Addio, Molly Malone
di Arianna Capuani
[12 gen 06]

Tornare a Dublino dopo 11 anni è traumatico: la lasci sporca, affascinante e angusta come un cuore piegato dalle troppe delusioni, e la ritrovi, dopo il boom economico, rivestita da una patina di lusso che non riconosci. Chi scrive, undici anni fa per l’esattezza scrisse con amore delle case popolari del Nord malfamato, che cominciava appena alle spalle di O’Connell Street, con i bambini che giocavano nello spiazzale di terra battuta. E allora, romanticherie dell’età, pensava: saranno future glorie poetiche, musicali della nazione riottosa? Terroristi, quello mai. Neanche l’Irlanda povera di allora lasciava pensare al terrorismo: perché Dublino era una città a testa bassa, dove neanche i sogni bastavano più e dove, come accadeva a Jimmy Rabbitte nei Committments, al massimo Wilson Pickett poteva sfrecciarti accanto in limousine. Smessi i panni della sorella povera di Londra, la rassegnazione e l’incubo secolare di essere periferici ha abbandonato Dublino, che ormai - così ti accoglie all’aeroporto - celebra anche le sue glorie scientifiche. Non più solo Wilde, Shaw e Beckett. Grafton Street è ormai diventata una via alla moda, e neanche il Bailey’s è più il pub austero di una volta: è diventato un locale in stile pseudo parigino. E non è l’unico. Il vecchio Bewley’s, su Grafton street dal 1840, chiuderà. Il tempo giusto di prendere un tè per dirgli addio. E anche dentro, tra quei mobili di legno scuro e tra quelle vetrate colorate, si respira l’aria di un benessere che non si ricordava. Temple Bar e George Street sono ormai il passaggio spazio temporale per Londra, Soho, per la precisione.

Passi di lì, e hai la netta sensazione di trovarti su Old Compton Street. Ma non è così, e continui a camminare pensando di trovarti improvvisamente a un angolo che svoltato porterà a grandi spazi monumentali:solo che questo non succede mai, e allora continui a girare in tondo, in attesa dell’angolo fatale. Finché non è di nuovo Westmoreland Street, O’Connell’s di fronte, con la Spire, imponente, appuntita. Halfpenny bridge, irreale giocattolino. Andando verso il mare, un’imitazione, in piccolo, del Millenium Bridge di Londra. Si chiama ponte Sean O’Casey. Chi pensa più a uno scrittore politico come Sean O’Casey? Hodges e Figgis, l’unica grande libreria di Dawson Street che si curi ancora di indicare le categorie dei libri anche in gaelico, espone un numero incalcolabile di libri sull’Irlanda politica che tutti conosciamo. Ma non convince. Istintivamente, pensiamo che il ricordo dell’Irlanda eroica e di quella folle dell’IRA è ormai offuscato dal benessere del boom economico. Tom, che incontriamo in un pub di Harcourt Street-chic e con colonne neoclassiche all’esterno, conferma la nostra impressione. “Onestamente, del disarmo dell’IRA non ha importato a nessuno; all’inizio del secolo scorso la politica qui era tutto: oggi non conta più niente”. E sia: l’astio è ormai fuori luogo. Senza calcolare che l’ingratitudine alla fortuna, finalmente arrivata dopo la povertà secolare, non susciterebbe simpatia. Tra drappeggi moderni e bottiglie di vino a cui l’occhio non riesce proprio ad abituarsi, il suono di bisbocce antiche riporta la Dublino che avremmo voluto ritrovare. Ma non c’è più, e se ritorna, dura lo spazio di due ore la notte.

L’irlandese che si ubriaca, nella stragrande maggioranza dei casi, lunedì mattina tornerà al suo bell’ufficio, rinato a seconda vita con l’arrivo degli investimenti americani. Sono cambiate anche le facce dei dublinesi. Non sono più soltanto quei volti rotondetti e con i nasi piccoli e all’insù, ma anche neri, all’apparenza integrati, asiatici e molti cinesi. E’ proprio un gruppo di cinesi uno degli spettacoli più singolari che incontriamo su O’Connell Street. Sono dissidenti. Con un banchetto senza pretese, cartelloni bilingui scritti a mano, sostengono i ritiri dal Partito Comunista Cinese e distribuiscono l’Epoch Times, insieme a cd rom che denunciano l’operato del partito. Parlando con una degli organizzatori, si scopre che il gruppo organizza conferenze a cui gli irlandesi sembrano piuttosto interessati. Dopo aver letto la rivista Village, concentrato di pregiudizi anti Bush e boutade di Maureen Dowd, la cosa appare consolante. Il giorno dopo, grande manifestazione sindacale su O’Connell Street. I gruppi sfilano ordinati, e avanzano diretti da pochi uomini della sicurezza. Non c’è polizia, e non ci sono inni politici. Sfilano, infatti, al suono di O Tannenbaum. Tra gli striscioni dei sindacati-molti somigliano quasi a stendardi- riusciamo a scorgere soltanto tre bandiere con la falce e martello. Diversamente da quanto accade qui in Italia, a portarle sono degli uomini sulla cinquantina avanzata: cinque, non di più. Siamo tornati rimuginando, sul Liffey, ma stavolta guardando quello che resta della vecchia Dublino, della zona dei Docklands. Alcuni ex magazzini portano ancora i nomi delle ditte scritte in vernice sulle facciate: ma le gru sono lì, pronte, a cancellare quello che resta. E allora, sì, addio. Addio Molly Malone.

12 gennaio 2006


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