’illuminismo andava auspicando. (…) La Terreur, come è noto, ricevette un’interpretazione classica dalla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, che la ricondusse alla “coscienza infelice” vetero-testamentaria: cioè alla coscienza del singolo che si rende conto di essere nulla rispetto all’Universale e, quindi, di non avere diritto di volere “con la propria testa”. Il Terrore provvedeva perciò a tagliare tutte le teste…, non perché colpevoli di volere qualcosa di illecito, ma solo perché colpevoli o sospette di volere con volontà individuale (Vittorio Mathieu, Terrore, in Islam e Occidente, LiberiLibri, 2005, a cura del CIDAS di Torino).

d) All’origine del relativismo politico vi sono Rousseau e Marx. Il primo individua nella Volontà Generale del popolo il suo Unificatore Universale, il secondo lo trova nel proletariato. Dal fallimento del marxismo deriva l’attuale “moralistariato”, ultima reincarnazione del relativismo politico.

e) Non servono ulteriori divisioni ideologiche tra i diversi campi della cultura occidentale. Il culto per l’U.U. (Unificatore Universale) cresce proprio su questa separazione. Riunificare il sapere, fondare un neo-umanesimo, è l’opposto della Doxa Universalis.

02 febbraio 2006

* Paolo della Sala è il titolare del blog Le guerre civili


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